Bruno Vergani
Radiografie appese a un filo. Condivisione di un percorso artistico, davanti al baratro con angoscia parzialmente controllata.
Esagerazioni
Non è poi un gran bel posto il settimo cielo dantesco, tutto popolato da anime immobili che contemplano in eterno l’essere come già e tutto dato.
Non meglio il quaggiù abitato da individui che vedono, all’opposto, l'essere prodursi e esaurirsi nella propria autocoscienza, costretti forsennatamente a pedalare per generare l’universo e non piombare nel nulla.
Strategie
Un modo per tenere un po’ a bada sofferenza, vecchiaia e morte, è quello di curarle e lenirle al meglio procrastinandole quanto più possibile. Se piace, possiamo ottimizzare l’intervento integrandolo con storie consolatorie di ragionieri celesti che tengono il conto delle lacrime versate dal sofferente - “ Tu raccogli le mie lacrime nell’otre tuo; non le registri forse nel tuo libro? ” (Salmo 56, 8) -, per poi risarcirle alla sua eterna anima individuale nell’altro mondo.
Mossa opposta è quella di rimuovere, o perlomeno ridimensionare, l’essere individuato (il qualcuno) che soffre; rimossa l’ego-consapevolezza del sofferente la sofferenza cesserà di sussistere. Strategia rara questa noncuranza della propria individualità, però basta osservare un gatto sdraiato al sole per constatare la convenienza del fonderci, indifferenti a noi stessi, nel funzionamento naturale che ci costituisce dissolvendoci in ciò che da sempre siamo. Tutto davvero semplice perché non esiste alcun processo, precetto o sforzo per giungere a ciò che si è.
Dogmi della modernità
Cogito ergo sum, ovvero se smetti di pensare (fare) non (ci) sei più.
C’è qualcosa di comico in tutto questo, come se la l’Essere fosse una entità così effimera da aver bisogno del nostro pedalare.
L’equivoco
Conclusa la lettura de Lo Gnosticismo di Hans Jonas, mi sono chiesto il motivo dello strano interesse che a ogni pagina mi cresceva dentro. Non era perché eccitato da bizzarre e complicate teogonie di luoghi e tempi lontani, ma per l’onnipervadente e sempre attuale posizione esistenziale che quelle cosmogonie esprimevano e esprimono, che potremmo sintetizzare così:
“Il mio posto è altrove”.
Cifra psicologica che serpeggia da sempre un po' ovunque, forse generata da nostalgie oceaniche uterine, forse da reminiscenze di dimensioni ancestrali, quando prima del peccato originale del linguaggio che ha messo in scena il nostro mondo fluttuavamo altrove, ma altrove dove? Non certo in un altro mondo, come affermava lo gnosticismo tardo antico e come sostiene quello odierno nelle sue molteplici espressioni, ma fluttuavamo nell’immanenza intrafisica naturale, “altrove” rispetto, dunque, alla cultura non alla natura[1]. Un altrove sistematicamente frainteso che tuttavia ha prodotto cattedrali.
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1 “Il massimo della trascendenza coincide con il massimo dell'immanenza” (Dio sono anche gli uomini", Mario Verri.)
Demiurgo
Alcune genesi hanno messo in scena un semidio costruttore del mondo, un demiurgo emanato da Dio distinto e inferiore rispetto all'originale, che col materiale a disposizione aveva fatto quel che aveva potuto.
L’invenzione del demiurgo sembrerebbe un espediente narrativo per scagionare il Dio perfetto dall’aver creato un mondo imperfetto, ma al contrario è che posto un Dio assoluto e perfetto come creatore il mondo non può più funzionare, senza imperfezioni e contaminazioni va in blocco.
Funzionamento naturale
Gnosticismo di tutti i giorni
Un composto possiamo separarlo nei suoi elementi costitutivi e poi riunirli come stavano prima, ma se dividiamo l'uno lo rompiamo irrimediabilmente.
Consideriamo lo gnosticismo, l’onnipresente quotidiano gnosticismo che separando lo spirito dalla materia, l’uomo dal mondo, Dio dalla natura, divide la realtà annichilendola irrimediabilmente. Nel tentativo di ricomporla e rianimarla si inventa arzigogolate cosmogonie per dare parvenza di ordine e senso al desolato caos che separando l’inseparabile ha prodotto.
Casa
C’è chi in questo mondo si sente naturalmente a casa, chi invece si percepisce straniero irriducibilmente nostalgico di un’Itaca metafisica, sempre più in qua o più in là dell'immanente presente.
In tutta la storia del pensiero possiamo cogliere ontologie e escatologie prodotte dalle due differenti concezioni; quella di chi spontaneamente appartiene alla natura e quella degli estraniati, concezione quest'ultima forse più dettata da dinamiche psicologiche che da costruzioni filosofiche.
L’inesplicabile
Perché ci sia libero arbitrio occorre una entità che causa di se stessa sia tanto sovrana da autodeterminarsi, ma entità tanto libere da forze esterne non esistono in natura, roba da Dio e da Dio creatore e persona, perché se Dio coincide con la natura nel suo impersonale funzionamento ecco che collassando la sua persona anche l'Io umano diventa nebuloso e il concetto di libero arbitrio si fa problematico.
Eppure emergendo dal funzionamento della natura sembra che oltrepassando caso e necessità siamo capaci di libertà, libertà sì limitata, graduata e condizionata, eppure presente. Oltre a inspiegabili quote di libertà dal funzionamento naturale abbiamo anche il misterioso potere di relazionarci col mondo generando in noi, nella nostra stessa persona, significati.
Fintanto che questi singolarissimi poteri umani resteranno inesplicabili l’ipotesi che Dio sia qualcuno e che noi gli assomigliamo non andrebbe preclusa.
I due mondi
Il mondo come ci appare è un po’ il sovrapporsi di due mondi, uno che funzionando per forza propria ci precede e contiene, l’altro prodotto dalla nostra coscienza che si agita se ci agitiamo e si tranquillizza se ci calmiamo, rallenta se rallentiamo e si arresta se ci fermiamo, sparisce quando dormiamo e riappare non appena ci svegliamo.