Bruno Vergani
Radiografie appese a un filo. Condivisione di un percorso artistico, davanti al baratro con angoscia parzialmente controllata.
Coerenza multipla
Il periodo che va dal XI al XIII secolo è stato caratterizzato da incessanti dispute fra chi sosteneva il primato della fede sulla ragione e viceversa, nonché da valorosi quanto estenuanti tentativi di trovare un accordo fra teologia e filosofia, e tra differenti esponenti, e nel pensiero di ognuno. Guglielmo di Ockham[1], esausto della situazione, separava ragione e fede. Netta scissione che aveva portato nei secoli successivi a notevoli miglioramenti in (quasi) tutti e per (quasi) tutti, con diffusi progressi sociali e scientifici.
Non è detto che un soggetto sia ragionevole solo quando abbraccia con coerenza una precisa e univoca concezione, per certe cose è meglio farsi in due.
_________________________________________________
1 Prima di Ockham già altri, a iniziare da Giovanni di Salisbury (1120 più o meno –1180 di sicuro), mostravano segni di insofferenza per i labirintici gineprai del tempo, Giovanni ammoniva di finirla di chiedersi se “il porco condotto al mercato è tenuto dall’uomo o dalla corda” e “se abbia comprato pure il cappuccio colui che ha comprato la cappa intera”. C’è ovviamente da ricordare che la scolastica ha affrontato tematiche e problematiche ben più solide e cruciali rispetto alle derisioni di Giovanni di Salisbury indirizzate a qualche esponente. In ogni caso sono state le rasoiate di Guglielmo di Ockham (1290 più o meno –1349 di sicuro) che hanno accelerato la fine della scolastica.
Ci sono cose
Ci sono cose che per riuscire a dire con semantica impeccabile, che le esprima appieno, esigono una sintassi congrua e puntuale. Ma ci sono anche cose -e non poche- che per esprimerle con l'eloquenza che meritano chiedono una sintassi difettosa; più perfezioni la frase formalmente e più si fiacca semanticamente.
Suonare il jazz col clavicembalo viene male.
Chiodo scaccia chiodo?
Mica puoi dire all’innamorato rifiutato di trovarsene un’altra, al genitore che perde il bambino di rimpiazzarlo, all’amico deluso dall'amico di una vita che ne ha altri, o a chi gli muore il cane che al canile c'è solo l'imbarazzo della scelta.
Cosa è, in noi e negli altri, questa specificità insostituibile che nel suo manifestarsi trascende la biologicità che la permette?[1] Se c’è un qualcosa che nel mondo rasenta il soprannaturale è forse questa irripetibile singolarità che onoriamo con maiuscoli nomi propri.
Non possiamo escludere che tale individuazione sia nient’altro che una nostra soggettiva costruzione psichica, ma se invece ha una sua sussistenza oggettiva (psyché) come si è costituita? Non è semplice rispondere se non c’è un Creatore.
_________________________________
1 Qui stiamo parlando di “processo di individuazione” mio e dell'altro, ma a iniziare dalla filosofia scolastica si è indagata, in modo similare, tutta la realtà, inorganica inclusa. Il processo è chiamato “principio di individuazione” e coglie nella materia e forma un oltre che determina e costituisce l’unicità di ogni specifico ente. Due i termini chiave, che italianizzati suonano così: quiddità che indaga-afferma la specifica singolarità di una cosa; ecceità che dice e conferma la realizzazione specifica e insostituibile della realtà ultima dell’ente.
Metafisica di Viperina ruvidissima
Quest’inverno sotto casa sono spuntate numerose piante di Viperina ruvidissima (Echium asperrimum Lam.). Simile alla più nota Viperina volgare (Echium vulgare L.) quella col fiore azzurro, la ruvidissima è un poco più spinosa e ha il fiore rosa pallido, plausibile sia una sottospecie della volgare mutata per adattarsi a climi caldi. Fermarsi soddisfatti a questa prima osservazione (cosa c'è e come appare ciò che c’è) e sistematizzazione (catalogazione di quello che c’è per mezzo di una convenzionale nomenclatura condivisa), implica nell’osservatore la concezione -perlopiù inconsapevole- che Viperina ruvidissima sia essa stessa a conferirsi l'essere, per la bruta evidenza che c’è.
Ma indagando meglio realizziamo che questo “tutto qui” non può considerarsi conclusivo, visto che il mondo è mosso da una serie di cause che producono effetti a loro volta cause e che, dunque, il supporre che sia Viperina ruvidissima ad auto-conferirsi l’essere, è più un arbitrio dell’osservatore (interpretazione, credenza) che dinamica reale. Per capirne di più della Viperina ruvidissima dobbiamo, quindi, oltreché osservarla, tentare di indagare l’essenza della sua esistenza, ovvero cogliere - alla Aristotele e alla Tommaso d'Aquino - che cosa realmente è, come è, perché è, da dove è (metafisica-intrafisica del suo sussistere).
Scorgo due possibili ipotesi:
a) Viperina ruvidissima è una manifestazione dell’ordinato e insieme casuale funzionamento naturale, Natura che sarebbe causa di sé medesima (causa sui, Spinoza). Se le cose stanno così ci troveremmo ancora a dover accettare che sia un ente -seppur complesso e universale come l’intera natura rispetto alla più modesta Viperina ruvidissima- a conferirsi l'essere; un mero spostare il problema delle criticità del causa sui, che per certi aspetti è un escamotage linguistico, visto che nessuno ha mai visto qualcosa auto-accadere, mentre tutti vediamo accadimenti prodotti da cause, ad iniziare da noi stessi che non ci siamo auto-fatti ma siamo a seguito di concanetamenti di cause-effetti;
b) concludere che Viperina ruvidissima sia creata da Dio (causa prima), ma anche questa possibilità lascia perplessi visto che, come tutte le piante, muta di continuo adattandosi all’ambiente e sarebbe un Dio davvero bizzarro quello indaffarato nel rimodularla di continuo, anche considerando la comica eventualità che il Creatore delegasse la mansione a un qualche demiurgo.
Non ho risposta al mistero in progress di Viperina ruvidissima e forse è meglio così, ogni spiegazione conclusiva risulterebbe incompatibile col suo continuo moto trasformativo, indizio di una sua origine ontologica e sussistenza metafisica non imbrigliabile in prefissati concetti.
Litanie New Age
Nei discorsi spirituali forse meglio smetterla di tirare in ballo la fisica quantistica o il termine “energia” senza sapere quello che si dice.
Non se può più, ma un san Giovanni della Croce mai?
Strategie
Un buon modo per emanciparsi da provinciali trascorsi dolorosi è lo studio della storia della filosofia, così da realizzare la piazza che abitiamo e di chi figli siamo.
Il nessuno eterno
Averroè (1126 –1198) nel solco di Aristotele sosteneva che l’intelletto umano fosse esterno al nostro corpo e universale. Seppur intimamente allacciato al nostro temporaneo transito di soggetti pensanti, l’intelletto ci preesisterebbe perdurando oltre la nostra personale individualità.
Davvero consolatoria l’ipotesi che l’intelligere che oggi viviamo continuerà vivace anche dopo schiattati, peccato che lo attueremo impersonalmente. Ma se nessuno saprà di farlo che gusto ci sarà mai? Per goderne ci vorrebbe un’anima incorporea personale ed eterna.
Forse meglio emanciparci da cosmiche manie di protagonismo considerando che, in fin dei conti, anche ora nelle nostre transitorie esistenze corporee è plausibile che già siamo immersi in potenze, universi e dimensioni altre, inconsapevoli di esserlo senza farcene problema.
Il buono, il brutto, il cattivo
“La Giustizia” spoglia di concreti casi di specie; “Il Triangolo” sprovvisto degli oggetti triangolari che conosciamo; “La Madre” privata delle madri in carne e ossa; “L’Uomo” senza specifiche persone… Ci sono per davvero o sono mere fantasie?
La problematica ha caratterizzato il medioevo -disputa sugli universali- ma in qualche modo era già iniziata molto prima della scolastica con Socrate-Platone, che mica ti chiedevano pareri su circostanze contingenti bensì definizioni della Pietà, della Saggezza, del Coraggio… Tutta roba che consideravano sussistente di per sé e che abbiamo già dentro e che, dunque, possiamo partorire. Anche ai nostri giorni l’epistemologia indaga, con risultati non tanto migliori rispetto ai classici, se sussista o non sussista e se alberghi prima, in, o post le cose, un concreto status ontologico dei generi e delle specie che applichiamo alle molteplici singolarità del mondo reale.
Tutto sommato l’affermazione di universali preesistenti là in un iperuranio che nel loro procedere fanno le cose di questo mondo, è un modo sofisticato per affermare l’esistenza di Dio, sia quello rivelato dei monoteismi che di quelli pagani. Alfred North Whitehead annotava che “tutta la storia della filosofia occidentale non è che una serie di note a margine su Platone”, tuttavia nel monitorare la disputa sugli universali possiamo osservare che si tratta di note sempre più correttive. Abelardo (1079 – 1142, ma moderno assai) interpretava gli universali -lo espongo grossolanamente- frutto della razionalità umana capace di cogliere e tirar fuori dagli oggetti esistenti categorie che li accomunano, è dunque l’intelletto umano che fa gli universali estraendoli e astraendoli dal molteplice ed eterogeneo tangibile per ipostatizzarli codificandoli in un linguaggio condiviso.
Il punto è che, sia creati da Dio -«Dio disse: "Sia la luce!". E la luce fu.»- che prodotti dall'umana ratio, una volta fatti gli universali ci sono per davvero, e che ci sia un punto della natura (Homo sapiens) capace di tanto qualcosa vorrà pur significare.
La poiana
Il pensiero degli uomini produce il contesto storico sociale e lo svolgersi storico-sociale determina il pensiero degli uomini, ma questa mattina nell’incontro ravvicinato con una poiana la strana certezza che la mia esistenza avesse tutt'altro significato.
Il rapace catturato uno stornello per il troppo peso mi era atterrato, stile Spirito Santo, un metro (letteralmente) davanti. Mollata la preda tramortita si era posizionato su un ramo nell’attesa che me ne andassi per riprendersela. Felice d’esistere avevo ottemperato.
Prudenza
Solitamente si associa la prudenza all’andar piano -piedi di piombo- mentre è quel virtuoso optare per un fine ultimo il più possibile proficuo, scegliendo nella condizione data e nel tempo disponibile la mossa migliore.
Tre le opzioni disponibili: non farlo!; fallo!; fai altro, ma in questo scegliere se frenare, accelerare o svoltare, è l'intelletto che agisce e anche la più perfetta prudenza può toppare di brutto se l’intelletto è bislacco.[1]
_________________________________
1 Non così nella interpretazione cattolica dove la prudenza dirigerebbe (virtù cardinale) l’intelletto. Una sorta di ipostatizzazione della virtù a realtà di per sé sussistente e determinante, tale da permettere la scelta migliore anche all’idiota conclamato se ne è infuso.