La nostra intelligenza quotidiana la percepiamo connessa a un "io" personale. Pensare, comprendere, giudicare sembrano sempre atti di un soggetto, di un qualcuno. Siamo figli di una tradizione che, tra ebraismo, cristianesimo e platonismo, ha legato l’intelligenza a una mente cosciente e volontaria, o a una divinità personale. Anche emotivamente, tendiamo a concepire l’intelligenza come intenzionalità, come volontà di attenzione.
Un’intelligenza impersonale ci risulta estranea, incomprensibile. Eppure, la somma degli angoli di un triangolo è sempre 180°, indipendentemente dal fatto che un geometra celeste lo decida, o che qualcuno lo sappia o lo calcoli. Accade per necessità, in modo razionale, impersonale e senza scopo, semplicemente perché la natura del triangolo lo impone. È questa una “razionalità ontologica” intrinseca alla realtà stessa.
Cos'è la liberazione se non il conformarsi a questo ordine delle cose che ci precede e ci fa?