Bruno Vergani
Radiografie appese a un filo. Condivisione di un percorso artistico, davanti al baratro con angoscia parzialmente controllata.
Deontologie
Artigiani, commercianti e titolari d’impresa piccola o grande che sia, normalmente schivano di sparlare in piazza, specialmente coi clienti, di colleghi e concorrenti, scorgendo in tali maldicenze preciso indizio di miseria professionale in chi le proferisce. Così, anche se presenti rancori ricorrenti e tenaci, evitano perlopiù la pubblica denigrazione dei compagni di mestiere per lasciarla a qualche bottegaio di paese che tenta di accaparrarsi clienti sminuendo la concorrenza invece di incrementare personali competenze.
Ieri sera ho sfogliato una storia della filosofia letta l’anno scorso. Il lemma più copioso? Ontologia? Verità? Metafisica? Storia? Natura? No. Il termine più ripetuto nell’intero libro risulta -a occhio- “pittoresco”, utilizzato dal filosofo autore a commento della maggior parte di tutti gli altri filosofi. L’Autore lenisce sospetti di soggettiva megalomania onorando la grecità nel suo insieme oltre a palesare stima per qualche filosofo posteriore e collocando, in alcuni passaggi, lui stesso nella cerchia dei pittoreschi.
Il volume nel dipanare 2.500 anni di storia filosofica rendiconta di proficue alleanze e sinergie tra qualche filosofo, alternate da pubbliche, copiose, sistematiche e reciproche contumelie fra tutti gli altri. Cose alte da quelle parti. Chissà? Probabilmente lassù vige, per tanti, altra deontologia.
Il trafiletto
Testimonianze di sopravissuti ai lager nazisti riferiscono di kapos che li colpivano a vanvera: uno si quattro no, poi due si in rapida successione e sei no. Succede ancora nei reparti di oncologia pediatrica e quando il salto di corsia di un autoarticolato sfracella chi passa in quel preciso istante proprio lì invece che un altro. Se quella mattina prima di partire gli fosse caduto il tappo del dentifricio nel lavabo avrebbe perso quei trenta secondi per recuperarlo e partito dopo sarebbe rimasto vivo ancora un po’.
La Polstrada con ordine razionale aveva indagato sull’incidente diagnosticando precise causalità lineari: eccesso di velocità del Tir e colpo di sonno dell’autista così, dal barbiere, i compaesani informati delle cause dell’accidente da un trafiletto di cronaca locale con a lato l’oscena foto del cadavere col lenzuolo sopra, avevano l’impressione di tenere la situazione sotto controllo: quella perfetta integrazione di ogni parte nel tutto anestetizzava la casualità elargendo sensazione di immortalità e poi, di fatto, la storia andava avanti anche senza quello lì: mica era invalidato il suo progresso, il suo costante sviluppo.
Lui era rimasto perplesso, lui era schiattato a capocchia e quella interpretazione mica lo convinceva. Non se l’è presa più del necessario, aveva il senso della misura e aveva appreso da tempo a non controllare: nato senza averlo chiesto, da genitori non scelti, in un paese inaspettato, con una sorella maggiore non richiesta e un nome che non avrebbe voluto anche se poi si è abituato.
Trasformato in un trafiletto non è entrato nella Storia e numerosi filosofi, al pari di giornalisti di provincia, permangono indifferenti alla sua vicenda universale. Giacché a me l'esposizione all'imponderabile interessa forse meglio che non perda più tempo con loro.
L'Incipit
Forse la filosofia ha avuto due inizi:
quella del primo uomo con davanti l’amato amico morto che ha cercato soluzione al proprio dolore creando cosmogonie, oppure quella del primo uomo che sfruttato da un altro ha reagito analizzando le cause della sua condizione escogitando soluzioni.
Però non possiamo escludere che nella prima ipotesi l’amico sia stato ammazzato da un rivale e i due inizi si siano unificati.
Cronaca locale
Italia sud orientale, inizio di febbraio, villa comunale. Vecchio pensionato su panchina da una parte. Vecchio pensionato con nipotina dall’altra.
Il primo immobile e mesto, il secondo soddisfatto lavoratore nel laboratorio di ricerca operativa e opificio di trasformazione fondato e diretto dalla nipotina.
Forse meglio se lo avesse implementato lui il laboratorio senza sottostare a chicchessia, ma va bene anche così.
La fotografia
Rudolf Steiner affermava che a ventuno anni la persona è completamente formata e definita. Avevo più o meno venticinque anni quando frequentavo Steiner e l’antroposofia e quella teoria, che mi precludeva ulteriori possibilità di crescita, non mi aveva convinto. Consideravo che verso i vent'anni ossa, muscoli e neuroni, interrompevano sì lo sviluppo per iniziare una lentissima agonia, ma "Io" no.
Negli anni a seguire quella ipotesi mi girava intorno e nell’osservare una mia foto di quando avevo venti anni (non è quella pubblicata, quello è un altro) mi ci ritrovavo appieno anche se ero invecchiato, scorgendoci dentro il nucleo autentico della mia natura. E' anche capitato che nell’incontrare un qualche giovane talvolta lo marchiavo con un: «permarrà così» nel suo porsi nel mondo. Probabilmente più erudito, forse più saggio, o più stanco oppure deluso, ma lo stile sarà quello.
Inique le fotografie di ventenni se sentenziano ben riusciti e malriusciti a vita, eppure incontravo indizi a conferma della teoria a iniziare dai registi che danno quasi sempre il meglio nei primi film e poi i poeti e i filosofi e gli scienziati che esprimono, seppur in nuce, tutta la personale potenza nelle opere giovanili.
Ieri sera nello sfogliare i Saggi di Montaigne - Libro I, Capitolo LVII « Dell’Età » - incontro un modo di dire della Francia del 500: « Se la spina non punge quando nasce, è difficile che punga mai. ». E Montaigne mica lo contesta, anzi lo esalta spietato:
« Quanto a me, penso che a vent’anni i nostri animi si siano ormai sviluppati quanto devono esserlo, e promettano quanto potranno. Mai un animo che non abbia dato a quell’età testimonianza ben evidente della sua forza, ne dètte la prova in seguito. Le qualità e le virtù naturali mostrano entro quel termine, o mai, quello che hanno di vigoroso e di bello. »
Termine perentorio definito da casualità, da vocazione, da libertà, da DNA, o da un mix dei quattro?
Non mi preoccupo, ormai l’ho oltrepassato.
Ecoappartenenza
Ho osservato vecchi contadini con le mani tanto consumate da non poter più lavorare indifferenti all’imminente personale morte perché impensieriti dalle erbacce che gli soffocavano le fave. Anche in ospedale ho incontrato uno col corpo rinsecchito che pensava tutto il giorno al suo orto coi pomodori da irrigare.
Allora ho implementato un orto botanico con numerose specie mediterranee così da schiattare pensandole invece di farlo guardando Rai 3. Perché sia ben chiaro lo scopo ho evitato qualsiasi specie edule. Solo aromatiche e psicotrope.
Cella di rigore
Più si vuole enunciare un pensiero che risulti vero, razionale e obiettivo, più occorre estesa premeditazione e prolungata costrizione così da dettagliare rigorosamente, convenzionalmente, esaurientemente, ogni particolare dall’inizio. Sarà anche necessario fermarsi a lungo per considerare tutte le connessioni e ogni conseguenza prodotte dal personale pensiero, come pure ciascun corollario e di tutto questo riportare meticolosamente gli autori che hanno affrontato o toccato la tematica, nonché attardarsi per anticipare risposte alle innumerevoli potenziali obiezioni degli interlocutori.
Che strano, in natura l’andare troppo per le lunghe è condizione ottimale per la produzione di muffe, forse anche nel pensiero l’eccessiva composizione può produrre decomposizione.
Misericordia
Mi è capitato di incontrare preti che sono filosofi e filosofi che sono preti.
Il filosofo di solito si distingue dal chierico (ateo, agnostico o religioso che sia) perché invece di censurare o espellere l’interlocutore contestatario e non ossequioso, coglie l’intoppo come opportunità per proporsi e proporgli un riordinamento di pensiero.
Più l’interlocutore si rivelerà cretino, più indigente sarà il suo pensiero e la correlata manifestazione, più si avrà prova del valore del filosofo nel tentativo, per quanto possibile, di ricostituirlo ricapitalizzandolo, più o meno come nelle Spa.
Cosmogonie
«Quest’ordine universale, che è lo stesso per tutti, non lo fece alcuno tra gli dèi o tra gli uomini, ma sempre era, è e sarà fuoco sempre vivente, che si accende e si spegne secondo giusta misura»1
Che strano che questo destituire creatori e creature cagioni una sacra reverenza silente e sottomessa, grave e imponente come quella che procurano le messe cantate glorificanti la trascendenza di un soprannaturale domineddio.
Ignorando soluzione forse meglio, nel frattempo, che alla larga da sempiterni altiforni e messe cantate accenda il fuoco del personale ordine. Vivente, valoroso e universale in misura del mio quotidiano lavoro.
1 Eraclito, frammento 30.
Tranvai
Gli slogan di contestazione scanditi in piazza, i cori urlati da tifoserie e le marcette militari e religiose un po’ si somigliano nell’incedere ripetitivo e le pause minime tra i suoni. Tanto minime e disabitate che, in musica, non si chiamano pause ma fermate come quelle del tram che, nella sua meccanica sintassi, trascura la segmentazione ragionata.