Un qualcosa “di più” ?
Ripensando il concetto di selezione naturale introdotto da Charles Darwin, ho considerato che “selezione” è termine equivoco, visto che il selezionare implica scelta e valutazione attiva, mentre Darwin affermava tutt’altro. Per evitare equivoci avrebbe potuto utilizzare il termine “smistamento” come gli scambi che convogliano meccanicisticamente i treni su binari differenti. “Smistamento naturale” non suona poi male, ma siccome di queste cose so poco e niente ho chiesto a due esperti, il filosofo Orlando Franceschelli che molto si è dedicato a Darwin[1] e al biologo Germano Federici, ferrato naturalista, una rara Alchemilla individuata grazie alle sue ricerche porta il suo nome: Alchemilla federiciana, Ventaglina di Federici, Alchemilla di Federici; (Alchemilla federiciana S.E. Fröhner).
Segue la mia domanda e le loro risposte.
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Premessa. In condizioni ambientali date perdurano quei geni che mutati casualmente, o forse meglio dire mutati per cause non-lineari, si ritrovano ad avere caratteristiche più adatte per vivere in quel dato ambiente, mentre i meno adatti tendono a esaurirsi. Dunque un processo selettivo che pur utilizzando “materia prima” (geni) plasmata dal caso, (è finalizzato?) a far perdurare -in opposizione, dunque, alla cieca casualità- gli organismi viventi in uno specifico ambiente; tant’è che gli organismi biologici tendono perlopiù all’esserci invece che al non esserci, oppure ad alternare casualmente le due condizioni, basta guardarci in giro per averne conferma.
Domanda. Se la suesposta descrizione è corretta con il termine selezione si intende non una sorta di supervisione che dal cesto delle mele sceglie le sane e scarta le bacate, ma un ordine meccanicismo deterministico, come lo è la forza di gravità che dalle nostre parti tira sempre verso il basso (nella fattispecie in oggetto "tira" alla vita) invece che a caso qualche volta a destra, altre a manca oppure all’insù. Se è così, il termine “selezione” potrebbe risultare eccessivo, in quanto il processo non eccita i geni a modificarsi in modo che diventino più performanti in uno specifico ambiente dato, ma sono più adatti semplicemente per casuali caratteristiche, pertanto la seleziona naturale altro non è che un mero meccanicismo deterministico (il grave che cade giù non “seleziona” quell’andare tra possibili altre direzioni, ma ci va meccanicisticamente). E’ così o Darwin ha osservato che nella interazione ambiente-gene accade qualcosa “di più” rispetto al grave?
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Risposta di Orlando Franceschelli, filosofo.
Tocchi un argomento centrale e complesso. Ma il tuo quesito centra il problema: la biologia è una scienza molto più storica e meno meccanicistica, poniamo, della fisica. E questo significa che nella tua analisi devi far rientrare esattamente quel 'di più' di cui parli. E di cui ti indicherei due aspetti: il carattere artigianale dei processi selettivi in relazione all'ambiente; e il fatto che lo stesso patrimonio genetico è influenzato da variabili storico-culturali.
Col primo si intende che l'evoluzione non è un ingegnere meccanico, ma un artigiano che appunto fa bricolage evolutivo: trasforma e adatta all'ambiente ciò che trova e lo fa però in modo cumulativo, ossia non ripartendo sempre da zero, ma a partire, ossia ritrasformando quello che già aveva trasformato e così via. La trasformazione più adatta ha ovviamente maggiori possibilità di trasmettersi. Ma è del tutto fuorviante pensare che pressione ambientale e processi selettivi da soli non sarebbero in grado di formare organismi complessi, come l'occhio. Il complesso non appare di botto e già intero. Si forma lungo processi evolutivi -questa è la selezione naturale- che richiedono tempo e incorporano la contingenza non un fine che precederebbe il processo. In questo senso Darwin è la fine di ogni disegno intelligente quale presupposto 'necessario' della complessità che vediamo nella realtà naturale. Come ben sanno anche i rappresentanti del teismo evoluzionistico di cui anche a me -detto con tutta la modestia del caso- è capitato di occuparmi.
Quanto ai geni: anche la loro manifestazione in qualche modo interagisce con l'ambiente e con la cultura. E' chiaro che noi abbiamo un genotipo Homo sapiens fissato dai processi selettivi di cui sopra. Ma appunto grazie a questo patrimonio genetico siamo -almeno fino a che l'ingegneria non interverrà in modo pesante sulla nostra dote biologica- costruttori di nicchie ecologiche che poi retroagiscono sulla diffusione e la manifestazione delle nostre potenzialità genetiche. Perciò la natura umana non è mai stata solo nei geni: è da sempre bio-culturale. Perciò non c'è determinismo genetico e può avere senso invece prevedere una medicina che curi le malattie proprio nella loro fonte genetica ma ovviamente a fin di bene, di cura appunto: curi non alteri la dote biologica. Se dovesse alterarla, a che fine lo farebbe se non di potere? Chi sarebbe questo 'oltreuomo' geneticamente modificato? Chi decide la modifica da apportare?
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Risposta di Germano Federici, biologo.
Riparto da questa tua domanda per ulteriori riflessioni. Concordo con il filosofo quando dice che il "di più" nel processo selettivo è la complessità dei processi in atto, che prevedono azioni e reazioni non prevedibili a priori nel risultato che daranno, se non in termini generali. Ma quel "di più" è sempre riconducibile alla cooperazione tra caso e necessità, di cui parla Monod. Il processo evolutivo si diversifica da quelli fisici classici per il fatto che la storia del sistema che stai studiando in un certo istante condiziona, in modo in larga misura imprevedibile, quello che avverrà poi. Nella fisica classica, se conosci un paio di grandezze fisiche v=s/t, puoi calcolare la terza con una precisione data, indipendentemente dalla storia precedente del sistema. Non così nei processi biologici in generale, e soprattutto in quelli evolutivi ed ecologici, in cui sono in azione non due, ma n fattori, con n tendente a infinito. Questi fattori interagiscono condizionando l'uno la risposta dell'altro in una catena che fa sfumare la "certezza" del risultato in un processo che invece appare sempre più creativo (sorprendente), quanto maggiori sono i fattori in gioco. Non c'è da meravigliarsi se Lovelock è arrivato a personificare la Terra, battezzandola come Gea e, ben prima di lui, Spinoza a far coincidere in qualche modo Dio e natura.
Come ha scritto Franceschelli c'è poi un "di più" rappresentato dalla comparsa dell'uomo, oggi in grado di pilotare l'evoluzione di se stesso e, domani, forse di qualsiasi sistema. Già Darwin nel libro sull'evoluzione dell'uomo ha affrontato questo tema suggestivo, arrivando alla conclusione che, grazie alla coscienza e al senso etico che la caratterizza, la scimmia nuda (D.Morris !) dirige il processo selettivo. Si tratta di un nuovo modello interpretativo che giustamente a mio parere il filosofo Patrick Tort ha definito "la seconda rivoluzione darwiniana", largamente ignorata dai critici. Quel "di più", rappresentato dalla coscienza umana con ciò che ne consegue, non è peraltro un "di più" qualitativo, ma quantitativo o meglio, qualitativo perché più quantitativo rispetto ad altri organismi... Quanti neuroni sono serviti per dare la coscienza umana? Scriviamo qualsiasi numero, ad es. 3527 e chiediamoci se è possibile che lo stesso organismo con 3526 ne fosse privo. Nei libri di Darwin c'è l'idea che non esistono soluzioni di continuità tra uomo e animali, come non c'è nel processo di ominazione tra Australopithecus e Homo o tra Homo erectus e H.sapiens.
Quando si pensa al cammino che la materia ha seguito, partendo dalle interazioni di varia forza tra particelle elementari e fino ad arrivare al presente, non si può che rimanere storditi dalla sorpresa (Taumante !), che genera dei. L'idea del divino è scritta nel campo di forze delle particelle.
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1 Saggi di Orlando Franceschelli sulla tematica: Darwin e l'anima. L'evoluzione dell'uomo i suoi nemici; La natura dopo Darwin. Evoluzione e umana saggezza; Dio e Darwin. Natura e uomo tra evoluzione e creazione.
Disordine ordinatissimo
“Quale padre, se il figlio gli chiede un pane, gli darà una pietra? O se chiede un pesce, una serpe? O un uovo, gli darà uno scorpione?” (Luca 11,11-12)
A livello subatomico non c’è un prima e un dopo e neppure un qui e un là , ma un fluttuare aspaziale e atemporale di sterminate imprevedibilità, eppure proprio da tutto ciò anche questa primavera in fondo al cortile da una ghianda di roverella è nata ancora una roverella.
Majestas e tremendum
Grazie a millenni di civiltà sappiamo molte cose, ma dinanzi all’imponente natura che ci precede, alla consapevolezza della nostra morte, alla sofferenza che senza ragione comprensibile investe a capocchia amici innocenti, sperimentiamo lo stesso sgomento dei primitivi sapiens, che per risolvere l’incomprensibile piantavano un palo in mezzo alla radura consacrandolo con storie, così da traghettare nel comprensibile l'incomprensibile attraverso fantasiosi riti, questo è quanto.
Eppure in quella imprevista mossa di immaginazione aleggiava, e aleggia, uno strano potere oltreconfine.
Adoratori di amminoacidi
«La spiritualità, senza pretendere di possedere verità immutabili, provenienti da una forma esterna, si richiamerà precisamente al contributo della scienza» (José María Vigil, teologo).
Indubbiamente proficuo il dialogo tra spiritualità e scienza, ma l'ingiuntiva indicazione del teologo ad una perentoria conformazione, tout court, della spiritualità alla scienza non è forse un buon affare, né per la spiritualità, né per la scienza. A differenza di come -qui- la riduce il teologo Vigil, sappiamo -con lui- che la spiritualità è dimensione più vasta e più intelligente del possedere fisse verità rivelate da un qualche Dio unico. Spiritualità è anche arte, poesia, intuizione, espressione, estetica, parola, fantasia, etica, rappresentazione, naturalità, creatività, dimensioni prelogiche, dove ogni espressione, nel suo specifico dominio, concorre alla conoscenza e alla rappresentazione della realtà. Salvaguardando, beninteso, l'operare sovrano della scienza nelle proprie aree di competenza. Che fa la scienza? Fa moltissimo, ma non fa tutto, nel suo indagare la natura[1] portando a sé suoi pezzi per elaborarli attraverso un (provvisorio) pregiudizio ontologico[2].
Aspetto inquietante di questa coincidente uguaglianza della spiritualità con la scienza, è la preclusione ad una spiritualità laica, in quanto sostituisce, dalla padella alla brace, magisteri confessionali con magisteri scientifici. Lì se sei profano puoi solo tacere e obbedire, roba che va benissimo quando hai il mal di stomaco e vai dal validato dottore ottemperando le sue prescrizioni, ma per tutto il resto forse meglio evitare il pontificare di qualsiasi monsignore universale; cosa che la scienza non fa, ma il teologo post-teista[3] gli vuole far fare.
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1 In fondo, più che alle scoperte scientifiche, è alla natura che una sana spiritualità dovrebbe innanzitutto richiamarsi, diciamo così in presa diretta. Esperienza dove il contributo della scienza è una modalità portante, ma non la sola. Si potrebbe, forse, fare prendere un po’ di ossigeno all’affermazione di Vigil riformulandola così: “La spiritualità, senza pretendere di possedere verità immutabili e soprannaturali, si richiamerà alla natura”, posizione che non preclude all’ulteriore e all’oltre.
2 Un tacchino, iniziò a vedere scientificamente mondo:
«Fin dal primo giorno questo tacchino osservò che, nell'allevamento in cui era stato portato, gli veniva dato il cibo alle 9 del mattino. E da buon induttivista non fu precipitoso nel trarre conclusioni dalle sue osservazioni e ne eseguì altre in una vasta gamma di circostanze: di mercoledì e di giovedì, nei giorni caldi e nei giorni freddi, sia che piovesse sia che splendesse il sole. Così arricchiva ogni giorno il suo elenco di una proposizione osservativa in condizioni più disparate. Finché la sua coscienza induttivista non fu soddisfatta ed elaborò un'inferenza induttiva come questa: "Mi danno il cibo alle 9 del mattino". Questa concezione si rivelò incontestabilmente falsa alla vigilia di Natale, quando, invece di venir nutrito, fu sgozzato.» (Bertrand Russell).
3 Rifiutando radicalmente le verità rivelate del Dio antropomorfo tradizionale, maschio padre e nel contempo soprannaturale, trascendente e onnipotente, che parla ai suoi prescelti e li salva attraverso le rivelazioni del Libro e la tradizione della Chiesa, il post-teismo chiede una rifondazione teologica, che liberandosi dai letteralismi biblici a da concezioni dottrinali incompatibili con le nuove scoperte scientifiche, abbracci una spiritualità umana laica e post-religiosa. Detto così il post-teismo è tale e quale all’illuminismo, in effetti gli assomiglia anche se ideologicamente più tranchant nel negare Dio, in quanto rifiuta anche il laico deismo illuministico perché trascendente. Rispetto ai perentori “Post” -diciamola tutta, il termine post-teismo gronda di ideologia e l'ideologia è inadeguata per indagare il sacro e le cause prime- gli “Oltre” suonano meglio, perché evitano di buttare con l’acqua sporca anche il bambino. Però neppure "Oltre-teismo" suona tanto bene, optiamo per "Oltre-confessionale"? Sembra un pochetto meglio.
Rigurgiti ottocenteschi
Non ci risulta che al vespro mentre la monaca canta:
“E il cielo che tingi di fuoco proclama la grande tua gloria”,
l’astrofisico l'interrompa per notiziarla che non è Dio che al tramonto tinge il cielo di rosso, ma la radenza dei raggi solari che angolano la luce in una più densa atmosfera che lascia passare solo le frequenze rosse. Non ci risulta neppure che, all’opposto, la monaca contesti l’astrofisico negando frequenze e lunghezze d'onda della luce solare per proclamare Dio col pennello in mano.
Consapevoli di quello che stanno parlando, non esiste scienziato vivente tanto cretino da contestare la preghiera della monaca, né monaca dei nostri giorni così deficiente da respingere la spiegazione dello scienziato. E allora com’è che di queste cose si discute ancora?
Evidentemente per le le mitizzazioni presenti nella dottrina della Chiesa, per le quali le monache sono piuttosto attrezzate nel distinguerle e ridimensionarle (forse sono troppo ottimista, chi ha tempo potrebbe svolgere una indagine), ma di più per i magismi e le superstizioni migrate dal paganesimo nel cristianesimo, tipica espressione le manifestazioni religiose popolari. Materia per antropologi più che causa di bisticcio fra astofisici e monache.
Perpetuo copia incolla
Chi forma quelli che formano i formatori?
Senza moti maieutici, quote di auto-fondamento e improvvise fluttuazioni autorali che si autorizzano da sé, solo meccanica ripetizione, alle volte dottissima ma ripetizione.
Mattacchione figlio di buona donna
«CAVALIERE: Io voglio sapere. Non credere. Non supporre. Voglio sapere. Voglio che Dio mi tenda la mano, mi sveli il suo volto, mi parli.
MORTE: Il suo silenzio non ti parla?» (Ingmar Bergman, da Il settimo sigillo).
Nell’Islam, più raramente nel cristianesimo, sovente in alcune tradizioni del buddhismo (vedi qui), i luoghi privilegiati per ascoltare quel silenzio che ci parla sono i cimiteri. Ma oggi c’è forse di meglio, si chiama Worldbirthsanddeaths e puoi vederlo qui. Per nulla macabro simula in tempo reale tutti quelli che nascono e tutti quelli che muoiono nel mondo in questo momento.
La prima evidenza che procura l'abnorme turnover in presa diretta è una sorta di detronizzazione dell’Io personale, in ogni momento ce ne sono così tanti che appaiono e così tanti che spariscono da inflazionarne il significato, fino al punto che contemplando la dinamica, anche solo per due minuti, sorgerà il sospetto che tutte quelle individualità nascenti, esistenti e morenti, sono in realtà la messa in scena di una entità briccona, che trasformista più abile di Brachetti camuffandosi in quelle forme simula di essere i tanti che nascono, esistono e muoiono, ma che invece è sempre e solo lui, nel suo sempiterno simultaneo nascere-esistere-morire.
Incontri ravvicinati, non so di che tipo
Nell’attesa di crepare avevo costruito uno stagno, né piccolo, né grande, ci avevo messo quattro pesci rossi e aspettavo che dal cielo arrivassero le rane, e le rane sono arrivate davvero. Ieri mattina ero sceso allo stagno per farci tre giri intorno, un bel posto per ruminare i misteri dell’universo, e in mezzo allo stagno vedo ergersi un airone cenerino. Resto paralizzato, folgorato dall’evento (rarissimo), dall’epifanica sovrabbondanza di grazia, mi sarebbero bastate le rane e invece è arrivato un airone, non so perché.
L’evento epifanico succede poche volte in una esistenza, è una esperienza strana perché l'imprevista accecante visione esterna corrisponde all’istante ad una, ancora più potente, esperienza intima di terrifica bellezza, perfetta e assoluta. Roba forte, forse un po’ pericolosa.
L’airone nel vedermi a distanza ravvicinata aveva spiccato il volo molto lentamente, però questa mattina è ritornato. Quatto, quatto, ho provato a fotografarlo e quello si è offeso e si è alzato in volo ad alta quota. E dire che lo sapevo che ai Serafini non piace essere fotografati. Ma forse domani torna, così, senza ragione.
Equivoci
Se l’insieme degli insegnamenti professati dai monoteismi non si rifonderanno armonizzandosi con le nuove scoperte scientifiche del cosmo in evoluzione, della relatività generale, della meccanica quantistica ecc. , a quegli insegnamenti non crederà più nessuno e finiranno, come in effetti sta succedendo.
Tuttavia se quei corpi dottrinali venissero riscritti in armonia con la scienza non possiamo escludere che queste nuove versioni conformi collasserebbero ancora prima, perché si ridurrebbero a un superfluo doppione della scienza, a una inutile copia dell’originale.
Inquinamento endogeno
Si potrebbero spiegare le credenze nel terrapiattismo, o in simili convincimenti deliranti come il Covid negazionismo, semplicemente interpretandole come subculture malate, architettate da malriusciti e scompensati. Chiazze circoscritte di ignoranza e paranoia che galleggiano, qua e là, su un mare di lucido buon senso, di erudizione e di diffusa saggezza.
Quadretto naïf chiaro e rassicurante, se non fosse che per scoprire l’origine di quelle chiazze sarebbe forse utile, prima di proclamare tolleranza zero verso ogni devianza, indagare il mare per verificare che non sia proprio quello a produrle.
Non possiamo escludere casi di persone che schiacciate da sempre da reiterate esclusioni, abbiano reagito con un militante porsi-opporsi, così a prescindere, del tutto indifferenti ad ogni evidenza logica, nell'inconsapevole disperato tentativo di poter, in qualche modo, esserci e partecipare ancora.