Bruno Vergani
Radiografie appese a un filo. Condivisione di un percorso artistico, davanti al baratro con angoscia parzialmente controllata.
Riduzionismo, riduttivismo
L’idraulico che esegue la diagnosi per individuare il guasto alla caldaia, verifica le differenti ipotesi che ha in testa. Via, via, con rasoiate decise, esclude e scarta tutte quelle che non causano il problema, così individua la causa del guasto e aggiusta la caldaia.
Riduce e riduce fino a giungere a un preciso, definitivo e univoco nient’altro che. Strategia efficace per indagare e trattare meccanicismi, ma per tutto il resto non di rado fuorviante e castrante.
Il crepaccio
Grazie ai suoi complessi circuiti quante cose ricorda un super computer e quante ne sa fare. Opera con velocità sbalorditiva, ascolta e anche parla. Peccato non sappia ancora d’esserci. Quale circuito occorrerà inventare per attivargli la consapevole autocoscienza di sé?
In attesa che una qualche diavoleria venga realizzata, permane l’evidenza che tra il nostro sistema nervoso e la coscienza che da esso emerge c'è un bel gap e in quel crepaccio non sappiamo ancora cosa ci sia dentro.
Processi
Ci si può esprimere comunicando per mezzo della pittura, con il mettere in scena, con il dire o con lo scrivere.
Chi lo fa sa bene che, ben oltre ciò che ne viene fuori, l’importanza di ciò che gli accade dentro.
Burocrazia legalistica
La legalità, che necessariamente funziona e dispone tramite preposti apparati burocratici, è un modo -un buon modo; ne esistono forse di migliori?- per realizzare un assetto sociale il più possibile giusto e conveniente per tutti. Ma se legalità e burocrazia, da strumenti per il bene di tutti, acquisiscono una qualche autocratica, ipostatizzante, sussistenza sostanziale -un acefalo, ipernormato e meccanicistico "l'uomo per il sabato", invece di un ragionevole "il sabato per l’uomo"- possono fare anche più danni di un delinquente.
In effetti, al netto di concezioni morali, il delinquente -se abile professionista- danneggiando gli altri mette qualcosa sotto i denti, mentre legalismi e burocraticismi alla lunga procurano fame per tutti, burocrati inclusi, e quel che è peggio senza manco il movente.
Politicamente corretto
Il paradosso dell'uovo e della gallina vale anche per il tutt’uno interconnesso di pensiero-parola, parola-pensiero: pensiero che produce parola; parola che produce pensiero. Pertanto il politicamente corretto che indica le parole da utilizzare e da evitare, può essere stimolo e strumento -parola che plasma pensiero- per espandere in meglio il nostro pensiero, a condizione che il processo di elaborazione dalla parola al pensiero, sia reale e non solo formale; non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno...
Un (ossimorico) liberalismo totalitaristico che dall'esterno prescriva prefissate linee guida, sanzionando chi non rispetti la libertà di tutti glissando però sulla libertà del sanzionato, oltre ad auto contraddirsi potrebbe minare il processo di libera elaborazione personale producendo reazioni opposte, parodie linguistiche e quel che è peggio un conformativo lifting per mere esigenze sceniche di gruppo.
I bubboni per guarire vanno aperti non coperti e l'imposizione del politicamente corretto non mi sembra lo strumento più adatto.
Comune paesaggio cosmico
Da una parte i credenti e dall’altra gli atei; da una parte la narrazione di un Creatore dall’altra la Natura causa di se stessa; da una parte la cultura: pensiero, autocoscienza, volontà e fantasia, dall’altra la natura: istinto amorale e meccanicistici funzionamenti.
Ma forse sono separazioni più apparenti che reali, modi differenti di vedere lo stesso paesaggio perché, pensiero, autocoscienza, volontà e fantasia, sussistevano in nuce, o in qualche modo, molto prima di Homo sapiens, già nel brodo primordiale, ereditati da dinamiche cosmiche ancora precedenti, altrimenti non si spiegherebbe da dove siano saltati fuori.
Processo idagabile e descrivibile sia con un’indagine sul campo che attraverso racconti e simboli.
Ossia
Se Dio fosse pari pari la Natura non possiamo escludere che tale identità incondizionata procurerebbe un bel disastro, e per Dio, e per la Natura. In effetti l’Onnipotente sarebbe d’un botto esautorato della personalità, della libertà e della bontà (moralità, per chi preferisce), insomma rimarrebbe un mero vegetale; mentre la Natura acquisendole (personalità, libertà, bontà), non potrebbe più ottemperare le sue fisse leggi perdendo quel meccanismo di ripetitività che ne determina il (perlopiù) regolare funzionamento.
In effetti il Deus sive Natura di Spinoza non ha significato letterale di Dio=Natura commutabile in un piatto Natura=Dio[1]. Spinoza invece di un perentorio e rigido “è” scrive invece ossia (o sia): "Dio ossia la Natura". Un ossia che suggerisce nello strettissimo rapporto Dio-Natura una sorta di consequenzialità della Natura da Dio. Spinoza chiarisce differenziando Natura naturans, che è la sostanza divina coi suoi attributi, dalla Natura naturata che è invece frutto delle modificazioni della sostanza divina per mezzo dei suoi attributi. Potremmo (oggi) dire derivati di Dio, un po’ come la benzina che, derivato del petrolio, pur non essendo petrolio non potrebbe esserci senza petrolio; o i nostri pensieri e le personali azioni che seppur completamente interconnesse a noi non sono noi, così è la Natura rispetto a Dio.
Applicando questa concezione come va a finire? Di solito va a finire che nel rapportarci alla Natura siamo portati a scorgerci un Autore che alberga dentro al fiore di campo, o stava prima causandolo (primum movens), o forse è nascosto dietro. Una sorta di mescolanza fra Dio e Natura che immagina Iddio occultato negli atomi per fargli girare gli elettroni dentro, un povero Dio se costretto a tanto. Ma Spinoza non mescola, sa distinguere unificando e sa unificare distinguendo, ma se non si è Spinoza mica è facile l’operazione.
Non ci restano che quei momenti di grazia nei quali accade una inaspettata coincidenza di immanenza e trascendenza, e quel ossia diventa immediato, chiaro, semplice.
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1 Da questi Dio=Natura; Natura=Dio l’accusa di ateismo nei confronti di Spinoza, mentre Hegel, all'opposto, interpretava la concezione del rapporto Dio e Natura di Spinoza come acosmismo, termine che aveva coniato per significare che per Spinoza il mondo -causa sui- coinciderebbe letteralmente con Dio e, dunque, il cosmo senza Dio non avrebbe alcuna possibilità di autonomia propria.
Razionale?
Si fa presto a dire ragionevole ma di razionalità non ce n’è una sola. Razionale è optare per ragioni personali che giudichiamo giuste -ognuno ha le sue buone ragioni- evitando di andare contro noi stessi, ma anche ottemperare norme sociali pur percependole astruse. C’è la razionalità del profitto che vede ragionevole mettere qualcosa sotto i denti, poi c’è la razionalità che poggiando sull’osservazione altrui opta per l’opzione che, data una specifica situazione, è più utilizzata dalle sue parti. C’è la razionalità istintiva che conserva selettivamente le soluzioni più performanti scartando le altre. C’è la razionalità matematica e pure quella biologicamente e socialmente ereditata, forse c’è anche una razionalità trascendentale.
Mi sembra che ciò che chiamiamo buon senso consista nell’elaborare una sintesi mediana di queste numerose e differenti razionalità per applicarla alle cose e alle circostanze che incontriamo. Razionale non è dunque sinonimo di giusto, corretto e definitivo, ma un modo di interpretare il mondo galleggiando in un provvisorio e per certi versi arbitrario equilibrio.
Ricreazione
“Break” va bene per il pugilato e i business meeting; “svago” fa pensare a un alticcio che vaga; “intervallo” richiama la distanza tra paracarri; in “pausa” riecheggia un’interruzione come quando va via la corrente; “distrazione” fa pensare a un incidente sulla provinciale.
Forse meglio “ricreazione” nel suo enunciare molto di più di un mero ristorarsi.
Fabbricante di continuità
Se si arriva in ritardo si perde il treno e in una progressione aritmetica il numero che segue è in successione costante dal precedente.
Ma per molte altre cose l’ordine e la continuità non sono nelle cose ma prodotto del nostro arbitrio; siamo inconsapevoli cernitori che dagli irrazionali e simultanei eventi materiali e immateriali che incontriamo, scegliamo materia adatta per architettare gerarchie di successioni e consequenzialità, così da controllare il caos. Estraiamo parti scelte dall'immane magma informe e sbozziamo mattoni per edificare strutture logiche e cronologiche apparentemente stabili, quel giusto per non perdere l’equilibrio (il nostro equilibrio).
Sotto certi aspetti l’Io è un fabbricante di continuità.