Monismo di strada
Ma non è che necessità, caso e libertà, sono la stessa identica cosa a cui diamo nomi diversi indotti dal punto di vista che assumiamo?
Disneyland
Col romanticismo i giardini mutano, finiscono quelli formali all’italiana e alla francese, geometrici con fontane e statue, e si inizia a simulare la selvaggia natura con artefatti che la imitano.
Con la rivoluzione industriale i contadini cessavano di coltivare patate per andare in fabbrica e gli aristocratici piantumavano, al posto delle patate, cespugli e fiori rari così da sorprendersi nonostante l’artefatto programmato, così da emozionarsi delle finte grotte che avevano fatto costruire, così da godersi improbabili pagode e tempietti un po’ perversi contigui a rovine fasulle.
Il giardino all’inglese proclama la gloria della selvaggia natura e con essa dell’uomo libero e sovrano, anche se quelli che in quei terreni coltivano patate si erano riversati in fucine a mozzarsi le dita col maglio e bruciarsi le trachee col coke, mentre gli aristocratici eccitati dalle fragranze vegetali messe in scena si dilettavano con le rime di un sonetto divise in tre quaterne e un distico.
L’ecologia è qualcosa di più vasto e di molto più complesso del mero verde.
Fitofilia
Sembra che a Socrate le piante dicessero poco o niente: “Il fatto è che a me piace imparare, ma la campagna e gli alberi non vogliono insegnarmi nulla, a differenza degli uomini della città.” (Platone, Fedro).
Anche Costanzo Preve, filosofo di ispirazione marxiana hegeliana, scrivendo dell’ultimo Jean-Jacques Rousseau giudicava un fallimento il suo essere finito in giardino a contemplare piante selvatiche. Il giardino è un rifugio rassicurante, annotava Preve, perché a differenza degli uomini le piante non parlano.
Perfino Jung, seppure in seguito interessato alle piante addirittura in prospettiva alchemica, osservava che una particolare passione per le piante potrebbe essere indizio di disturbo evitante; persona che distogliendo per timidezza, timore, o orgoglio, la libido dai suoi simili fa sì che si convogli nell’inconscio, dove ritorna a lui in forme arcaiche e infantili, talora producendo nevrosi.
Diagnosticato il disturbo non è semplice formulare una prognosi anche se sembra sia perlopiù favorevole, ma il decorso è lungo.
Umani pettegolezzi
Sotto al Pino d’Aleppo spinte da una potenza bella e affidabile, alla quale sento di appartenere, stanno rifiorendo la Bellavedova e la Pervinca. Ma questa evidenza di bellezza, affidabilità e inerenza, potrebbe essere nient’altro che una mia costruzione: un “riempimento dell’intenzione” (Husserl).
Ma intanto, sia come sia, svincolata dai giudizi e dagli aggettivi che gli appiccichiamo addosso quella potenza-sostanza continua il suo onnipervadente movimento glorioso.
Genealogia della morale
Nella colonia felina è arrivata, chissà da dove, una gattina macilenta in massimo grado e una decina di gatti tutti lì a leccarla e scaldarla, pure il cane la tratta bene.
Mica è vero che la legge naturale sentenzia sempre e comunque l’estinzione crudele del malriuscito inadatto.
Forse anche Gesù e Salvo D’Acquisto, al pari di quei gatti buoni, sono (anche) fenomeni naturali.
Teleologia
La civiltà e la psiche individuale poggiano sul lavoro, movimento attivato da energia desiderante che punta a un determinato fine che ci soddisfi.
Ci sta che l’universo un senso non ce l’abbia, mica è insoddisfatto come noi.
Mistica di marciapiede
Tra le mattonelle del marciapiede sta fiorendo la Veronica persica, quei comunissimi fiorellini azzurri che da bambini ci dicevano essere gli occhi della Madonna. In effetti non avevano torto, basta che ti fermi per osservarli e la dea la vedi subito nell’immanenza del fiorellino. Il suo occhieggiare ti fa trascendere a te stesso, però dura poco, faccenda di secondi.
Capisci che stai trascendendoti perché avverti una sensazione di piacere e di immortalità. Quel quid che attiva il processo possiamo chiamarlo potenza, essenza, sostanza o natura, come facevano i filosofi, ma se non lo nomini trascendi meglio.
Cattura mattutina, esercitazione pratica
David Hume (1711–1776) nel suo “Trattato sulla natura umana” nega l’esistenza dell’Io con parole chiare e semplici: “Quando rifletto su me stesso, non percepisco mai questo io senza una o più percezioni, né percepisco mai altro fuori da queste percezioni. E’ l’insieme di queste, dunque, che forma l’io […] l’annientamento che alcuni suppongono seguire alla morte e distruggere interamente l’io, non è altro che l’estinzione di tutte le particolari percezioni”.
Appare evidente che Hume è un filosofo singolare[1], per visitare e verificare il suo pensiero non basta ragionare ma occorre sperimentare, così ho provato a verificare empiricamente se ciò che credo essere il mio io esiste davvero, o se invece è una entità immaginaria prodotta dalle percezioni sensoriali e coincide con queste, come sostiene Hume. Ma vedersi l’io è operazione più macchinosa che guardarsi l’occhio senza specchio. Un buon stratagemma per catturarne la sussistenza è quello di intrappolarlo nell’istante del risveglio mattutino, non appena esce dalla tana del sonno profondo impersonale. Una sera mi ero, così, proposto di osservarmi la mattina successiva all’istante del risveglio per acchiapparlo.
Per tre mattine mi ero risvegliato scordandomi del proposito, ma alla quarta avevo agito per tempo e appena aperti gli occhi avevo percepito con precisione sorgere spontanea l’impressione-idea “sono”, immediatamente seguita dal pensiero “sono io” mica un altro, e da qui all’istante e a valanga ho provato sensazioni, passioni e emozioni, venirmi da tutto ciò che mi circondava che si mischiavano a quelle che emergevano dalla memoria. Ho così provvisoriamente[2] concluso che l’io è e c’è indipendentemente dalle percezioni che proviamo, solo che è difficile individuarlo perché anticipa di pochissimo tutto ciò che percepiamo e in un baleno diventa un tutt’uno con esso. Forse Hume non è stato abbastanza rapido?
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1 Nel “Trattato sulla natura umana” nell’affermare il primato delle impressioni, ovvero sensazioni, passioni e emozioni nell’atto in cui vengono provate, e giudicando le idee immagini illanguidite delle impressioni, opera un capovolgimento filosofico che mina le concezioni classiche dall’Essere parmenideo, delle Idee platoniche e del loro mondo con correlati Universali. Sviluppando le semplici premesse suesposte detronizza, o comunque problematizza in massimo grado, il principio di sostanza, di spazio, di tempo, di estensione, di io, di libero arbitrio, di causa e effetto e ovviamente di causa prima. Di tanto in tanto un bel rimescolamento del mazzo di carte ci vuole e Hume lo sa fare, per questo al di là dell'essere in accordo o in disaccordo con la sua filosofia è innegabile che il frequentarlo ci permette di vedere le cose da una prospettiva diversa. Angolazione in ogni caso proficua perché ci consente di rivedere consapevolmente concezioni tradizionali che non di rado percepiamo vere solo per il fatto di averle introiettate erigendole a regole generali condivise, concezioni anche giuste ma sovente inconsapevoli, che Hume problematizzandole ci restituisce risvegliate. Riguardo questo capovolgimento di prospettiva è giusto ricordare che già Tommaso d'Aquino, attingendo da Aristotele, affermava che "nulla è nell'intelletto che non si trovi prima nei sensi", giungendo però a tutt’altre conclusioni rispetto a quelle di Hume.
2 Resta ancora da spiegare chi o cosa ha percepito l'io uscire dalla tana. Forse una sorta di onnipervadente coscienza universale?
Incantesimi metempirici
Erbe magiche che ti separano dal corpo, rivelazioni dall'alto, viaggi danteschi nei regni dell'oltretomba, terzi occhi in mezzo alla fronte, miti platonici, ghiandole pineali, trance estatiche, Campi Elisi, intermediari celesti; anfibi metafisici con una zampa nella finitudine e l’altra nell’eterno, orgasmi tantrici, anime immortali… Si è escogitato un po’ di tutto per connetterci ad un presupposto al di là, ma nonostante il caparbio impegno nell'aprire feritoie nell'immanente per trasvolare nel trascendente, l’aldilà non l’ha visto ancora nessuno.
Però questo universale, incessante, irriducibile, desiderio[1] d'oltrepassare, una cosa ce la mostra e dimostra: mica si sta tanto bene, di qua. Desiderio d'aldilà: forse anche angoscia di vita oltreché di morte.
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1 «Vivo sin vivir in mi,
y tan alta vida espero
que muero porque non muero.»
Teresa d'Ávila
(Vivo ma non vivo in me,
e attendo una tal alta vita,
che muoio perché non muoio.)
Un Ranuncolo
Arricchisce di più la contemplazione diretta di un ranuncolo selvatico del quale ignoriamo tutto, rispetto ad una sua completa conoscenza razionale appresa dalle discipline che si occupano di queste cose. I due modi di vedere differiscono tra loro quanto lo studio di un trattato di sessuologia differisce dalla personale esperienza erotica corporea,
eppure i due differenti approcci sono molto più che complementari considerando che, verosimilmente, tutta l’indagine fitologica scientifica prodotta dai grandi padri della botanica e delle scienze naturali, dall’anatomia alla fisiologia, dall’utilità dei vegetali alla loro classificazione, sia iniziata in loro attivata da un irrazionale impulso erotico sperimentato in pieno campo.