Bruno Vergani
Radiografie appese a un filo. Condivisione di un percorso artistico, davanti al baratro con angoscia parzialmente controllata.
Crono alienazione
Me ne sento quaranta ma vado ai sessanta. Così vecchio? Com’è accaduto? Dei periodi saranno sicuramente trascorsi tanto rapidi da sfuggire al ricordo. Per farli emergere dall’oblio, così da individuarli, ho riportato gli anni della mia esistenza correlati dai relativi compleanni: «1957 un anno, 1958 due anni, 1959 tre…» fino a oggi; integrando date e corrispondenti età con annotazioni di avvenimenti personali e storici un minimo significativi per ravvivare meglio i vari periodi, così da rammentarli.
Nell’analizzare il rendiconto è emerso preciso tutto il tempo “sparito”: anni accomunati dalla medesima caratteristica, tempi nei quali avevo eseguito ripetutamente le stesse cose ottemperando al regime imperativo di guadagnare denari lavorando per costruire famiglia e casa.
A ben vedere ci sono dentro ancora. Compiere il proprio dovere accorcia la vita?
Non è detto, mica tutti i regimi sono necessariamente imperativi, anzi compiere puntualmente il personale lavoro migliora la vita, lunga o corta che sia. E’ invece il funzionamento sistematico, obbligato, continuo e obbediente, teso a ottemperare imposizioni -non necessariamente esterne1- che abbrevia percettivamente la durata esistenziale. Talvolta non solo la percezione.
1 riguardo "esterni" imperativi storico-sociali e correlate psicologie di ispirazione marxista vedi qui
L'imprinting
Ognuno ha il suo imprinting indelebile e io ho quello cattolico. Non lo valuto peggiore di quello borghese e manco di quello marxista. Non mi sarebbe dispiaciuto avere un bell’imprinting anarchico ben incistato nelle viscere, ma tutto sommato non mi lamento.
Da tanto tempo ho cambiato idea, eppure anche se mi sono attardato nel contestare parti fondanti del cattolicesimo non sono riuscito a diventare un apostata ortodosso: il cattolicesimo è una bestia strana, onnivora, resiliente, fluttuante, mimetica, onnipervadente. Mica è l’Islam che, pur nelle sue complesse varianti, sai cos’è, sai dov’è, così da abbracciarlo o rinnegarlo con precisione.
Vitti na crozza
Può anche apparire scoppiettante, ma una biografia esposta in ordine cronologico è sempre tiranna: automatismo di stratificazione con accumulo di sedimento destinata all’epilogo.
Forse meglio iniziare dalla fine frullando il tempo, cosa c’è di più bello di un vecchio con la faccia da ragazzo?
Potenzialità & eventualità Spa
Gli dai 5 euro ti dà la ricevuta e si parte a piedi o in bicicletta. Ti fa incontrare ulivi che già vegetavano prima di Cristo in terra con tronchi di oltre 9 metri di circonferenza, carrubi nati nel medioevo, masserie, antichi frantoi ipogei, nascoste chiese rupestri. Mentre un suo giovane coetaneo conterraneo cerca lavoro nella grigia Milano e un altro è occupato a tempo pieno in personali querimonie, lui fa quello che gli piace sotto il sole di Puglia. Lì è nato, lì lavora soddisfatto1.
Domenica scorsa eravamo una settantina a seguirlo, più una decina di bambini. Appartiene alla minoranza di giovani abili nell’implementare, cammina con passo regolare, si ferma all’ombra della roverella secolare e pacato la racconta. La chiama Quercus pubescens, nel descriverne le galle emancipa l’albero dalla sua catatonica imponenza, quasi operi in un metafisico opificio di trasformazione.
Complesso l’accadere delle personali esistenze. Insidioso giudicarne i risultati. Accadere prodotto dall’interazione di personali potenzialità e libertà che incontrano eventualità, eppure non di rado ognuno è, almeno un po’, quello che si merita.
1 Qui la descrizione dell’opificio culturale dove opera. Lui è quello della foto, quello dentro l’ulivo.
La macchina del tempo: tu
Paul Valéry, Quaderni III, Adelphi. A pagina 490 il frammento autobiografico «Colpi di martello». Era il 3 agosto 1920, l’autore cinquantenne viveva a Parigi e nel percepire, in sottofondo, colpi ritmici di un martello si era ritrovato a Sète, città natia, quando aveva nove anni e a ferragosto i martelli piantavano chiodi per costruire baracche per la fiera del paese. Così Valéry esprime l’esperienza di quell’onnipervadente presente «L’urto di oggi [a Parigi] percuote il legno di 40 anni fa [a Sète ]», in quanto: «La sensazione pura e monda di aggiunte non ha età.» A questo punto l’Autore analizza il fenomeno ipotizzando la presenza di «Atomi sensoriali», mondo esterno «scomponibile in rapporto a noi in elementi qualitativamente invariabili.»
Ignoro, e tutto sommato poco mi interessa, quanto la coscienza personale sia costituita da Gestalten oppure dalla capacità di percepire atomi sensoriali, o da un mix delle due cose, quel che mi interessa è sperimentare questo universale continuo-infinito-presente. Valéry indica la strada:
«A tal fine bisogna essere distratti- Lasciarsi fare […] Ma se io lo desiderassi , sarebbe uno sforzo, e generalmente inutile. E’ bastato un ritmo [di martello] semplicissimo. Quel che io non pensavo affatto, quel che io non possedevo più, quello che era svanito, e che avrebbe potuto esserlo per sempre, è resuscitato. Redivivus. Se questo fenomeno accadesse all’essere intero, esso ringiovanirebbe. Esso avrebbe a ogni istante l’età della prima volta in cui percepì la sensazione attuale [...] avrei potuto rispondere a quei colpi di martello, soltanto con la riflessione che si trattava di colpi di martello, che essi mi disturbavano - ecc. Ho risposto in modo inesatto, globalmente, all’incirca; questo circa, questo superfiale al posto di un punto, questo campo non infinitamente piccolo, conteneva delle immagini di cui ho percepito in seguito, l’età e il luogo.»
Superflua la macchina del tempo, indispensabile una percezione fluttuante. Tutto sommato l’esperienza di un continuo-infinito-presente accade a molti, in qualche modo a tutti.
L’anno scorso, a riguardo, avevo scritto il breve racconto “Il Portoncino”, non avevo ancora letto Valéry, però a «Colpi di martello» un po’ gli assomiglia.
IL PORTONCINO
Puglia centrale, Ceglie Messapica, centro storico. Alle 15 e 45 ero pacatamente concentrato: per rinnovare il vecchio portoncino in ferro del monolocale lo smalto grigio metallico, color canna di fucile, andava tinteggiato con cura altrimenti rimaneva solcato. Alla fine del vicolo, da dietro l’angolo, un gruppo di ragazzi allestivano una festa di piazza. Ascoltavo passivo il sottofondo di cantilene, battute, urletti di ragazze e quelle voci mi avevano trasportato indietro di quarant’anni quando ragazzo frequentavo il gruppetto di amici: stessi suoni, giochi, medesimo desiderio nascosto di sessualità.
Il pennello scorreva chirurgico mentre una dimensione universale mi fagocitava, le voci di quei giovani venivano da vicino e insieme da lontano, dal passato e dal futuro: erano le stesse dei ragazzi medievali che giocavano in piazza a Siena, degli adolescenti degli anni Sessanta in una festa a Boston e le stesse che si sentiranno tra novanta anni in un ritrovo di giovani a Tokio che, inconsapevoli, obbediscono al canovaccio decretato dalla natura.
Il portoncino era diventato come nuovo e passavo a salutarli ma, concentrato su di loro, erano tornati ragazzi ordinari. Chissà com’è che per vedere l’universale devi fluttuare di sbieco omettendoti un po’.
Il segmento
L’immagine di un segmento, del tratto di retta che parte esatto dal punto nascita terminando preciso al punto morte, è modalità di misura sovente utilizzata per definire l’esistenza individuale.
Nonostante l’imperversare di tale misurazione nel descrivere l’esistenza dell’individuo, l’approccio “a segmento” può rivelarsi non del tutto congruo, a iniziare dall’evidenza che il corpo individuale del vivente era già presente -in qualche modo- nell’essenza organica dei progenitori, precedendo il punto di nascita. Presenza della persona che potrebbe ancora persistere grazie ai suoi cromosomi nell’eventualità travalichino, per mezzo di figli e nipoti, l’individuale punto morte.
Se il modello “a segmento” appare parzialmente incongruo nel definire l’esistenza dell’individuo, risulta ancor più inadeguato nel suo asfittico circoscrivere la Persona. L’umano Soggetto si espande su ben altre dimensioni, magari a spirale, talvolta a complessa linea tratteggiata con punto di partenza e di arrivo non sempre precisabili e misurabili1. Il Soggetto può implementare pensiero capace di travalicare, più dei funzionamenti biologici, il punto morte. E’ erede e fautore di tradizioni, di relazioni, di cultura, che anticipano e proseguono i convenzionali punti di nascita e morte. L’ontologia storico-sociale è risultato di tali personali espansioni implementate da ogni Soggetto; sovrapposizioni di linee fluttuanti in dinamica relazione, più che somma di fissi segmenti.
Però il segmento può ben misurare uno stuzzicadenti ed è anche faccenda decorosa per l’ufficiale di stato civile comunale, quello che nel redigere il certificato di morte segna il tratto di retta compreso fra il punto della data di nascita e quella di morte. Per tutto il resto forse meglio diffidare.
1 Nell’emanciparsi dall’approccio a segmento geometrico possiamo incontrare posizioni estreme. James Hillman, psicologo analista junghiano, a tratti contiguo allo sciamanesimo, nel suo libro «Il suicidio e l’anima» non si preoccupava più di tanto del tragico epilogo di qualche suo paziente a rischio di suicidio, convinto che la psicoterapia avrebbe potuto proseguire post mortem. Al riguardo forse più accettabile il purgatorio cattolico interpretato come narrazione mitica.
Strategie di sopravvivenza
L’affermazione «Niente succede per caso», tutto sommato esprime sottomissione a un qualche Regista occulto;
la variante personale «Con Tizio niente succede per caso» potrebbe notificare sottomissione a un qualche guru.
In tale assoggettamento c’è anche la versione tradizional-confessional-popolare, un po’ continua al magico, «Non cade foglia che Dio non voglia.»
Modi di anestetizzare l’angoscia procurata da possibili agguati dell'inopinata eventualità, forse per miseria di personale potenzialità.
Punti di vista
Al terzo appuntamento dallo psicoanalista d’improvviso riferisce un ricordo rimosso:
«Papà disse di aver sentito una voce che lo chiamava per nome. Lui rispose: “Eccomi!”. La voce riprese: “Prendi tuo figlio, và e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò”. Così arrivarono al luogo che la voce gli aveva indicato; qui papà costruì un altare, mi legò sopra, stese la mano e prese il coltello per immolarmi.1 Poi non mi ricordo più. A me la cosa mica mi era tanto piaciuta, però in giro dicevano che papà era una gran bella persona.»
1 Gen 22,1-10 Testo TILC (libera estrapolazione)
Se ci sei batti un colpo
La fotografia della faccia del defunto sembra attualizzarlo, invece lo pietrifica fissandolo nel passato.
Un po’ contigua a tale fissazione è il religioso immaginare vivo e morto collocati in un luogo di ordine superiore, sorta di accesso a un salotto metafisico che dispensa parvenza di contatto e conversazione.
Forse più efficaci gli strumenti di contatto neopagani come il piantare un albero in onore del defunto, così da glorificarlo attraverso un simbolo naturale, vivo e condiviso.
Ma, alla larga da occultismi, il contatto fattuale accade attraverso lo strumento scrittura se il defunto aveva scritto - comprese le varianti del detto e riferito - il suo pensiero. Il discorso di un autore vissuto più di dieci secoli fa ti si può avviluppare al corpo stimolandolo più di un partner vivo e vegeto. L’evento apre scenari imponenti per vivi e morti.