BLOG DI BRUNO VERGANI

Radiografie appese a un filo, condivisione di un percorso artistico

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Sabato, 04 Giugno 2011 18:21

Incantesimo infausto

 

"Tutto è dove deve essere e va dove deve andare: al luogo assegnato da una sapienza che (il cielo sia lodato!) non è la nostra." Sentenza finale del Miguel Mañara di Oscar Vladislas de Lubicz Milosz. Invito all’inorganico, dove il fedele brutto e cattivo è opportuno che rimanga pietrificato in quiete assoluta e con l’elettroencefalogramma piatto per non combinare danni, mentre un Dio buono e sapiente fa tutto per lui. La passività è salvezza, l’iniziativa errore. Gesù Cristo, che era uno attivo, non ha mai proferito simili idiozie. Il quietismo è un ascesso che si incista rapido nel cervello, la prognosi è infausta.  

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Martedì, 10 Maggio 2011 20:44

Calipso

 

Da tanti anni raccolgo piante e le trasformo. Estraggo i principi attivi, li concentro; i fiori diventano gocce, le foglie capsule, le radici compresse, così i miei amici clienti le ingurgitano agilmente. Nel chiedermi i prodotti i clienti gli cambiano il nome: la Pilosella diventa “pisosella”, il Ginko biloba si trasforma in “Ginko bilboa”, il Capsico vira in “caspico”, l’Eucalipto deraglia in “calipso”, la lecitina di soia in “sollecitina di soia” i primi anni d’attività li correggevo, adesso li chiamo anch’io così. Gli erboristi preparatori sono una razza in via d’estinzione perché oramai i prodotti sono realizzati dall’industria, così gli erboristi diventano negozianti che rivendono quello che acquistano. Ho rifiutato di limitarmi a commercializzare, perché raccogliere e trasformare le piante mi piace, anche se  talvolta il lavoro è appesantito dalla burocrazia, da normative asfittiche. Non do le erbe a tutti, se la faccia del cliente non mi piace dico che non ho nulla per lui. Talvolta nei giorni di scirocco a  qualcuno non faccio pagare i prodotti, ho imparato da Geppino un dentista della provincia di Bari che mi aveva aggiustato un premolare a gratis, così, senza motivo. 

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Sabato, 07 Maggio 2011 23:13

cinquanta, sessanta, novanta

 

Non so se ci sia differenza nel morire a cinquant’anni, sessanta, novanta o in questo momento. Se camperò in buona salute, accetterei di rimanere ancora vivo per un bel po’, negli anni a venire potrei aggiustare la serratura della porta quanto si rompe, lavare l’automobile, tagliare il prato, fare la spesa, seguire la prevedibile cronaca politica, leggere quello che mi piace, stare con chi mi piace, raccontare storie, ma per poterlo fare non sto lì a sottopormi ai dogmi medicali d’occidente; colonscopie per diagnosticare un cancro in fase iniziale dentro le budella e TAC ai polmoni per i fumatori come me. Se la diagnosi precoce mi renderebbe immortale, come il dogma medicale sembra suggerire, potrei anche considerarla. Morire venti anni prima o dopo cosa cambierebbe? Forse avrebbe senso e dignità vivere a lungo per compiere il mio percorso di uomo, di pensiero, di ricerca, artistico, ma è proprio questo percorso che mi invita a guardare ed abbracciare sorella morte. Il pensiero va in quella direzione, in quei territori, lì il percorso mi conduce e m’invita a giocare la partita. Quando penso alle persone care che non sono più considero che, tutto sommato, stanno evitando numerose incombenze fastidiose e anche dolorose. Se mio padre fosse morto dieci anni dopo? Un po’ dopo un po’ prima è poi così rilevante? Non so se ho un Creatore, ma anche senza risposta continuo ad essere, non so cos'è l'essere tuttavia sono. Questo senso d’essere è arrivato da solo e mi sono ritrovato soggetto pensante. E’ l’unico capitale che ho. E' l'unico problema che ho.

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Sabato, 07 Maggio 2011 22:55

Dio?

 

In solitudine  guardo una mia vecchia radiografia. In una radiografia si vede una persona in trasparenza. Si vede dentro, si vede tutto, eppure non c’è niente di particolare da vedere. Potrebbe essere quella di un cadavere. Potrebbe essere quella di un altro. I corpi, mio o tuo, vivo o morto, dentro sono tutti uguali. Anche i respiri sono tutti uguali. Qualcuno continua, qualcuno cessa, qualcuno inizia. Guardo una mia fotografia, avevo due anni, l’occhio era consapevole, come quello di una mia fotografia recente. Negli anni il corpo è cambiato, ma l’occhio è lo stesso; forse l’anima esiste davvero, è quella cosa lì dentro gli occhi che fa dire: “Si, è lui”. In mezzo alle due foto ci sono tanti anni, tante vicende, quel bambino che sembrava disperso oggi è tornato, è rimasto nascosto per poi manifestarsi ancora; ma allora a che serve il percorso se conduce alla partenza? Forse la comprensione non è un processo ma percezione istantanea. Forse non sono un mortale. Cosciente il bambino, cosciente l’uomo, continuo infinito presente? Nelle fotografie entrambi osservano qualcosa. Cosa? Vedono che esistono e comprendono che è atto potente? Sembrano andare oltre l’apparato psicosomatico che li contiene; indizio d’immortalità? Eppure non sono mistici rarefatti, sono invece individui, persone pensanti. Forse nei labirinti della psiche per emanciparsi dall’ego bisogna rafforzarlo. L’io non è solamente un pronome personale, se Dio esiste è quella cosa lì, o qualcosa che gli assomiglia.

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Lunedì, 25 Aprile 2011 21:12

Deriva ontologica

 

“Quando ci si mette insieme, perché lo facciamo? Per strappare agli amici – e se fosse possibile a tutto il mondo – il nulla in cui ogni uomo si trova.”Incipit del messaggio di Mons. Luigi Giussani per il XXV Pellegrinaggio a Loreto.Ad Amsterdam avevo incontrato un vecchio misantropo che viveva su un battello con dodici gatti. Preferiva i gatti agli uomini perché, a suo dire, gli volevano bene e non parlavano male di lui alle spalle. Quand’era giovane aveva scarsa opinione degli uomini, poi invecchiando non gli è bastato più considerarli vermi e li ha giudicati nulla. Non era sano ma neppure pericoloso, non si era messo in testa di strappare l’umanità tutta dal nulla nel quale l’aveva relegata. 

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Giovedì, 14 Aprile 2011 16:20

Adolescenza pagana

 

Con la moto nel fine settimana partivo  con la manetta del gas al massimo in direzione nord, verso le montagne, il posto degli déi. Costeggiavo il lago di Como e in tre ore ero in cima al passo dello Spluga. Rimanevo là solo a contemplare la natura un po’deluso, gli dèi che dalla pianura intravedevo sulla vetta raggiunta la cima erano spariti, allora li cercavo ancora sulla strada del ritorno, nel brivido di rifare il passo in discesa a velocità folle. Forse la verità si può indicare ma non svelare, se la nomini scompare, forse gli déi si divertivano come gatti selvatici a rimanere nascosti, sempre un po’ più in là. Mi stavo convincendo che per avere un incontro ravvicinato con il divino necessitavo di altri portolani e non dovevo fare il motociclista ma l’entronauta. Più interessante delle montagne era diventato il cimitero monumentale di Milano, oltrepassato il portale entravo in un altro regno, lì le divinità si percepivano, si intravedevano, dèi minori confinati in una specie di serra, di zoo, forse da un Dio supremo più potente di loro, messe lì per essere guardate dai mortali.

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Mercoledì, 13 Aprile 2011 10:18

Infanzia pagana bis

 

 Avevo forse sei annie in un giorno ventoso mi portarono a casa dei vicini. Stoffe nere attaccate alle pareti, sul letto una vecchia ferma con gli occhi chiusi e la faccia strana, faccia da donna che dorme da sempre. Qualcuno col pollice gli ha tirato all'insù una palpebra: l’occhio era fisso e biancastro. Non mi piaceva rimanere lì, ero sceso solo per la strada il cielo era terso e arrivava il vento freddo dalle montagne. Forse era quel vento che immobilizzava la vecchia, la faceva diventare una cosa fredda e ferma. Strana cosa la morte, se il vento delle montagne era così forte da far diventare “cose” le vecchie andava rispettato, ma più potente della morte erano i gatti. In casa c’era il gatto Stefano, nero, enorme. Pelo morbido, caldo, pancia molle che al tatto faceva uscire un qualcosa di potente, più forte del vento delle montagne che faceva morire le vecchie. La vecchia nel letto era strana, aveva l’aspetto di una persona ma si comportava come una pietra. Ci sarebbe voluta una donna metà gatto metà donna, faccia da gatto corpo da donna, lei forse sarebbe immortale.

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Martedì, 12 Aprile 2011 13:00

Infanzia pagana

 

Boschetti di robinie, lucertole, grilli, bande con le fionde. A cinque anni non mi piaceva tirare sassi ai nemici preferivo fare lo stregone, avevo un paio di assistenti il più capace l’avevo soprannominato “Ciulino”, l’avevo scelto perché catturava orbettini, piccole serpi lisce e quasi cieche, che infilava nel naso per farle uscire dalla bocca. Inseriva la testa nella narice, rapido il rettile penetrava l’orifizio equivocandolo per tana, Ciulino spalancava la bocca, si ficcava l’indice e il pollice in gola, faceva una specie di gargarismo, afferrava da dentro la gola la testa della biscia e mentre tirava diceva con voce nasale: “C’è, c’è”. Ammiravo la coda della biscia scomparire dentro il naso di Ciulino mentre la testa usciva dalla bocca. Io mi limitavo a mangiare qualche zampa di cavalletta e formiche. Quando la banda catturava un nemico ordinavo agli assistenti di tenerlo fermo, così potevo pungerlo con le ortiche e poi impiastrarlo con l’intruglio d’acetosella; mi dava soddisfazione vedere il corpo del nemico diventare verde, un piacere intimo di una qualità precisa. Le montagne là in fondo mi ammonivano che anche se capace di colorare i nemici non ero Dio, Lui era a nord sulle montagne da lì faceva arrivare il vento.

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Giovedì, 07 Aprile 2011 20:21

Cristianismo

 

 Siccome numerosi italiani avvertono l’urgenza d’avere un Creatore la Chiesa cattolica risponde loro offrendo un’istituzione che lo manifesti e rappresenti. Istituzione divina e nel contempo umana, un anfibio con una zampa nell'eterno e l'altra nella finitudine che consentirebbe al Creatore nascosto, eterno ed infinito, di manifestarsi nel mondo e nella storia. Per una minoranza dei cattolici italiani il rapporto con l’Istituzione è concreto e preciso. Altri fedeli vivono invece l’istituzione in modo vago, guardano il Papa al telegiornale delle 13 e un paio di volte nella vita si recano in piazza San Pietro per battergli le mani sotto la finestra, in una modalità di relazione con l’istituzione che non determina significativi cambiamenti nel loro vivere. La maggioranza dei fedeli cattolici crede invece in una divinità non ben definita, così indifferenti all’istituzione ecclesiastica si limitano ad appendere la corona del rosario sullo specchietto retrovisore dell’autovettura perché forse porta bene, chiamano il prete in fin di vita perché non si sa mai, e mentre raschiano il biglietto del gratta e vinci implorano un po’ di fortuna a qualche santo del paradiso. Massa di fedeli che le autorità ecclesiastiche accettano di buon grado così l’Eurispes può sentenziare che gli italiani sono quasi tutti cattolici. Oltre ai tiepidi incontriamo le posizioni decise di chi seguendo personalmente Cristo e il suo Vangelo accusa l’istituzione cattolica di tradirne il messaggio, in tal caso l’istituzione se la prende a male e sanziona. Il rapporto dei cattolici con l’istituzione ecclesiastica è dunque complesso e in mutazione, dato certo la tendenza dei fedeli di vivere la fede svincolata dall’istituzione Chiesa, ma c’è una singolare eccezione: cittadini che indifferenti alla fede in Dio e al messaggio di Cristo professano, indifferenti alla logica e al buon senso, fede assoluta nell’istituzione della Chiesa cattolica romana. Si chiamano “Teocon” e sono conservatori, raramente credenti il più delle volte atei, convinti che la libertà e il progresso dell’Occidente siano realizzabili nella tradizione dei valori cristiani. Oriana Fallaci si dichiarava "atea e cristiana", pur non credendo in Dio, vedeva nel cristianesimo un riferimento etico culturale e Giuliano Ferrara affermava: "Io non ho una fede personale, non ho questo dono, questa grazia soprannaturale e non ho una confessione praticata e osservante. Io non sto dentro l'ortodossia della Chiesa cattolica, perché pur essendo stato battezzato io non ho la fede. E pur essendo culturalmente cattolico, non sono parte della Chiesa, del popolo di Dio. Ma la mia è una posizione teista. [...] Io ho una posizione che praticamente è quella richiamata da Ratzinger parafrasando Ugo Grozio: quella di vivere come se Dio esistesse." Da qui il “cristianismo”, un paradossale cristianesimo senza Cristo, fondamentalista, ideologico, monotematico, razzista, xenofobo nella sua islamofobia, così rozzo da interpretare l’Islam come un monoblocco demoniaco invece che un miliardo e mezzo di persone evidentemente molto diverse tra di loro, variegate, al pari dei cristiani, nell’approccio alla religione. Così il cristianismo profetizza in nome di Cristo scontri apocalittici di civiltà e ostenta ossessivamente le radice cristiane europee, scordando che Gesù Cristo era un mediorientale che insegnava innanzitutto l’accoglienza del diverso. Dalle gerarchie istituzionali cattoliche nessuna diffidenza con l’ideologia cristianista, ma consonanza e appoggio.

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Mercoledì, 06 Aprile 2011 10:53

New age

 

Frequentavo mistica esotica, chissà cosa pensava quella gente lì con gli occhi chiusi a meditare? Ascoltavano il respiro? Si sforzavano di non pensare? Quando vedevo qualcuno meditare con gli occhi chiusi e le gambe incrociate, un impulso mi suggeriva di avvicinarmi in silenzio per dargli, a freddo, un calcio nel culo. L’ho pensato più volte ma non l’ho mai fatto, chissà forse qualcuno si sarebbe “illuminato”. Preferivo leggere testi e pensare al meditare, per staccarmi da me stesso eseguivo  lavori semplici, svolti con cura maniacale. Lavavo i piatti e poi il lavandino con l’anticalcare e poi con la varechina, eccellente sbiancante e antisettico, una volta sciacquato il lavandino era più che pulito, ma invece di smettere lo lucidavo, più e più volte, con panno morbido. In quel rito masturbatorio il lavandino diventava di un lucido ultramondano e nel contemplarlo mi scordavo di me, funzionava meglio che ripetere un mantra. Al supermercato andavo in cerca dei migliori detergenti, aspettavo le novità. Mi impegnavo anche a tinteggiare con la calce pareti già bianche e aggiustare porte funzionanti solo un po’ rumorose. Davo a credere agli altri che volessi raggiungere l’eccellenza del risultato, invece ero attratto dall’impegno senza scopo, perché lì mi scordavo di me. Il trascorrere l’esistenza come intrattenimento, la vita come un passatempo, mi faceva sentire un po’ immortale. Il percepirmi persona nello spazio-tempo lo interpretavo come un inganno, un incidente di percorso causato dalla nascita, che aveva momentaneamente interrotto la vita vera, quella incorporea, impersonale, infinita ed eterna dello stato prenatale nella quale sarei tornato con la morte.

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