Può apparire strano ma non poche religioni e tradizioni spirituali giudicano la circostanza di essere persona di questo mondo un incidente di percorso, una caduta procurata da precedenti malefatte personali (karma), o da misteriose ancestrali colpe geneticamente trasmesse (peccato originale). Per numerose concezioni, sia nostrane, sia orientali, l’essere nati, albergare in un corpo, disporre di individualità (handicap perlopiù rilevato dalle religioni e dalle filosofie orientali), è un ruzzolone dove l’unico vantaggio del momentaneo soggiornare in questa valle di lacrime che chiamiamo mondo, è quello di voler liberamente rinunciarvi con ferma volontà, così da ascendere più rapidamente possibile nel posto dal quale eravamo venuti («Attendo una tal alta vita, che muoio perché non muoio», Santa Teresa D’Avila). Nel cristianesimo in un paradiso o in nuove terre e cieli, con l’io integro e pimpante; nelle religioni orientali in un nirvana dove l’io scompare fondendosi con l’Assoluto.
Il punto è che entrambe le concezioni sentenziano che non conviene essere uomo in questo mondo, ma il cristianesimo chiede un discorso a parte per il colpo di scena di una divinità che sceglie, invece, di esserlo. Da una parte, anche nel cristianesimo, l’avvenimento dell’incarnazione di Dio conferma il suesposto svantaggio d'essere uomo, visto che Dio nella sua infinita misericordia raggiunge le creature svuotandosi della propria divinità -kenosis dicono i teologi- per entrare corporalmente nel mondo, così da salvare i disperati che ci vivono sopra. Dall’altra, però, -e qui sta la differenza tra il cristianesimo e le altre religioni- l’incarnazione di Dio eleva all’istante l’individualità di ogni uomo e dunque della storia e della civiltà. Per certi versi il cristianesimo è l’unica religione che afferma la convenienza, finanche il privilegio, di essere uomini, per l’evidenza che Dio ha voluto esserlo venendo al mondo. Non a caso la visione cristiana a differenza delle altre ha stimolato un antropocentrismo spinto, con tutte le problematiche storiche, ma anche i vantaggi, che questa elevazione di homo sapiens ha comportato. Le radici di questa esaltazione dell’uomo e della sua civiltà attivate dal cristianesimo le troviamo in Agostino, ma Hegel si è spinto forse oltre. L’idealismo filosofico che ha esaltato l’umano pensiero fino a negare l’esistenza autonoma della realtà, è germinato e ha attecchito nel milieu religioso della tradizione cristiana. Karl Löwith, lucidissimo al riguardo, così illustra ed elabora la tematica:
«Nella filosofia della religione di Hegel, in realtà, si tratta innanzitutto di concepire la dottrina dell’incarnazione di Dio, poiché questo dogma si tocca direttamente con la metafisica hegeliana dello spirito finito e infinito. Dio è spirito e solo nello spirito può essere concepita la sua verità; per essenza l’uomo è parimenti spirito e perciò si trova in una relazione essenziale con Dio. Dio e uomo sono in relazione l’uno con l’altro, laddove la natura non ha un proprio rapporto con lo Spirito concepito come Assoluto. […] Ad una simile visione dello spirito quale “vertice” della soggettività, ad un simile far culminare l’universale, infinito Spirito divino in un unico soggetto, è giunto, però, solamente il cristianesimo. […] Il “rovesciamento” rivoluzionario operato dal cristianesimo consiste nel fatto che l’uomo non è considerato più come un essere che fa parte del cosmo e che, a differenza degli dèi immortali, è un essere mortale, piuttosto: è proprio il divino ad essere collocato al vertice della soggettività e Dio stesso ad assumere una natura umana». […] Dal momento che Dio si è rivelato in un singolo uomo storico, è diventato palese l’immane paradosso che non solo Gesù Cristo, ma l’uomo in generale ha una natura divina, che natura divina e natura umana nella loro essenza sono identiche: una identità dialettica, in cui Dio trova nell’uomo la propria autocoscienza»[1].
Potente (forse troppo) anabolizzante dell’io umano, roba pericolosa che potrebbe fare male. Ma, sul punto, la singolarità del cristianesimo rispetto alle altre religioni e spiritualità mi sembra, nel bene[2] e nel male[3], inoppugnabile.
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1 Karl Löwith, “Dio, uomo e mondo nella metafisica da Cartesio a Nietzsche”, Curatore Orlando Franceschelli, Donzelli, pagg. 93-94.
2 Ci sarebbe scienza senza una quota di antropocentrismo?
3 Lasciamo il giudizio a Löwith: "Palese immane paradosso".