Bruno Vergani
Radiografie appese a un filo. Condivisione di un percorso artistico, davanti al baratro con angoscia parzialmente controllata.
Abramo, Isacco, Giobbe e pure il giardiniere
Roba da primo attore biblico e di qualche saggio vegliardo il cessare di vivere sazio di giorni, per gli altri lievi movimenti di rassegnata accettazione mischiati al preoccupato reclamare: voglio continuare ancora; ancora, ancora, ancora… come negli amplessi inconclusi.
Ai protagonisti biblici e ai saggi vegliardi si possono forse aggiungere i giardinieri professionisti, che nell’osservare il fidato funzionamento naturale di alberi e fiori si possono lasciare andare sprofondando in quella affidabilità.
Coincidenza degli opposti
Apprendo da un glossario ben aggiornato sui generi sessuali -consultabile qui per conoscere il significato di alcuni termini che seguono- che Genderqueer “definisce quelle persone la cui identità di genere non si conforma alla concezione binaria del genere, che possono pensarsi sia come uomo che come donna (bigender, pangender); né come uomo né come donna (genderless, gender neutral, neutrois, agender); o fluttuare tra i generi (genderfluid); oppure incarnare un terzo genere.”
Un po’ complesso e vago, ma sufficientemente chiaro per concludere che san Paolo nel suo affermare:
“Non c’è giudeo né greco, non c’è schiavo né libero, non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno solo in Cristo Gesù”,
rientra appieno nella classificazione di Genderqueer. Se appartenessi a un qualche collettivo LGBT (oggi talora espanso a LGBTQQICAPF2K+ , qui la spiegazione dell'acronimo) oltreché verificare come sono messo col copyright con le suore Paoline, un po' ci indagherei sull'inaspettata convergenza dottrinale.
Misantropico lirismo
Giorni estivi, massima affluenza di turisti.
Dal trullo vicino, snaturato in B&B, odo l’orgia dei buontemponi cantare in coro marcette dozzinali e invoco il Genius Loci che li fulmini all’istante.
Coming-out
Di base cisgender eterosessuale sto virando all’agender queerplatonico.
Definizioni un po’ complicate, ma un giro su Google svelerà ogni cosa. Tra le centinaia di identità sessuali classificate dagli americani, ognuno finalmente troverà la casella giusta dove collocarsi e felice non sarà più solo.
Psicoinformatica
Ognuno di noi è il fondatore di un personale principato, un po' come Romolo di Roma, regno che scaturisce dalla nostra concezione della vita e del mondo. Da queste concezioni edifichiamo statuti e fissiamo strutture, definiamo gerarchie e individuiamo valori nel nostro stare al mondo con gli altri.
Le colonne portanti nel nostro principato poggiano su fondamenta che abbiamo costruito all'inizio del nostro essere al mondo, quando bambini avevamo architettato strategie per starci il meglio possibile, utilizzando nelle condizioni allora date le conoscenze e i materiali che avevamo a disposizione. Operazione che un po’ somiglia alla scrittura di un programma informatico e fatto il programma il programma “gira”, svolgendo i compiti prefissati.
Passa il tempo e mutano le condizioni del nostro vivere, ma il programma originario continua a svolgere le funzioni programmate all’inizio, anche se inadatte al presente. Il problema è che, a differenza di un computer, il predeterminato algoritmo originario non è disinstallabile -vale a dire estirpabile; inoperabile direbbe il chirurgo- e neppure aggiornabile -ovvero educabile; educare mestiere impossibile (Freud)- perché nella sua fissità si è incistato sempiternamente in noi costituendoci ed estirpandolo cancelleremmo aree vitali di noi stessi.
Possiamo, però, affiancare al programma originario nuovi programmi, architettandoli per stare al mondo il meglio possibile nelle attuali condizioni date e costruendoli con i nuovi materiali dei quali oggi disponiamo, esperienze vissute in primis. Per legge biologica -sembra che dopo i 13 anni smettano di nascere nuovi neuroni- saremo meno performanti nell’implementare e istituire queste nuove programmazioni secondarie, rispetto a quando avevamo edificato quella primaria, però le secondarie si incistano meno, concedono di correggere eventuali errori di programmazione nonché permettono la possibilità di aggiornamenti.
Tecniche di immortalità, top ten
1 Individuale anima immortale che continua nell’aldilà;
2 Perdurare nella stirpe travalicando il punto morte nella consegna di cromosomi alla progenie;
3 Permanere eternamente nell’umanità accettando il trionfo della specie sull’individuo;
4 Individuale fama che persiste nel tempo;
5 Personale pensiero, o atto artistico, imperituro;
6 Eterno al di qua mediante sostituzione di corpo, come quando si cambia l’automobile (metempsicosi);
7 Perenne al di qua fondendosi nella natura;
8 Emulazione dello scarafaggio che simula d’esser già morto così da essere eterno;
9 Fusione mistica dell’io mortale in Dio;
10 Interpretarsi, nella fisica dei quanti, a molti mondi.
La bicicletta
Molto si dice, e con ragione, dei drammi della solitudine e dell’introversa inerzia, poco della versione estroversa, un po' meno tragica però più comica. Quella di anestetizzarsi dandosi continuamente da fare nell’ossessiva convivialità a raffica, nell’iniziativa senza prendere fiato, nel divertimento obbligatorio, nella programmazione e produzione a oltranza.
Pedalando, pedalando e pedalando, come se il fermarsi contattando faccia a faccia la nettezza del puro esserci generi malessere per potenze traumatiche che potrebbe contenere.
Cycas
Non sempre c’è una regolare e diretta correlazione tra saggezza ed età, ma la circostanza che Homo sapiens sia presente da duecentomila anni e la pianta di Cycas, come quella che vediamo nell’aiuola del paese, da duecento milioni[1], qualcosa vorrà pur dire.
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1 Anche se grandezze del genere esulano dalla nostra capacità di percepire, con un po' di impegno possiamo forse farcene un'idea.
Assedio all’Io
L’Io, quello che poggiando su se stesso sa di essere proprio lui, che distinguendosi dal tutto afferma di essere qualcuno invece che nessuno, che autoconsapevole della sua individualità sa di non essere un altro. Io inteso come soggetto, entità sovrana unica e irripetibile, che ha forse anima personale, indivisibile e magari eterna, caratterizzata da ecceità e quiddità, termini che affermano la sua ultima e insostituibile specificità singolare, ecco tutto sbagliato dicono in molti.
Ciò che chiamiamo Io sarebbe nient’altro che un agglomerato di DNA, circostanze, ambiente, costruzioni culturali apprese e introiettate, archetipi ereditati, intersoggettività. Un affastellarsi di materiali disponibili intorno a un nucleo impersonale, come le mosche si appiccicano al miele, che produce l’illusione di una individualità autonoma, ma di fatto nient’altro che un oggetto tra oggetti.
Vero è che il processo di soggettivazione implica quote rilevantissime di intersoggettività e assoggettamento alla natura e agli altri, dato che senza l’Altro, oltreché a non poter più cavarcela nel mondo odierno, non sapremmo manco chi siamo personalmente. Vero anche l'arzigogolato paradosso “allotropo empirico-trascendentale” che descriveva Michel Foucault; termini complicati che definiscono l’inevitabile dinamica che sperimenta il soggetto che generando e formalizzando saperi diventa simultaneamente oggetto di questi. In effetti anche senza elaborare incontrovertibili saperi, empiricamente constatiamo che appena diciamo “la nostra” diventiamo oggetti di questa, perché nel proferirla, e ancor di più nello scriverla, “la nostra” prende consistenza autonoma impipandosene dell’autore, nel senso che lo trascende.
A me, nonostante il sempre più deciso assedio all’Io, una vaga sensazione che ci sia personalmente ancora un po' permane, così, a pelle, senza entusiasmi, ma questa è una opinione che niente vale, una prova più solida di una autonoma esistenza dell’Io la possiamo forse ottenere contestando i detrattori della sua sussistenza ontologica, così da monitorare se permarranno impersonalmente indifferenti, o se la prenderanno a male tenendoci il broncio. Se l’Io non esiste chi sarà mai a tenercelo (il broncio)? Se permarranno indenni potremmo passare all'insulto e poi alla percossa di quei sedicenti nessuno, magari si fa vivo qualcuno.
L’Agave
Spesso i desideri di gioventù si smorzano e talvolta si estinguono, così orfano del suo demone il vecchio tira avanti considerando: “Quei moti desiderosi di improbabili grandezze e di strane figure erano nient’altro che velleitarismi giovanilistici”.
Dall’alto della sua dogmatica razionalità sversa mestizia nei pozzi, incapace di scorgere in quelle evanescenti primigenie forme il nucleo di potenza che le attivava. Potenza rimossa ma eterna, lì pronta a sovvertirlo se solo gli aprisse un po’ la porta, come la vecchia lavanda angustifolia tanto avvizzita da sembrare morta ma con l’essenza al massimo della concentrazione e l’agave che prima di schiattare drizza al cielo il suo organo di tre metri strapieno di semi.