BLOG DI BRUNO VERGANI

Radiografie appese a un filo, condivisione di un percorso artistico

NOTA! Questo sito utilizza i cookie e tecnologie simili.

Se non si modificano le impostazioni del browser, l'utente accetta. Per saperne di piu'

Approvo
Mercoledì, 09 Settembre 2009 01:40

L'Omino. Monologo teatrale

L'OMINO

 

di e con Bruno Vergani

drammaturgia e regia Vincenzo Todesco

 

 

Un uomo seduto su una sedia. Giacca scura, camicia, cravatta, pantaloni scuri, scarpe nere.

 

Starei in compagnia se dicessero cose interessanti, ma siccome parlano senza dire nulla preferisco stare solo. Quando sono solo lavoro (Pausa). Indago giorno e notte. Così ho scoperto che il senso non esiste, che la vita è stare in semplicità con qualche amico intimo e volersi bene (Pausa). Che delusione... è tutto lì... niente grandi filosofie, ricerche spirituali... Solo un bisogno d’amore... Una assenza... Adesso anche avere vicino una donna mi farebbe piacere...Una donna un po’ stupida che mi ami in silenzio, sarebbe meglio di mille testi sacri, scalderebbe più di una bandiera. (Pausa) Ma dove sei amata? (Pausa) Dove siete amici? Non mendicherò la vostra presenza, tanto tutti moriremo soli, anche voi. E comunque nessuna donna è in grado di farmi uscire dallo stupore della delusione. Ci vorrebbero quaranta dee con corpo di donna che si ungano con olio di sesamo profumato con fiori di arancio e che preghino per l'eternità respirando incenso, le caviglie colorate di turchese. Che preghino ancora e ancora e ancora. (Pausa) Perché tanta fatica? A che pro? (Chiude gli occhi) La natura segue un suo funzionamento. (Pausa) Tende ad autoperpetuarsi. (Pausa) Gli esseri viventi nascono e muoiono e la natura va avanti. (Pausa) Io faccio parte del funzionamento da sempre e per sempre. L’ho saputo dopo la nascita e lo dimenticherò dopo la morte, ma che io sappia o no alla natura non interessa. (Apre gli occhi) I gatti sono felici, io invece no. (Pausa) So di essere. (Pausa) Una misteriosa malattia. Ma la prognosi è favorevole, perché questa coscienza con la morte cesserà. (Pausa. Poi parla, mentre si toglie la giacca e la appende alla spalliera della sedia. Rimane in camicia e cravatta. Le mani appoggiate sul retro della sedia) Comunque, la teologia mi ha fatto divertire. Il latte della madonna, la resurrezione dei corpi, il purgatorio... Mi fa venire in mente quelle lumachine che si spurgano sulla segatura, per essere cucinate e incamerate nel gran ventre del benefattore. (Pausa) E se un bambino muore non battezzato ma senza avere avuto il tempo di fare un peccato anche piccolo piccolo? Va nel limbo... il limbo... sembra il nome di un ballo sud americano, invece devono rimanere tutti lì fermi ed ammassati, quelli che non hanno ricevuto il battesimo ma si sono comportati bene in vita... Che so, Gandhi, Platone, Aristotele...Centinaia di miliardi... molti di più di quelli che stanno in paradiso. Adesso ho letto che vogliono eliminarlo... Chissà dove andrà a finire Gandhi... e Platone...Non sanno cosa è il limbo... il limbo esiste... è quel posto dove vanno gli amori pensati e non vissuti, i desideri non realizzati, le atrocità non commesse per caso, per coincidenza, per bontà. (Pausa. Si sistema sulla sedia. Le mani sulle ginocchia) L’altro giorno ero stato bene, addirittura felice. Per una notte. Il corpo pieno di peyote e gli amici lì vicino in silenzio. Una famiglia. Andava tutto bene, non bisognava star lì a spiegare. Potevi dormire, parlare, vomitare, e tutto era perfetto. Un amore così forte che dava un po’ di sofferenza. Un mix di amore e sofferenza. La compassione di dio. (Pausa) Forse la sofferenza dell’umanità è il carburante che fa funzionare dio, che così arde ed esiste. Forse dio è un orco, o un demone. La verità è che non c’è motivo. Non c’è dio. Si tratta solo di funzionamento. Di combustione. Era bello stare con gli altri, e se andavi via loro rimanevano con te, però era più bello se c’erano davvero. Vivere e morire era un po’ la stessa cosa. Poi tutto è finito e mi mancava quella cosa. Sempre mi è mancata quella cosa. Anche adesso mi manca quella cosa. Del senso ultimo non mi interessa più nulla, però il cercarlo mi ha fatto passare il tempo... Mi ha illuso che la mancanza di quella cosa fosse più sopportabile, che forse una risposta sarebbe potuta arrivare... Ho indagato a fondo e la risposta non è arrivata, ma intanto mi sono sentito un cercatore di verità. Un buon intrattenimento. (Pausa. Alza un piede, slaccia lentamente una scarpa, parlando) Forse la risposta mi potrebbe arrivare da una donna stupida che mi allatti in silenzio. Non mi fido di lei. Le scritture non danno la risposta, ma almeno non tradiscono. (Toglie la scarpa e la tiene in mano) Ricorda Schopenhauer... l’Avaida Vedanta... Ti manca la cosa? Non cercarla. Ricordati che tu non esisti, sei un agglomerato di cellule che rispondono a decreti biologici, un paciugo di ricordi. Ma tu, tu non ci sei. (Pone la scarpa sul pavimento davanti a lui e ritorna fermo e composto) E se non ci sei, se non esisti, nel buco nero chi ci va? Eh? Chi ci va? Nel buco nero lì sempre presente che genera un mulinello che attira verso il basso verso il nucleo di morte? Se io non esisto, nel buco nero non ci va nessuno. (Slaccia la seconda scarpa) Il buco nero non mi piace, quindi accetto l’ipotesi che non esisto. E’ come prendere l’oppio per lenire il dolore... Il dottore dice che l’oppio non cura la malattia, quindi non serve. Non è vero. Serve. Io ho scelto il dottore che mi ha dato l’oppio. (Pone la seconda scarpa sul pavimento) A me il buco nero non piace. Il buco nero l’ho guardato in faccia. Sono rimasto vivo solo perché non esisto. Il mulinello gira veloce e tira giù. E’ sempre lì. Ma quella notte si era fermato. Almeno mi era sembrato. Per un po’. (Slaccia lentamente la cravatta) E’ semplicemente una questione di biochimica del cervello. In San Pietro il Papa era là, morto, non c’è stato uno capace di andare lì e dirgli alzati e cammina. Sono stati capaci di vestirlo di rosso e di attaccare stendardi sull’altare. Fanno pena. Che provino ad avere il coraggio di resuscitare un morto. Almeno uno ogni dieci anni. Non possono, perché credono che i morti per resuscitare devono alzarsi in piedi invece che sciogliersi nella terra e diventare lombrichi e poi cibo per altri animali nel grande funzionamento. Forse il buco nero lo hanno inventato loro. Non lo so. Ma un morbo antico ha infettato lo sperma e poi il latte materno che io ho bevuto e mi sono contagiato. Solo le sacre prostitute potrebbero guarirmi. I pochi amori di donne moderne non mi hanno lenito la ferita. Meglio il peyote. Meglio il vedanta... (Cincischia con la cravatta slacciata) Ho preso la vita come veniva, mi sono intrattenuto con quello che veniva. Mi diverte pensare che c’è un regista occulto che fa accadere le cose, e prendermela con lui se non mi piace il copione. Primo comandamento: mai prendere iniziative. Mai prendere la paternità dell’azione. Essere fuori dal gioco. Sempre qualche metro più in là per osservare meglio. Qualcuno lo deve pur fare. A me piace. Non faccio male a nessuno, perché volete togliermi l’intrattenimento, non è che i vostri siano meglio. Che devo fare? Lavorare? Già fatto. Procreare? Già fatto. Impegnarmi? Già fatto. Amare? Dove? Quando? Chi? Cosa? Non voglio affaticare quaranta dee, non ne vale la pena. (Appoggia la cravatta sulla spalliera della sedia. Slaccia la camicia, parlando) E se avessi sbagliato tempo e luogo? Dovevo nascere al tempo delle fate, mi sarebbe andato bene anche essere il figlio di una strega, pur di essere lì. Le streghe si ungono con il giusquiamo, il corpo diventa leggero e volano. Da bambino ho incontrato una strega, la “Teresa del bosco”, mi ha preso per mano e mi tirava “ven ki, ven ki”, ero terrorizzato, forse mi ha benedetto. C’era anche la nonna Ida, una vecchina vicina di casa... Di notte la vedevo che entrava dalla finestra della camera e veniva a dormire con me, nella culla... Avevo due, forse tre anni... (Toglie la camicia e la appende alla spalliera della sedia) Da grande sognavo che ero dentro una grande botte, in balìa di un grande fiume che mi portava via. Mia madre mi chiamava amorevolmente dalla sponda per salvarmi. Appena sveglio ho visto mia madre nel corridoio, in carne ed ossa. Non c’entrava nulla con quella del sogno. Era orribile, ottusa. Non è possibile che io sia figlio di quella cosa. Solo il corpo viene da lei. Io sono figlio delle fate, della strega e delle sacre prostitute del tempio. E’ per questo che mi annoio se non volo. (Pausa) Non ti offendere se non ho sofferto troppo quando sei morta. Per consolarti puoi pensare che facevo finta di non soffrire, per non soccombere al troppo dolore. Meglio che tu sia morta presto. Pensa come me, che tu non sei nessuno e hai partorito il non nato. Così per un po’ starai in pace. (Si alza in piedi e toglie i pantaloni) Eccomi a mendicare l’amore non avuto. Meglio non offendere, non ferire, essere accomodanti, servizievoli, buoni, rapidi nel rispondere ai bisogni altrui, evitare i conflitti, far sì che tutti ti vogliano bene, così poi qualcuno ti amerà un po’. (Si siede, piega i pantaloni e li appende alla spalliera della sedia) D’accordo, non è stata colpa tua. Hai fatto quello che hai potuto, però mi hai complicato la vita. Stai tranquilla. Di tutte questa cose non me ne faccio un gran problema. Ma tu, non vergognarti di andare al tempio, se tu diventi amica delle sacre ragazze che lì lavorano, io riderò felice. Ma non cercarmi. (Pausa 5’’) Non cercarmi mai più. (Pausa 5’’) Bastardo, dimmi: quando è cominciato il tutto? Dimmi, quando è cominciato il tutto? (Pausa 5’’) Che sofferenza essere se stessi. (pausa 5’’) Sono stanco. (pausa 5’’) Tutto è compiuto. (Socchiude gli occhi… buio)

Pubblicato in Testi Teatrali
Mercoledì, 09 Settembre 2009 01:36

Kranz. Monologo teatrale

KRANZ

di e con Bruno Vergani

drammaturgia e regia Vincenzo Todesco

 

Un uomo di circa 73 anni. Kranz. Barba non rasata. Camicia bianca stazzonata e sporca, con panciotto e pantaloni neri. Calzini marroncino. E’ su una vecchia poltrona semisfasciata. Non si vede all’inizio, perché è coperto da un telo liso e qua e là con tracce evidenti di sporco. Il vecchio ne è completamente coperto, sbadiglia, ne emerge togliendoselo di dosso. Si è svegliato. Si guarda attorno. Sorride. Ai due lati o della poltrona un cesto, ed un catino. In una cornice una radiografia. L’uomo si sporge e prende dal cesto uno yogurt ed un cucchiaino. Apre la confezione e si mette a mangiare lo yogurt. Parla.

Bene. Bene. Raramente penso al passato. (Ingurgita un cucchiaino di yogurt) Quando riuscivo ancora a vivere con me stesso. (Yogurt) Cercavo Dio, ma siccome era difficile trovarlo l’ho cercato nella religione. (Yogurt) Sono diventato monaco. Un massacro (Finisce lo yogurt e succhia ben bene il cucchiaino per pulirlo). Chissà perché ho resistito per cinque anni (Depone nel cesto yogurt e cucchiaino e prende un tovagliolo). (Pausa) Però una cosa mi piaceva. (Si pulisce gli angoli della bocca) La compassione. Aiutare gli altri. (Sorride). Così quando ho incontrato una ragazza che aveva bisogno di aiuto l’ho sposata. Dopo quindici anni, quando si è ripresa, mi ha massacrato. (Medita). Beh…beh (Estrae dal cesto uno spazzolino da denti) Ex monaco. (Estrae dal cesto un tubetto di dentifricio) Ex marito. (Mette un po’ di dentifricio sullo spazzolino, richiude il tubetto e lo ripone nel cesto). Però un modo l’ho trovato per tirare avanti (Estrae dal cesto una bottiglia d’acqua) Il lavoro. E l’abitudine (Estrae dal cesto un bicchiere, versa acqua nel bicchiere, vi immerge lo spazzolino ) Un giorno ho letto di un vecchio tabacchino indiano che diceva che noi non siamo nati (Comincia a lavarsi i denti).Quello che è nato è solamente il corpo (sputa nel catino), che non c’entra per nulla con quello che siamo veramente. (Continua a lavarsi i denti, si sciacqua la bocca e sputa nel cestino.) Diceva che noi siamo coscienza. Energia eterna. Onnipervadente (Ripone lo spazzolino nel cesto, prende dal cesto un astuccio per occhiali. Lo apre ed estrae un paio di occhiali. Si mette a pulirli con uno straccetto.) Il tabacchino diceva che soffriamo per un equivoco perché crediamo di essere il corpo invece che la coscienza impersonale. Beh… (Guarda attraverso le lenti per vedere se sono pulite bene) . Un po’ mi secca accettare che come persona non esisto. (Si ferma. Pensa. Sorride) Forse è meglio come dicono i cattolici, andare all’ inferno per l’eternità ma con l’io pimpante e integro. (Sorride) Però che leggerezza staccarsi dalla propria storia. (Mette gli occhiali) Vivere senza pensiero. Senza memoria. Senza giudizio. Vivere senza me stesso. Beh…beh…(Estrae dal cesto un giornale evidentemente molto vecchio). A volte mi succede di avere un picco di consapevolezza che mi libera da me stesso. Dura poco. Quanto basta per osservare il carnevale nel quale mi trovo per essere nato senza averlo chiesto.(Ride leggermente) Mica male, il picco. Niente male. (Sospira. Apre il giornale e cerca una notizia) Il problema è che se ci si sforza il picco non arriva. Viene da solo, così, senza motivo. Non si deve fare assolutamente nulla (Abbassa il giornale sulle ginocchia) Ci vuole uno stato mentale come quello che viene spontaneo quando defechiamo. Una mente serena, un po’ assente, staccata e indifferente. Allora il picco potrebbe anche arrivare (Riprende il giornale) Beh…beh… (Trova la notizia) Ah! Ecco! (Legge)“Asportato al Policlinico Gemelli di Roma un calcolo renale con una tecnica innovativa. L’équipe del prof. Moro ha eseguito per la prima volta in Italia un intervento di frammentazione ed aspirazione di un calcolo renale di 100 millimetri con la tecnica made in USA del laser abbinato ad una cannula aspiratrice. L’innovativa tecnica permette di evitare la asportazione del rene, fino ad oggi ritenuta necessaria nei casi di calcoli superiori ai 70 millimetri. Il paziente, un uomo di 60 anni, si era rivolto… (Smette di leggere. Abbassa il giornale, lo piega e lo mette nel cesto. Si toglie gli occhiali). Bene… bene… 100 millimetri… Ultimamente mi sono ammalato. Il tabacchino avrebbe detto: “io osservo questo corpo che si è ammalato”, beh in ogni caso si è formata una pietra di 80 millimetri dentro il rene. Quello sinistro. (Ripone gli occhiali nella custodia, poi il tutto nel cesto). ( Pausa) Gli amici per aiutarmi mi hanno rivelato che le malattie sono generate da blocchi interiori. Parlano di psiche, di anima per spiegarmi che mi sono ammalato per colpa mia. (Pausa) L’altr’anno avevo piantato dieci meli in filare. Uno ha preso il verme ed è morto. Non so se è stata colpa sua. Forse sì. (Inspira, trattiene il respiro e si palpeggia il fegato, espira. Preme un interruttore e una luce illumina la radiografia). (Pausa) La mia radiografia. In una radiografia si vede una persona in trasparenza. Si vede dentro. Si vede tutto. Però non c’è niente di particolare da vedere. Potrebbe essere quella di un cadavere. Potrebbe essere quella di un altro. I corpi, mio o tuo, vivo o morto, dentro sono tutti uguali. Anche i respiri sono tutti uguali. Qualcuno continua, qualcuno cessa, qualcuno inizia. (Pausa. Si dondola leggermente, ad occhi chiusi) A volte, molto tempo fa, frequentavo cerimonie con nativi americani che avevo incontrato per caso. Con loro ingurgitavo nottetempo piante psicotrope attorno ad un fuoco. Quando la sostanza andava in circolo il corpo vomitava. (Si arresta, Apre gli occhi). Lo sciamano spiegava che succedeva perché il corpo si purificava. Nella notte non consideravo che il vomito era provocato dalla tossicità delle piante. Mi sentivo davvero bene. Ritornava il picco. La consapevolezza… Poi quando la sostanza era smaltita tutto passava e mi ricordavo ancora il mio nome e tutti i nomi che il creatore ha inventato per differenziare le cose e divertirsi a giudicarle. (Estrae dal cesto un orologio da tasca. Lo carica. Lo porta all’orecchio. Riprende a caricarlo. Sorride). Anche mio padre è morto dopo una vita degna… dove va la fiamma della candela quando l’abbiamo spenta? (Pausa) Non ho chiesto di nascere. (Pausa) Non mi ricordo di essere nato (Pausa). Figli, genitori, amici, io…tu…loro. Io…tu…egli…noi…voi, pronomi personali dentro una goccia di sperma. (Pausa). La mamma. (Pausa) Da morta era più dolce (Pausa). Anche lei ha avuto i suoi problemi e molto peggiori dei miei. Tutto è successo perché non poteva fare altrimenti. (Pausa) Non c’è nulla che devo perdonare. (Pausa) Ho preferito non vederla morta dopo l’incidente. Però, senza volerlo, avevo visto una sua scarpa incastrata nelle lamiere contorte e mi era venuta un po’ di nausea. (Pausa) Papà una settimana dopo l’incidente ha detto : E’ come quando si picchia il gomito, fa molto male ma dura poco. Era il suo modo per tenersi su. (Pausa) Anch’io ho avuto il mio modo per tenermi su, ho pensato che tutte le sue omissioni, controlli, ambiguità, doppi legami mi hanno permesso di diventare più autonomo e sensibile. (Pausa) Però che fatica quando nella vita ho avuto a che fare con le donne… e adesso? (Pausa) Adesso è troppo tardi, il gioco è per fortuna chiuso, da tempo. (Pausa) Va bene così, mamma. Ti voglio bene così come sei stata. (Pausa) Ora puoi andare. (Pausa) Anch’io posso andare?… (Pausa) Non che abbia un posto particolare dove andare. Sto bene qui. Mi va bene così. Si, lo so, gli amici ben intenzionati mi dicono che non va bene così. Che bisogna darsi da fare. Essere attivi. (Pausa) E perché? Per raggiungere che cosa? Per arrivare primi alla fine del viaggio dove arriveremo comunque tutti? Strana gara. (Pausa’) Strana vittoria. (Pausa) Ma guardate i gigli del campo e gli uccelli del cielo, lo dice Gesù, sono così perfetti non si preoccupano del futuro; Salomone nella sua gloria non aveva un oggetto così perfetto e prezioso come i gigli che crescono spontanei nei campi. (Pausa) Ma lasciatemi in pace. (Pausa) Ma lasciatemi tranquillo (Pausa. Si china per raccogliere la coperta.) Mah. Forse hanno ragione loro… Forse hanno ragione loro. (Sbadiglia, si ricopre completamente con la coperta e si riaddormenta. Buio)

 

Pubblicato in Testi Teatrali
Mercoledì, 09 Settembre 2009 01:32

Il rene. Monologo teatrale

IL RENE

di e con Bruno Vergani

drammaturgia e regia Vincenzo Todesco

 

Una serie di radiografie appese ad un filo. Dietro una lampadina, che si accenderà a comando. Ogni radiografia è accompagnata da un referto medico. Un tavolo con due ciotole accanto alle quali stanno raccolti ordinatamente rispettivamente dei pomodorini e una cipolla con spicchi di aglio. A fianco, una ordinata montagnola di piselli con buccia. Un coltello. Un tagliere. Un pentolino con acqua e una peretta, boccette di medicinali. Un secchio ai piedi del tavolo, coperto da un canovaccio da cucina. Appoggiata al secchio una sedia con rotelle. Lungo la parete, un tavolo con fornello a gas: sul fornello un pentolino piccolo , spento, ed una pentola grande piena di acqua, accesa. Sul tavolinetto anche olio, sale e spaghetti. Un uomo vestito dimessamente è seduto al tavolo.

 

Il peggio è passato. (Pausa) Quando cercavo la felicità senza trovarla. (Pausa) Quando imitavo gli altri e credevo di essere qualcuno. Parlavo di cose complicate, che fingevo di capire. (Pausa ) Però il fondo l’ho toccato di rado. Non sono stato così stupido da avere entusiasmi (Pausa). A parte Dio. E l’aver obbedito alla natura facendo figli. Per poi sentirmi un po’ eterno. (Pausa) Peccati di gioventù. (Pausa)

E adesso che non ho nessun creatore… Adesso?

(Traffica con il pentolino, la peretta e l’acqua)

Un po’ di sapone di Marsiglia nell’acqua della peretta scioglierà tutto. Non troppo sapone perché irrita. Peccato non poter usare il “Grassex”, quello sì che sgrassa. Inquina ma sgrassa. Ma va bene solo per i pavimenti. (Medita) In qualche modo esistevo nell’essenza dei miei genitori? Continuerò ad esistere in quella dei figli? (Pausa) Non mi inventerò nulla per aiutarmi a tirare avanti. Che siano gli altri ad affaticarsi nel mentire. (Prende i pomodorini e comincia ad affettarli e li versa nella prima ciotola. Intanto, parla) Avrei preferito nascere già vecchio, così da non avere ricordi, come i gatti della strada. (Pausa) Quelli si accoppiano senza amore. Senza bisogno di Messia e Guarigioni Miracolose (Pausa) Una volta ho catturato una gatta selvatica. Ho aspettato che fosse affamata, l’ho attirata con del buon cibo, l’ho afferrata per la collottola e le ho dato da bere del latte mescolato con erbe rare e mentre mangiava recitavo la formula: nutriti! nutriti! (Pausa) Non è mai diventata domestica, però mi cerca quando ha fame. O forse cerca le erbe psicotrope. D’inverno sta fuori al freddo. Potrebbe entrare in casa insieme agli altri gatti ma non vuole. Preferisce soffrire in solitudine. (Pausa)I cani mi sono antipatici. Più sono grossi e più diventano stupidi. Hanno un cervello piccolo ma fanno stronzi enormi. (Medita)… Anch’io in ospedale ho avuto le visioni procurate della ventilazione artificiale. Vedevo dall’alto me stesso che stava in casa, si preparava da mangiare, andava alla posta… la visione non era interessante ma ad un certo punto mi sono accorto che lui nel fare tutte queste cose soffriva un po’ed era triste. Non aveva capito che non era nella realtà ma in un film. La cosa mi ha fatto quasi morire dal ridere. Lui faceva sul serio, come se tutto fosse reale. E più era triste più io ridevo. (Pausa) Anche se in quello stato di osservazione, forse ero già morto. (Pausa) Forse i morti ci guardano. Forse si può uscire da se stessi e guardarsi. Specie quando la tristezza ci sommerge. (Comincia ad affettare le cipolle e l’aglio e le ripone nella seconda ciotola. Intanto parla) Troppa fatica per cambiare, troppo tardi per cambiare, non ci sono ragioni per cambiare, ho paura di cambiare, sono troppo stanco per cambiare, non ho motivi per cambiare, ho sonno e mi viene da vomitare e mi fa male la testa, non ce la faccio a cambiare, non voglio cambiare, è pericoloso cambiare. Posso fingere di cambiare. Posso cambiare facendo sempre le stesse cose. Posso non cambiare facendo cose sempre nuove. Devo rimanere immobile. Se resto fermo ce la faccio. (Lunga pausa) Non voglio dare fastidio. Preferisco stare solo e sapere che gli altri stanno bene grazie a me. (Pausa) Anche questa malattia… il rene… quello sinistro… calcolosi a stampo rene sinistro recidivata in quattro mesi. Quattro mesi. Un record. (Comincia a sbucciare i piselli, che accatasta ordinatamente in un angolo. Getta le bucce nel secchio. Intanto continua a parlare) Anche questa malattia, al rene, è meglio che capiti a me piuttosto che a un altro. Io ci sono abituato. Sarà la decima operazione. Un anniversario. Da festeggiare. (Pausa) Eh sì…io soffro al posto degli altri…come Gesù. Chissà quante volte ha riso Gesù nei trentatré anni di transito terrestre… Forse una volta. Da bambino. Quando ha succhiato il latte per la prima volta.(Pausa) Ma come ha fatto la Madonna ad avere il latte se era vergine? Non è plausibile che l’ipofisi immacolata abbia prodotto prolattina a sufficienza. Forse si è prodotto un latte scrematissimo, verginale. Ma e il bambino? Ha corso il rischio di morire di fame. A meno che abbia avuto un corpo di costituzione angelica. Oppure che come integratore della secrezione materna abbia succhiato latte di asina o di mucca… ma in tal caso avrebbe ereditato una parentela biologica con i bovini… Roba da eretici… Però… la versione ufficiale dice che c’erano un bue ed un asino nella grotta a Betlemme… vuoi vedere che erano una mucca e un’asina a cui poi hanno cambiato il sesso per nascondere la verità..? … Che storia… Davvero un pasticcio essere figli di dio e nascere da una donna… (Spinge la sedia a rotelle verso il fornello. Versa olio nel pentolino e accende il gas. Prende la ciotola con cipolle e aglio e la versa nel pentolino. Mescola) Ho sonno…Quando la coscienza inizia a ritirarsi, tutto scompare. Ti abbandonano rapidi i pensieri. Un istante prima della fine ti appare perfettamente chiaro che tutta la questione si riduce a “sono” o “non sono”. Quando il “io sono” si attiva sei triste oppure felice, quando si ritrae non pensi più e allora non sei felice ma neppure triste… (Prende la ciotola con i pomodorini e la aggiunge nel pentolino. Spinge la sedia vicino alle radiografie.) Si può conoscere con precisione lo stato di salute di un corpo: se l’azotemia raggiunge i 10 mg e non supera i 50 vuol dire che stai bene. Ma in quali parametri deve rientrare un’anima per essere considerata sana? Forse gli scienziati americani lo sanno. Loro sanno tutto. Una diagnosi precisa permetterebbe una cura efficace. (Pausa) Se mi ricordo bene qualche birra in più e la compagnia di una femmina sono un discreto anestetico. Però il sacro funziona meglio. Se non fosse per gli effetti collaterali lo si potrebbe prescrivere anche ai bambini. (Accende la luce dietro le radiografie. Le esamina)Urografia: 1999, calcolosi renale sinistra. Bonifica endoscopica.2003: rene sinistro calcolosi a stampo completa formatasi in dieci mesi.2004: calcolosi a stampo rene sinistro recidivata in quattro mesi.(Lunga pausa 10’) Ho inventato un dio per non cambiare. Uso la malattia per non cambiare. Sono riuscito a procurarmi una malattia e a farla durare per trent’anni. Roba da Nobel. Tutta colpa del rene sinistro. E’ sempre stato insoddisfatto e sofferente. Mai grato. Infantile. Sempre bisognoso di attenzioni e di cure, fino alla nausea. E più lo curavo, più lui si ammalava. Adesso basta. Che se ne vada per il suo destino di putrefazione, lontano da me. (Pausa) Oppure potrei venderlo ad un riccone di quelli che vanno in India a comprarsi dai poveri un rene, glielo cederei a prezzo modico. Sì caro signore, stia tranquillo, è un ottimo rene… sì, è di un sessantenne… non è di primo pelo. Ma è sano. Sano garantito. Invece glielo vendo mezzo marcio e senza togliere neppure i calcoli, poi i soldi li dono alle suore di madre Teresa di Calcutta… o forse no, forse me li sputtano al Riz. Per un mese. Pranzo e cena. Alla faccia del rene. (L’uomo torna al fornello, spegne il gas sotto il pentolino. Assaggia il sugo. Intanto parla) Dopo sei ore, al risveglio dall’operazione avevo più anestesia in corpo che sangue. Roba da far impallidire qualsiasi drogato. La coscienza andava e veniva in un istante, come quando si accende e spegne la lampadina del soggiorno. Quando si spegneva, nello sparire vedevo che con me si dissolveva l’intero universo. Quando si accendeva, prima tornavo io e immediatamente dopo, ma dopo di me, tutto quanto. E’ dunque l’universo che esiste grazie a me e non il contrario. Davvero semplice: se si riuscisse a spiegarlo all’asilo le religioni smetterebbero di colpo, come i temporali estivi. Anche i deboli imparerebbero, senza inutili complicazioni, ad affrontare il proprio pezzettino di nulla. (L’uomo torna al tavolo. Lentamente rimette in ordine le cose sul tavolo. Pulisce il tagliere con il canovaccio. Appoggia il canovaccio ben piegato sul secchio. Sistema la peretta, il pentolino, le ciotole. Pulisce il tavolo. Sistema il mazzo di carte. Mentre lavora, parla) Sono mortale? (Pausa) Sono immortale? (Pausa ) Che importa? Io sono e non sono. E’ il diavolo che mi sussurra: tu esisti…tu esisti… tu esisti. Eh sì, le divinità non accettano di essere trascurate. Si fanno sentire. Si vendicano. (Pausa) Contemplazione di un pisello (Pausa). Imparare come un bambino a dire la parola: pi-sel-lo. (Pausa) Non c’è distanza (Pausa). Tutto è qui e ora. Il tempo non si è ancora staccato dall’eternità (Pausa). La spirale dello spazio-tempo si avvolge su se stessa. In realtà mai si muove. (Pausa) E’ sempre qui e ora. Continua la sua veloce corsa sul posto. Come un corridore si allena su un nastro trasportatore. E’ sempre fermo (Pausa). La primavera dell’anno passato, quella di milioni di anni fa e quella di adesso si ritrovano (Pausa ). Quanti anni ho? (Pausa) Mi hanno assicurato che sono nato in un giorno preciso. Che ora ho sessant’anni. (Pausa) In realtà non è mai successo nulla. (Pausa) Un fremito nel vuoto. (Buio)

 

Pubblicato in Testi Teatrali
Mercoledì, 09 Settembre 2009 01:07

novella via priore

Ho comprato una modesta abitazione nel centro storico. Monolocale medioevale ristrutturato con gusto in via Priore 20, l'indirizzo più bello che ho mai avuto anche se non ci andrò ad abitare. Fiero ho portato i miei figli a vederlo. Arrivo all'ingresso, davanti al portoncino che avevo visto due giorni prima e che ricordavo come la porta secondaria del paradiso. Me la trovo imbrattata con enormi scritte nere: "Cip ti amo, ci vediamo domani"  firmato "Ciap". Vernice spray lucida brillante, indelebile. Tutto il vicolo è tempestato di recenti messaggi "Ciap ama Cip", "Cip ama Ciap", puntini di sospensione oltre a una decina di punti esclamativi. Calligrafia femminile da liceale, stampatello neutro di chi chiede attenzione. Rimango immobile, un blocco procurato dall'elidersi di due stati d'animo contrastanti. Rabbia per avermi sporcato la porta del paradiso e simpatia per la ragazza che, con l' eversività di cui è capace, comunica l'amore per il suo ragazzo, per la vita. Dentro quei "Cip Ciap" c'era qualcosa di importante.Torno a casa, quella dove abito. E' passata mezz'ora e la simpatia per l'anonima non c'è più, la scocciatura per la porta imbrattata si. Scrivo al sindaco e già che ci sono anche alla polizia municipale.All’ Ill.mo Signor Sindacoc.p.c.Polizia municipaleRACCOMANDATAOGGETTO: muri imbrattati centro storico via Priore Il sottoscritto con la presente denuncia gli atti di vandalismo perpetrati da anonimi nella via in oggetto, che recentemente è stata imbrattata con scritte sulla porta della mia abitazione e sui muri di tutta la via. Un degrado ambientale ed estetico che, oltre a compromettere il decoro della città, si rivela controproducente  per lo sviluppo turistico in quanto è stata colpita proprio  la zona avente carattere storico e di pregio ambientale di maggior rilievo.Nel comunicare che mi impegnerò alla ripulitura di quanto mi compete, La prego di segnalare e attivare l'assessorato competente e la Polizia municipale onde effettuare un sopralluogo e, per quanto possibile, identificare gli autori per prevenire recidive. Qualcosa mi rode dentro, non mi sento sereno, allora aggiungoEvidentemente si tratta di educare più che di punire i responsabili, presumibilmente dei giovani che ignorano la bellezza della propria città. Non è il massimo della profondità, però mi ha sporcato la porta del paradiso. Non sono sereno ma mi sembra un buon compromesso e chiudo la lettera.Ci dormo sopra. Cestino la raccomandata e vado in via Priore con il diluente nitro, quello forte. Pulisco a fatica i "Cip e Ciap" e attacco sul portoncino una tela bianca e sopra un foglio con scritto: se hai qualcosa da dire scrivilo sulla tela, così non verrà cancellata e la potremo conservare. Sono rimasto in attesa qualche giorno. Mi sembrava di essere un cacciatore che avendo visto un animale interessante ha costruito una trappola per catturarlo e poterlo vedere da vicino. Passa una settimana. Ansioso arrivo al portoncino. Sulla tela è mal disegnato con un carboncino un fallo storto, con sotto scritto "fottiti". Rimango sereno perché tutto sommato ha funzionato, ma specialmente perché la calligrafia è un altra. Pulisco la tela, per fortuna il carboncino si pulisce agilmente. Ripasserò tra tre giorni.                                                                                  

Pubblicato in Frammenti Autobiografici
Pagina 175 di 175

Copyright ©2012 brunovergani.it • Tutti i diritti riservati