Bruno Vergani
Radiografie appese a un filo. Condivisione di un percorso artistico, davanti al baratro con angoscia parzialmente controllata.
Notturno delucidare
Al risveglio può risultarci chiara una frase ostica letta prima di addormentarci e talvolta avvertiamo ridimensionati passaggi di un libro che ci avevano intrigato la sera precedente. Non di rado il personale giudizio si precisa nel merito con conferme o smentite sui pensieri dell’autore letto, come anche di persone incontrare, film visionati e personali pensieri sui quali, prima di addormentarci, avevamo glissato.
Parafrasare, approfondire, contestualizzare, universalizzare, portare a termine semilavorati, valutare. Quanto lavoro nel dormirci sopra.
Neopaganesimo-cristianesimo uno a zero
Aveva iniziato Paolo di Tarso col tormentone delle metafore sportive. Sembra gli piacesse la corsa e anche la lotta, così esortava all’impegno spirituale tramite espressioni sportive. Qualche padre della Chiesa si è poi attardato nell’emularlo, così il popolo, più esperto in sport che in dottrina, grazie a metafore ludico-sportive riusciva a comprendere meglio i misteri della fede.
Ancora non esisteva il gioco del calcio come oggi praticato sennò, non possiamo escluderlo, ci sarebbero andati giù di brutto nel traslare il mondo intero al terreno di gioco calcistico con più solennità dei moderni preti d’oratorio: similitudini spinte tra la durata della gara in campo e la nascita e morte di tutti quanti; parabole sul pallone in gioco e la ricerca di meriti celesti nella segnatura di una rete; allegorie su calci di rinvio e d'angolo e anche di punizione; fuorigioco metafisici; mistiche verticalizzazioni dell’aria di rigore; apologie sulla sacra rimessa dalla linea laterale con arbitro e sacerdoti assistenti che sanzionano falli e scorrettezze veniali o gravi, finanche mortali così da meritarsi la scomunica dell’espulsione.
La viva tradizione millenaria delle metafore sportive, dove lo sport si erge a riferimento per le religioni e non viceversa -così per molto altro-, stila puntuale la classifica delle confessioni religiose attualmente più diffuse al mondo: mica primeggia il cristianesimo e manco l’Islam, è il paganesimo sportivo che deteneva e ancora detiene il primato assoluto con milioni di fedeli oranti nelle sue basiliche e cappelle di periferia, coi suoi chierichetti raccattapalle, con novizi, vescovi e cardinali e, di tanto in tanto, un qualche martire da onorare.
Non male questo imperante e onnipervadente neopaganesimo, tutto sommato interconfessionale e un po’ ecumenico.
Libera interpretazione proiettiva
A una certa età tutti possono ricordare la notizia del luttuoso accadimento di un prossimo caro. Se in quel preciso istante si trovava all’aperto forse avrà osservato l’amplificarsi della natura: brezza che diventa vento, cielo farsi più terso se sereno o più coperto se nuvolo.
Lì l'immediata percezione di scostamento tra la personale sofferenza e l’impassibilità della natura. Stabilità del cosmo percepita -come per le macchie di Rorschach- da qualcuno irriverente finanche beffarda, per altri interpretata consolante. Talvolta un mix dei due estremi.
Meme
In due stringati post avevo inconsapevolmente scritto della protoscientifica “Teoria dei memi”; un giro su Wikipedia per saperne di più. La differenza è che la teoria, oltre a quelli proficui, individua anche memi dannosi.
Se ci sei batti un colpo
La fotografia della faccia del defunto sembra attualizzarlo, invece lo pietrifica fissandolo nel passato.
Un po’ contigua a tale fissazione è il religioso immaginare vivo e morto collocati in un luogo di ordine superiore, sorta di accesso a un salotto metafisico che dispensa parvenza di contatto e conversazione.
Forse più efficaci gli strumenti di contatto neopagani come il piantare un albero in onore del defunto, così da glorificarlo attraverso un simbolo naturale, vivo e condiviso.
Ma, alla larga da occultismi, il contatto fattuale accade attraverso lo strumento scrittura se il defunto aveva scritto - comprese le varianti del detto e riferito - il suo pensiero. Il discorso di un autore vissuto più di dieci secoli fa ti si può avviluppare al corpo stimolandolo più di un partner vivo e vegeto. L’evento apre scenari imponenti per vivi e morti.
Consegna del testimone
C’è e ci sarà sempre qualcuno abile nel progettare aerei, costruirne di migliori e capace di pilotarli. Eppure tra - più o meno - cento anni manco uno dei competenti vivi ci sarà ancora e l’intero scibile umano verrà traghettato a nuovi nati, tutti con livello di conoscenza zero. Tabula rasa e si riparte.
Anche se a ogni passaggio non si riparte dalla preistoria; anche se siamo numerosi; anche se mentre qualcuno muore più di qualcun altro nasce senza soluzione di continuità e la consegna del testimone avviene gradualmente e non d’un botto, c’è tuttavia da meravigliarsi che un certo progresso riesca, tutto sommato, a perpetuarsi e a “tenere”.
In tale funzionamento ci deve essere qualcosa che va oltre la mera consegna di testimone. Forse abbiamo l’anima di gruppo come le formiche e il sapere raggiunto in qualche modo si espande osmotico, onnipervadente, a tutta la specie.
L'atto sovversivo
«E tu, lenta ginestra,
Che di selve odorate
Queste campagne dispogliate adorni,
Anche tu presto alla crudel possanza
Soccomberai del sotterraneo foco»
Con quel «Anche tu» Leopardi vede la ginestra sulla sua stessa barca; la interpreta compagna nell’epilogo che incombe sui mortali. Eppure in quel proferire del poeta capace di vedere, analizzare e giudicare i prefissati processi naturali in qualche modo li sorprende e scompiglia emancipandosi dall’incantesimo. Nel sovrano atto poetico che prende distanza dal destino artefice di impersonali automatismi giudicandolo, accade -pur nella ineluttabilità dei processi biologici e cosmici- una auto-redenzione, una immediata ricompensa, un appagamento pronta cassa.
La ginestra, grazie all’umano originale sovversivo giudicare di Lepardi, potrebbe scorgere anch'essa un barlume di sovranità, di emancipazione dalla «crudel possanza», invece permane catatonica, indifferente e all’incombente minaccia e a possibilità di salvezza.
Ginestra e poeta sulla stessa barca, ma differente è il loro navigare.
«Il giovane favoloso»
A un festival di filosofia avevano appiccicato sul muro un foglio con scritto:
«La filosofia è la biografia del filosofo».
Nonostante avessi subodorato criptomoralismo la “sentenza”, tutto sommato, mi era piaciuta. Dopo aver visto «Il giovane favoloso», film biografico su Giacomo Leopardi di Mario Martone, ho cambiato idea per la plastica esperienza dello scostamento tra vita (pensiero) e biografia del protagonista.
Incongruità inesorabile e universale: la biografia non è l’accadere del soggetto ma interpretazione narrativa -autobiografie incluse- dell’autore.
Nella biografia filmica, dove tutto è in campo, l’interpretazione del protagonista implementata dal regista inevitabilmente si amplifica, nonostante le migliori intenzioni di ottemperare “statuti epistemologici storiografici”.
Congrua a Leopardi è la sua opera omnia, tutto il resto -nel caso di specie abbozzi di caso clinico del malriuscito, estemporanee sovrapposizioni di madre natura e madre biologica, frequentazione di puttanai partenopei- è noia.
Giovevole estirpazione
Esausto di ferirsi smarrito nel sempiterno labirinto di ginepri ha sradicato
Il Padre, La Madre;
Il Figlio, La Figlia;
La Sorella, Il Fratello;
L’Amato e L’Amata,
per incontrarli finalmente per le donne e gli uomini reali che sono. Qualcuno amico, ognuno criticabile, ognuno apprezzabile. Nessuno indispensabile, manco lui.
Il “paretaro”
Nel costruire la parete a secco consideravo la vita degli uomini.
C’è la specchia dove si sistemano pietre di tutti i tipi sparse sul terreno che intralciano il cammino. Lavoro di ordine psicologico, epistemologico e estetico.
C’è, poi, il muro eretto con pietre scelte per forma e dimensione che, quando necessario, vengono ulteriormente squadrate e ridimensionate. Lavoro di apprendimento e messa in opera di materia prima altrui.
Alla fine c’è un terzo movimento, ma lì la metafora mi si è sgarrata perché impossibile nel campo eppure essenziale nella vita, quello del personale implementare pietre inedite.
L’ora di religione
Chiedo a mio nipote, che frequenta con profitto la terza elementare, se c’è qualche materia che non gli piace.
Mi risponde secco: «Religione.»
Lì per lì, vedendolo tanto persuaso, considero che l’abolizione o quanto meno la rivoluzione della materia procurerebbe vantaggi a tutti quanti, Chiesa cattolica in primis.
Ma forse il mio giudizio è frettoloso, tutto sommato la materia è facoltativa, inoltre a non fargliela piacere potrebbe essere l’insegnante e poi il parere di mio nipote mica esprime l’indice di gradimento di tutti gli scolari d’Italia.
Opportuno approfondire. Meglio chiedergli, perlomeno, i motivi del suo rifiuto, ma il ragazzo è uno sveglio ed è già schizzato via.
Il potatore
Primo mattino tre motoseghe cantano, è arrivata la squadra dei potatori. Scendo nell’uliveto un po’ addormentato, ammiro la competente aggressione alle piante secolari, rapidi non sbagliano un colpo. Uccio, responsabile della squadra, osserva perplesso un ulivo potato da altri la scorsa primavera. Blocca la motosega e sentenzia:
«Non ha preso calci in culo!».
Mi sveglio per chiedergli chiarimenti. Dice che quell’ulivo è potato davvero male e mi racconta la sua storia professionale. Sono 45 anni che pota, a 12 anni lo faceva a mano diretto dal padre, ogni ramo mal tagliato si prendeva un calcio in culo. Dice che così ha imparato rapido e bene.
Penso alle scuole steineriane, alle montessori, ai centri di educazione democratica e libertaria, agli spot contro lo sfruttamento del lavoro minorile e Uccio mi risponde riaccendendo la motosega per riprendere concentrato il suo lavoro. E’ vigoroso come un ulivo, soddisfatto, sano. Io moderatamente confuso.