BLOG DI BRUNO VERGANI

Radiografie appese a un filo, condivisione di un percorso artistico

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Venerdì, 20 Settembre 2013 11:54

“Vita di don Giussani” In evidenza

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Nel redigere di umane vicende le “cose” vengono inevitabilmente a esistere attraverso l’angolazione di chi le scrive. Alberto Savorana autore della biografia «Vita di don Giussani» informa, dunque lealmente e dall’introduzione, dell’amicizia devota al protagonista, nucleo affettivo e punto di vista dal quale svilupperà il saggio biografico:
«A lui i fatti della mia vita - interessi, professione, famiglia - sono strettamente legati. Nel rapporto di lavoro e di amicizia con don Giussani mi sono trovato dentro un flusso esistenziale e storico - “una febbre di vita”, come amava dire -, che non si è mai interrotto.»
Chi cerca una biografia conforme allo “statuto epistemologico storiografico” ha, pertanto, sbagliato posto: a don Giussani l’Autore vuole bene e intende onorarlo celebrandolo. Legittima e libera proposta di patto narrativo che, fatta salva la medesima legittima libertà di critica per il lettore-recensore, abbiamo accettato. Recensore appartenuto nel periodo 1970-1980 a Comunione e Liberazione, momento storico che nella biografia appare cruciale, sia in ambito ecclesiale che sociale. Impegnato a Milano nella prima metà di quel decennio a scansare sprangate di extraparlamentari devoti a Lenin - da quelle parti e in quel periodo era d’uso appartenere a una qualche Chiesa -,  nella seconda metà a frequentare regolarmente Giussani, all’interno del gruppo paramonastico memores domini da lui guidato.

Appare irrefutabile, appurate le premesse, l’incombente rischio di scivolate agiografiche che Savorana, nello svolgersi biografico, riesce in parte a attutire omettendosi: un Piccolo scrivano fiorentino che riporta e raccorda citazioni, scritti di altri, circostanze e testimonianze attinenti al protagonista evitando, perlopiù, di dire “la sua” se non chiarendo passaggi complessi e armonizzando conflittualità all’interno di una visione mitica che interpreta Giussani paladino di verità, bellezza e giustizia.

In un approccio affettivo o fondamentalistico, che accetta come certi e inconfutabili i presupposti narrativi, nella fattispecie l’identificazione della presenza di Cristo-verità-bellezza-giustizia con Giussani e Comunione e Liberazione, l’opera può essere letta come un avvincente e seducente (a chi piace il genere) romanzo amoroso-cavalleresco valoroso per estensione (1350 pagine), ma è sufficiente un minimo di pensiero attivo, di decostruzione nel merito, perché il fascino lasci posto a numerose perplessità. Pur riportando accadimenti conflittuali vissuti da Giussani oltre a sporadici frammenti di testimonianze non entusiastiche sulla sua figura, la biografia risulta, nell'insieme, omissiva per scelta di materiali tendenzialmente conformi - come da programma - alla celebrazione, sovente tanto omogenei da risultare concelebrativi.

Lo stile della biografia affresca i primi anni del giovane prete alLa piccola fiammiferaia di Andersen, con affumicanti stufe a carbone e malattie che incombono e nel riportare stralci estrapolati dai discorsi e dagli scritti più ‘vigorosi’ di don Giussani - a beneficio attenuante del biografo, va riconosciuta la quasi impossibilità di rintracciarne di non vigorosi - evoca, per piressia, I dolori del giovane Werther del primo Goethe. Una realtà passionale dipinta con smisuranza che narra di dolori supremi o di godimenti traboccanti, ostentando - a differenza di Goethe - muscoli ipertrofici gonfi di Teorie con copiosità di toni esclamativi, di aggettivi e avverbi gagliardi oltre a verbi un po’ circensi: “travolgere, rischiare, infiammare, sfidare, abbagliare, bruciare, gridare, sobbalzare, incendiare, percuotere, schiantare, irrompere, stupire, esplodere, stravolgere” favorenti l’esaltazione e inibenti l’inferenza. Narrazione che, attraverso un insolito linguaggio binario di “disgrazia/grazia”, conduce in una atmosfera a tratti asfittica a tratti iperossigenata, sopra e sotto le righe del pentagramma naturale, in un pianeta abitato da individui col fiato mozzato e gli occhi sbarrati, o per terrore della personale disperata e mortale miseria umana, o perché stupefatti dalla sovrabbondante grazia di un Dio che, fattosi uno di loro, entra traboccante nel tempo-spazio salvandoli dall’orrore.  

La mole di citazioni fa riecheggiare immagini di palazzotti monumentali dell’ex URSS, quelli parallelepipedi con migliaia di finestre allineate, sempre diverse ma sempre uguali, che monotone dicono e ridicono - nel metodo e nel merito - il nucleo filosofico-ecclesiologico giussaniano. L’immedesimazione del biografo con tale quantità di citazioni, del e sul protagonista, è tale da indurci alla illustrazione critica del pensiero di Giussani stesso, restringendo la valutazione della biografia in sé a quanto fin qui esposto. Descrizione critica non introduttiva, che pertanto potrebbe risultare ostica al lettore che si approcci per la prima volta alla tematica e per mia eventuale dappocaggine espositiva e per le oggettive e numerose ambiguità, contorsioni, ridondanze, oltreché ossimori, crampi mentali, doppi legami e tripli salti mortali nei quali sono costrette capacità di intendere e logica nell'affrontare l'architettura giussaniana.
Concezione ecclesiologica giussaniana così sintetizzabile: Dio entra nella storia dei miserabili uomini e presceglie alcuni. Lì prende casa nelle loro viscere «fin nel midollo delle ossa» e attraverso l’unità dei prescelti, a Lui e tra loro incorporati, si fa incontro. Esperienza-presenza annunciata all’umanità tutta per salvarla dal nulla che le incombe addosso; ogni bene nel tutto ricondurre e nel totale appartenere a tale avvenimento, ogni male fuori da lì:
«La gioia più grande della vita dell’uomo è quella di sentire Gesù Cristo vivo e palpitante nelle carni del proprio pensiero e del proprio cuore. Il resto è veloce illusione o sterco» (don Giussani p. 51).
Ammesso e non concesso che ogni identità personale sussista sulla differenza da tutti gli altri e pur considerando l’intera storia del cristianesimo con i connessi miliardi di cristiani presenti nel mondo - che peraltro nel riferirsi al messaggio includente di Gesù di Nazareth appaiono, sovente, ben lontani dalla concezione giussaniana - l’affermazione appare imbarazzante nel suo squalificare ogni forma culturale e esistenziale e qualsiasi modalità di essere nel mondo se difformi dalla propria, in quanto tutto “il resto” valutato da Giussani “illusione e sterco” rappresenta e esprime, inequivocabilmente, la stragrande parte dell’intera umanità e di tutta la sua storia. Corrivi di fronte a tanta altezzosità gli sfavillii di consenso trasversale, con rare eccezioni di sobrietà, della stampa nazionale nel presentare la biografia, probabilmente recensita con pregiudizio positivo senza averla integralmente letta o senza averla, forse, intesa (Gianni Riotta, Vincenzo Sansonetti, Francesco Alberoni, Eugenio Mazzarella, Pierluigi Battista, Filippo Ceccarelli)[1]. A ben vedere una sana identità sta agli antipodi da ogni particolarismo e identicità autistica, semper idem implicitamente violento nel castrare ulteriori domande e precludere differenti possibilità. L’identità per definirsi e consolidarsi necessita di continua e movimentata interpretazione-riformulazione dell’ambiente nel rapporto con tutti gli uomini; interazione universale, creativa e costante dell’Io con ciò che lo circonda e viceversa, così la forza dell’identità è misurabile dalla capacità di fluttuare per riformulare-riformularsi e la miseria dalla statica identicità, vale per l’identità della persona, di un gruppo, di un popolo.

Il “sentire Gesù Cristo vivo e palpitante nelle carni del proprio pensiero e del proprio cuore” mentre tutto “il restò è veloce illusione o sterco”, proferito da Giussani ventiquattrenne, appare in centinaia di pagine nucleo del programma educativo di tutta la sua esistenza a venire: risentimento primigenio verso il mondo che immagina vendetta. Urgenza educativa suscitata da una «passione per l’umano» che interpreta la persona, in quanto non causa di sé stessa, costituita da miseria e indicando - in un atto di “fede razionale” - il divino "Altro” come esclusiva e compiuta risposta all'umana strutturale leopardiana insoddisfacibilità. Preoccupazione educativa generata da alienazione per il supposto assedio delle differenti e circostanti culture, declinata in tutte le forme immaginabili: passione educativa, priorità educativa, urgenza educativa, ansia educativa; nelle varianti belliche da sindrome da accerchiamento: difesa educativa e missione educativa «come se la “verità” fosse una persona così indifesa e goffa, da aver bisogno di difensori!» (Nietzsche, Al di là del bene e del male). Chiara la contraddizione: se esistesse davvero una verità assoluta, universale, integrale, immodificabile ed unica, sarebbe evidentemente costitutiva[2] non educativa; non avrebbe necessità alcuna d’essere propagandata, inculcata e neppure difesa perché s’imporrebbe per forza propria. Nei numerosissimi stralci di esercizi spirituali pubblicati nella biografia possiamo osservare un collaudato canovaccio immaginativo-narrativo che, a fini educativi, si ripete sistematicamente. Giussani all’inizio diceva la miseria della condizione umana, esponendo un nichilismo estremo e assoluto, quando il bisogno di salvezza dell'ascoltatore raggiungeva l’acme, proprio un momento prima che giudicasse lo spermatozoo un bandito allo stato puro (Cioran) e che si sentisse sparire incenerito nel nulla eterno, faceva 'arrivare i nostri’: Iddio che salva nell’avvenimento della Chiesa cattolica; nella fattispecie Comunione e Liberazione, "Chiesa al quadrato" (Luciano Caimi). Una strumentalizzazione della sofferenza e della ricerca di senso all'umano esistere dove più l’oratore-attore era abile nel rappresentare e affermare un nichilismo devastante e disperato - Giussani era bravissimo - e più lo spettatore, se ingenuo, si disponeva piccolo-piccolo, quanto il due di briscola quando il fante irrompe in tavola, a accogliere l’annuncio di nostrani Allahu akbar, Gott mit uns; presupposto monolitico eminente Avvenimento risolutivo grande-grande e obbedirgli. Va riconosciuto a Giussani il merito di aver enunciato la Rivelazione cristiana evitando di partire dall’alto dei cieli e correlati dogmi curiali, sovente irrazionali quanto opprimenti, ma argomentando con taglio esistenzialistico (senso religioso) “dal basso”, ovvero dal chiedersi e chiedere la ragione ultima, dunque esauriente, del proprio essere ed esistere nel mondo evitando di attardarsi in rarefatti percorsi teoretici ma ponendo l’accento sulla realtà concreta del vivere nel mondo; senso e significato sull'essere e sull'esistere di ciascuna persona nelle specifiche e reali circostanze del quotidiano. Approccio efficace e condivisibile, non per niente i giovani accorrono. Buono l'inizio, problematico lo svolgimento in quanto l’ente “Nulla”, nel quale Giussani vede originariamente infognata l'umanità intera, è teoria che non trova riscontro nella realtà che necessita di un vero e proprio atto di fede glissando sull’evidenza della realtà della Natura, dell’umanità e della storia; dopotutto basta una cane che muove la coda e il nichilismo vacilla. Opporsi al nichilismo proclamando una verità assoluta è processo che appartiene allo stesso nichilismo, anzi lo catalizza nel permanere nel «Niente è vero, tutto è permesso» (Nietzsche - Così parlò Zarathustra), al voilà la Verità indiscutibile (in nome della quale) tutto è permesso. Trasponendo la metafora di Mao Tse-tung quando scriveva che i guerriglieri devono «nuotare in mezzo al popolo come i pesci nell'acqua», possiamo osservare che nichilista e fanatico nuotano nello stesso lago. Nichilismo che se estremo conduce a due possibilità: la prima, nota ma di fatto poco diffusa, che si esprime nel rifiuto d’esistere fino anche al suicidio; la seconda più diffusa ma sfuggente, che invece reagisce a tale ipotetico nulla con narrazioni salvifiche sopra le righe, costruzioni in apparenza agli antipodi dal nichilismo grazie ai suoi salvatori di patrie e di anime traboccanti di “valori” e entusiasmo, mentre, a ben osservare, proprio sul nichilismo si radicano e poggiano. Dopotutto in ogni esaltato, sotto, sotto, c’è un disperato.

Peculiare narrazione che fonda le Chiese cristiane così riassumibile: la natura e gli uomini creati in principio da Dio permanevano, e in qualche modo continuavano a permanere anche nel cristianesimo, in una sorta d’insussistenza ontologica: «Io [Iddio] sono colui che è, e tu [creatura] sei colei che non è» (da santa Caterina da Siena). Il problema è che Dio era concepito, prima dell’avvento di Gesù Cristo un Tutt’altro assolutamente trascendente la sua stessa creazione; entità incommensurabile, inesprimibile, inconcepibile, un Aldi là di tutto assoluto (formula patristica di stampo neoplatonico attribuita a Gregorio Nazianzeno). Stando così le cose vediamo una terra abitata da creature, sì, reali nondimeno ontologicamente insussistenti e da un Dio creatore, sì, plausibile ma albergante in così alti cieli, tanto altro e oltre, da risultare inconcepibile alle sue stesse creature, ma all’improvviso… Colpo di scena mozzafiato: il sublime Tutt’altro si fa uomo. L’irrisolvibile è risolto e quell’universale limbo paralizzante di entità rarefatte, per illimitata piccolezza o per infinita grandezza, viene spazzato via per sempre grazie all’incarnazione di Dio in Gesù Cristo e alla Sua presenza sacramentale nella realtà umana della sua Chiesa nel mondo. Colpo di scena narrativo forse grossolano, infantile e infantilizzante, rispetto a più dignitosi e più realisti, quanto faticosi, percorsi di ricerca filosofica sulla problematica che forse Dio meriterebbe dalle sue creature, in ogni caso tanto caro a Giussani. Come dargli torto? Tra tutte le storie che l’umanità ha concepito n’esiste qualcuna più affascinante, semplificante e consolatoria?

Giussani evidenziava la natura oggettiva, storica ed esperienziale del cristianesimo, espressa da Comunione e Liberazione, utilizzando le parole “avvenimento”, “realtà”, “esperienza”, “incontro”, “compagnia”, per rimarcarne l’antitetica natura e struttura rispetto a teorie e idee, in tale prospettiva sovente utilizzava il più moderno e scientifico termine “fatto”. Un estemporaneo positivismo affermante l’autorità immediata e incorruttibile del fenomeno in sé, nel caso di specie il fenomeno storico di un gruppo particolare d’individui come prova valida e veritiera della presenza di Dio nel tempo tramite i da Lui prescelti, per la bruta evidenza che tale gruppo c’è. Interpretazione che oltre al glissare sull'evidenza che «un Dio che ha dei favoriti non è Dio ma un idolo» (Kierkegaard, Aut Aut), trascura di considerare la ragionevole possibilità che tale aggregato umano possa costituirsi e sussistere pur sprovvisto di regia soprannaturale per mera accettazione degli appartenenti alla medesima, accomunante, teoria. Inevitabile questo sistematico ricorrere alla fallacia argomentativa e al diallélo, quell’argomentare che si affanna di dare per dimostrato ciò che in realtà è proprio da dimostrare, non è per nulla agevole convogliare razionalmente Dio, mondo e umanità intera, dentro una bolla, senza concedersi qualche trucco. Evitando di tirare in ballo la fisica quantistica nel suo sentenziare quanto un fenomeno sia plasmato da chi lo osserva, l’ermeneutica filosofica spiega quanto concepire il “fatto” dogma inconfutabile possa rivelarsi via sdrucciolevole, non perché il fatto non esista, ma perché intimamente legato a interpretazioni, teorie, idee: «I fatti non ci sono, bensì solo interpretazioni» (Nietzsche); «I fatti sono carichi di teoria» (Popper); «Così come un popolo sceglie i propri governanti, la teoria conferisce autorità all’osservazione, affinché governi la giustificazione delle teorie» (P. Kosso).

Significato e prassi dell'obbedienza alla e nella "Compagnia sacramentale" di CL sono espressi da Giussani su binari doppi, tripli, plurimi: all’interno del gruppo l'obbedienza è regolarmente intesa totale, assoluta, pragmatica, diretta e precisissima: autorità cielline anfibi terro-celesti con una zampa nella finitudine e l’altra nell’eterno, uomini che per processo “analogico” (analogia entis) rappresentano Iddio stesso per i subalterni: «Mai possiamo aderire di più alla misericordia di Dio che nell’ubbedire alle persone, alle pietre dove Dio ci ha collocati» (p. 446). Struttura gerarchica dove l'appartenente alla comunità obbedisce ad univoco superiore, sacra autorità concatenata al sottoposto per diretta prossimità, capo che all'interno del gruppo a sua volta obbedisce, senza deviazioni, ad un suo superiore. Nel rapporto di CL nei confronti del Magistero il coincidere dell'autorità Istituzione-Cristo tende invece a stemperarsi e a chi indicava l’autentificazione della autorità ecclesiastica come segno e garanzia di verità per CL, Giussani replicava: «Non sono d’accordo […] perché uno in coscienza deve essere perfettamente certo, anche se la Chiesa non si è ancora pronunciata. Perché quando la Chiesa si pronuncia su una cosa… obbedisco. E lì cessa il mio carisma.» (p. 445) Emerge, dunque, una analogia con Cristo autoreferenziale, una sorta di Prelatura personale de facto che - due pesi due misure - esige obbedienza nel condurre, ma reclama autonomia se guidato; proclamazione d'indipendenza dal mondo, dallo Stato e dall'incardinamento alle autorità della Chiesa cattolica romana (quest'ultima argomentata e legittimata, con un doppio salto mortale, dalla assoluta obbedienza al Magistero) ma esigendo, nel contempo, completa costrizione e totale sottomissione all'interno del gruppo. Ritornando alla concezione giussaniana di dipendenza all'interno di CL - “dipendenza” è lemma squisitamente giussaniano -, va precisato che al dipendente è chiesto di fare proprie le ragioni dell’autorità, individuando e accogliendo l'informazione di fondo che esprime il "Superiore" per farla diventare intimamente propria sentendone il valore, in quanto l’autorità è ritenuta Cristo presente, individuo di per sé effimero eppure veicolante l'Assoluto, va da sé che anche il superiore che vale zero acquisterà un po’ di valore nell’azzerare il sottoposto. Per il subalterno urge, dunque, che indifferente al grado di sensibilità, onestà e verità del Superiore, lo interiorizzi per presupposta sacramentalità da lui espressa e significata. Arbitraria e assoluta obbedienza - che manco il Concilio Vaticano Primo (1870) riconosceva al papa - a Giussani dai suoi diretti subalterni, che a loro volta chiedono ai propri sottoposti, che replicano ai loro, i quali reiterano. Gerarchica piramidale (clericalismo) giustificata dalla teoria di Dio nel mondo attraverso Cristo, quindi di Dio nella storia attraverso Cristo nella Chiesa, pertanto di Dio presente nel pezzo di Chiesa di Comunione e Liberazione e, dunque, albergante nei suoi responsabili. Giussani estende alla volontà delle autorità cielline la dottrina cattolica dei sacramenti, ritenuti efficaci indipendentemente dalla moralità di chi li somministra, ex opere operato in persona Christi, per il fatto stesso di aver fatto la cosa come se fosse Cristo. Presupposta presenza divina che si manifesterebbe nelle autorità del gruppo - tutte sistematicamente operanti ex cathedra 24 ore su 24 e 7 giorni su 7 - per nulla motivata, né logicamente, né teologicamente, grottesco connubio di deus ex machina e meme: il dio che magicamente appare nella macchina ciellina auto-propagantesi al suo interno. Va specificato che, a differenza del Concilio Vaticano Primo, Giussani poneva l’accento sull’alterità dell’autorità piuttosto che sull’infallibilità, alterità che proteggerebbe dai rischi derivanti dalla personale propensione alla spiritualità per i possibili equivoci di attrazione fatale per i territori del sacro attivate da soggettive dinamiche endogene, da formazione reattiva generante pietismi ossessivi, da forze archetipiche, da inconsce fantasie individuali, da puerili innamoramenti prodotti da voragini psichiche o da narcisistiche auto contemplazioni proiettate sulla  - e, dunque, riflesse dalla - figura del Cristo, della Madonna o di qualche santo. Equivoci prodotti da misticheggianti affascinamenti che l’obbedienza all’avvenimento altro della Chiesa cattolica - la religione più materialista al mondo - smantellerebbe alla radice, in quanto obbedienza a realtà storica tutta poggiata sulla “verità” della Rivelazione e sulla oggettività della tradizione: certi della presenza del Dio vivo nei responsabili di Comunione e Liberazione l’obbedienza alle loro indicazioni salverebbe il subalterno sottoposto dall’egoica mortale individualità emancipandolo dal nulla che lo costituisce, salvezza indipendente dalla veridicità e ragionevolezza delle indicazioni del capo, anzi più aumenta lo scostamento tra l’indicazione dell’autorità e l’opinione del sottoposto e più l’indicazione risulterebbe, in tale ottica, redentiva: in CL ben oltre il formale militaresco yes-sir-così-sia, replicato a oltranza finalizzato all’efficiente coeso funzionamento del gruppo - groupthink (William H. Whyte, Irving Janis) - si obbedisce, dunque, per essere e diventare sé stessi in quanto la personale identità sarebbe costituita dalla divina alterità espressa dal superiore: «Quello di peccato, nel convenzionale senso teologico e secolare del termine, è un concetto che si colloca nel contesto della struttura autoritaria […], secondo questa concezione il nostro nucleo umano non risiede in noi stessi, bensì nell'autorità alla quale ci sottomettiamo (Erich Fromm, Avere o essere?)». «Dopo averli in un primo tempo istupiditi come fossero animali domestici e aver accuratamente impedito che queste placide creature osassero muovere un passo fuori dal girello da bambini in cui le hanno imprigionate, in un secondo tempo descrivono ad esse il pericolo che le minaccia qualora tentassero di camminare da sole. Ora, tale pericolo non è poi così grande, poiché, a prezzo di qualche caduta, essi alla fine imparerebbero a camminare: ma un esempio di questo tipo provoca comunque spavento e, di solito, distoglie da ogni ulteriore tentativo. E' dunque difficile per il singolo uomo tirarsi fuori dalla minorità, che per lui è diventata come una seconda natura. E' giunto perfino ad amarla, e di fatto è realmente incapace di servirsi della propria intelligenza, non essendogli mai stato consentito di metterla alla prova. Precetti e formule, questi strumenti meccanici di un uso razionale, o piuttosto di un abuso, delle sue disposizioni naturali, sono i ceppi di una permanente minorità. Se pure qualcuno riuscisse a liberarsi, non farebbe che un salto malsicuro anche sopra il fossato più stretto, non essendo allenato a camminare in libertà. Quindi solo pochi sono riusciti, lavorando sul proprio spirito a districarsi dalla minorità camminando, al contempo, con passo sicuro.» (Kant, Beantwortung der Frage: Was is Aufklaerung? in "Berlinische Monatsschrift"). Per fortuna, forse per grazia, tale concezione della permanenza di Cristo nel rapporto con l’autorità ha sì prodotto sparsi ed episodici scompensi psichici ma rare devastazioni complete, grazie a quei ciellini che, O felix culpa, l’hanno ottemperata in modo intermittente e grado relativo invece che continuo e assoluto come Giussani voleva. Al riguardo ricordava Santa Teresa del Bambin Gesù che, a suo dire, grazie all'obbedienza a una perfida badessa realizzava una totale emancipazione salvifica da se stessa, redenzione direttamente proporzionale alla perfidia del capo: più è altro (differente) e più funziona nel raddrizzare il legno storto. Un processo di infantilizzazione e sottomissione - "pedagogia nera" (Rutschky, Schatzman, Miller) - evidentemente devastante e patogeno sia per il sottoposto, sia per il superiore, che Giussani lenisce nel merito ricordando quanto la compagnia di CL si sia rivelata per lui stesso autorità grazie a interventi di ragazzini, di persone semplici, che l’avevano «percosso» (espressione singolare che indica una speculare contiguità simmetrica nel metodo) riattivandogli energie e ragioni per riprendere con rinnovato vigore il percorso. Estemporaneo annota: «Io sono autorità nella misura in cui valorizzo questo e non cerco di piegare e di rattrappire questa vita per un mio dominio clericale. Noi non siamo un’istituzione ecclesiastica, noi siamo un movimento di vita, è come un fenomeno artistico, è una genialità di vita». (p. 485) La visione sacramentale della compagnia in sé viene ulteriormente attenuata, con motivazioni differenti, nel Capitolo 29: «Ma non vi accorgete […] che umanamente parlando è proprio orribile identificare la compagnia come l’ambito che meccanicamente ti assicura il gusto di vivere?» (p. 900)

La biografia accenna al protagonismo disinvolto e autoreferenziale di alcuni esponenti di Comunione e Liberazione che vede don Giussani richiamarli, schernirli, prendere distanza siderale da quel tipo di compagnia: «Della vostra compagnia io me ne infischio» (p. 899). Testimonianza che separa nettamente la concezione etica del fondatore e guida del Movimento, da quella di qualche ciellino un po’ narcisista e anche un po’ mariuolo perché scheggia impazzita. Nell’affermare l’onestà del fondatore e della stragrande maggioranza degli appartenenti a CL, riteniamo che la biografia ometta di individuare e affrontare storicamente dalla fonte alla foce - senza, dunque, moralismo, bensì con approccio eziologico - le origini e le ragioni dei numerosi e recidivi accadimenti di illegalità, nell’universo cattolico squisitamente ciellini, a nostro avviso già presenti in nuce seppure in buonafede nella imperiosa e tragica esaltazione (hýbris) religiosa di Giussani, che hanno progenerato e poi caratterizzato - prevedibile "eterogenesi dei fini" e sorta di nemesi - parte della cronaca giudiziaria lombarda, e non solo, nell’ultimo decennio.
Al riguardo il giudice della settima sezione penale del tribunale di Milano, riferendosi a una condanna in primo grado inflitta a un memor domini - per dichiarazioni mendaci al P.M. sulla titolarità di conti correnti esteri - aveva ben focalizzato la problematica, scrivendo:
«Desolante l’atteggiamento menzognero adottato nei confronti della pubblica autorità da persone appartenenti ad ambiti sociali portatori di elevati ideali […] permanente nebulosità circa i reali motivi che ne hanno determinato la condotta».
A compensazione della biografia - invito all’integrazione esplicitamente richiesto dall’Autore a tutti coloro che hanno conosciuto don Giussani - tentiamo di rispondere al puntuale e ragionevole interrogativo del giudice di Milano, basandoci su quanto abbiamo personalmente visto e udito.   
Scorgiamo due motivi di correlazione, sinistramente sinergici, tra l’onesta baldanza religiosa di Giussani e la tracotanza narcisistica di qualche suo seguace:

Emulazione stilistica del leader.
Giussani allargava smisurato, urgente, irresistibile, pirotecnico, impellente e a oltranza, il personale giudizio di valore a asserzione di realtà universale costipando, come uno schiacciasassi, ciò che incontrava in tale prospettiva. Alcuni a lui prossimi, non curanti dei contenuti veicolati in tanta foga, ne hanno appreso il metodo imitando il piglio fiero, ma sostituendo con fini propri il merito. Fatto ("Avvenimento") e patto (unitario) etimologicamente poggiano su atto (āctus), nella fattispecie atteggiamento che non determina né garantisce, di per sé, il sano ordinamento personale, così religionari e gangster, in missione per conto di un qualche dio, pur dissimili nei fini possono anche somigliarsi nello stile e determinazione per raggiungerli.

Deriva assiologica tribale.
La comunione tra gli appartenenti a Comunione e Liberazione era definita da Giussani con l’affermazione: «Io sono Tu che mi fai», con quel “Tu” intendeva Dio e nel contempo, riferendosi al mistero dell’incarnazione cristiana, ogni aderente al gruppo. In questa concezione il nome di ogni ciellino è ritenuto sacramentalmente unificato all’origine con quelli degli aderenti al gruppo; annegamento soteriologico dell'Io nel corpo comunitario. Comunità giudicata da Giussani incontro-avvenimento-presenza salvifica segno sacramentale di Dio stesso, “ontologicamente” - qui da intendersi non come criterio di pensiero che inventaria gli enti (che cosa c'è) ma, con accezione metafisica (che cos'è, come è, perché è), che li fa essere ex nihilo (Giussani tende a identificare l'ontologia con la metafisica) - costitutiva l’“Io” di ogni singolo componente. Il singolo uomo è in sé insignificante, è nulla. Per "essere"[3], deve diventare cellula appartenente e obbediente alla corporazione, come le api e le formiche sono nulla senza il loro gruppo organizzato, consorziato, congregato, endogamo. Anzi di più: attraverso un processo d’ipostatizzazione del gruppo a verità assoluta e universale per l’appartenente la dipendenza diventa incondizionata ed esistenzialmente totalizzante, “ontologica” come i buchi nel formaggio che fuori da lì non esistono più. Nella concezione assiologica giussaniana la morale non poggia, dunque, sul comportamento umano in rapporto all'idea condivisa che si ha del bene e del male relata all'imputabilità del soggetto - concezione bollata da Giussani moralistica -, ma su una singolare teoria etico-assiologica di appartenenza al gruppo sacramentale: più fai parte più sei nel giusto, più fai parte e più vali, più appartieni e più sei redento, prescindendo dal personale agire. Giussani affermando - nel solco di Matthew Fox - che non sono le cose in sé da abbandonare ma gli atteggiamenti di possesso per le cose, implementa un dualismo tra morale e prassi in un mix gnostico e paolino dove, giudicando il gruppo di riferimento il valore assoluto e i beni materiali un nonnulla, invita ad un atteggiamento di possesso “come se” non avessimo, di godimento come se non godessimo, di utilizzo come se non usassimo, pur anche di fatto possedendo, godendo e usando. Blues Brothers che «in missione per conto di Dio» passano col rosso per salvare il mondo, giudizio di valore dove ogni nome è fuso e confuso nell'incorporazione al gruppo; un “Noi” Alpha-Omega super-Ente dove «l’individuo ha rapporto con Dio solo attraverso il suo popolo, la sua tribù, la sua casta, attraverso appunto la sua appartenenza ad un collettività. Da un punto di vista psicologico si tratta qui di uno stadio iniziale dell’evoluzione umana o religiosa, cioè di una religiosità del noi, di impronta primitiva, in cui il singolo non esiste ancora affatto come individuo autonomo. Questo stadio evolutivo viene definito da C.G. Jung, con l’impiego di un termine dello studioso delle religioni Lévy-Bruhl, come quello della "participation mystique". Ciò significa che si tratta di una partecipazione pre-personale e pre-individuale di ciascuno al tutto.» (Hanna Wolff , «Vino nuovo - Otri vecchi» Il problema d'identità del cristianesimo alla luce della psicologia del profondo, Queriniana, pag.146.) Singolare consorteria metafisica salvifica, corpo mistico coincidente la presenza di Dio nella storia e strutturante-giustificante alla radice ogni partecipante al gruppo. Una sovrastima del gruppo, della sua moralità e del suo potere, che produce illusione di invulnerabilità ed esaltato ottimismo favorendo l’azzardo morale nell'assunzione di rischi, al riguardo Giovanni Fornero ricorda nell’analisi di Weber la precisa contrapposizione dell’etica della responsabilità (Verantwortungsethik) rispetto all’etica della convinzione (Gesinungsethik), dove: «l’etica della convinzione corrisponde all’ “agire rispetto al valore” ed è tipica di chi si vota in modo intransigente ad un determinato ideale (elevato a meta assoluta, cui tutto deve essere sacrificato), senza preoccuparsi né dei mezzi, né delle conseguenze connesse al proprio agire. L’etica della responsabilità corrisponde [viceversa] all’ “agire razionale rispetto allo scopo” ed è tipica di chi si preoccupa sia dei mezzi atti ad ottenere determinati scopi, sia degli effetti connessi al proprio operare.» (Nicola Abbagnano Dizionario di filosofia, UTET, terza edizione, p. 930). All'interno di questa presupposta assoluta evidenza del Dio nascosto, misterioso e incommensurabile, che si manifesterebbe al mondo nella corporazione ciellina, in questo entusiamo collettivo (enthusiasmòs: "indiamento") di suggestione e acrisia a tale presupposto sacro fondamento unitario che redimerebbe, di questo sciovinistico imperativo collegiale, di questo familismo su base religiosa, di questo provinciale noi totalitario-salvifico, l’operato dei membri evidentemente obbedisce - indifferente alle generali e universali misure e norme dell'umano diritto costituite, istituite, e socialmente condivise - a regole proprie. L’impianto teoretico di don Giussani dettante la prassi politica dei cattolici nella società era, in sintesi, il seguente: «La posizione nell’impegno culturale è quella di un popolo [cattolicesimo, nella fattispecie Comunione e Liberazione] che approfondisce la coscienza di portare in se stesso il principio risolutivo della crisi per tutti; noi portiamo la salvezza.» (Giussani “Dall’utopia alla presenza”, “L’Equipe”), da qui l'impeto missionario di CL nel mondo. Dopo decenni d’impegno, abnegazione, lotte, finalmente il programma salvifico planetario teorizzato da Giussani veniva realizzato dal gruppo dei prescelti - attraverso il PDL col sostegno della Lega Nord, entrambi paladini dei valori cattolici non negoziabili - e la salvezza universale irrompeva in Lombardia, solo là, però in tutta la sua gloria, così: arresto del consigliere Gianluca Rinaldin per truffa, Nicole Minetti indagata per induzione alla prostituzione minorile e Daniele Bellotti per tifo violento, Monica Rizzi per dossieraggio, arresto di Franco Nicoli Cristiani per corruzione e tangenti, Massimo Ponzoni per corruzione, concussione e bancarotta, indagati Angelo Giammario per corruzione e finanziamento illecito dei partiti, Renzo Bossi per appropriazione indebita, Davide Boni per corruzione, arrestato Domenico Zambetti per voto di scambio e concorso esterno in associazione mafiosa per aver acquistato voti dalla 'ndrangheta, indagati per peculato e truffa Franco Nicoli Cristiani, Massimo Buscemi, Davide Boni, per corruzione Marcello Raimondi. Presidente Formigoni rinviato più volte a giudizio, nel processo di primo grado attualmente in corso per la vicenda Maugeri - procedimento che vede coimputati altri esponenti storici di CL - richiesta dai P.M. una condanna a nove anni di detenzione perché "capo di un gruppo criminale" responsabile per 10 anni, sempre secondo l’accusa, di un sistema di corruzione con sperpero di decine di milioni di denaro pubblico, oltre a benefit di circa otto milioni di euro. Tutti assolutamente innocenti fino all’ultima sentenza definitiva. Nel frattempo, nell’attendere l’iter della Giustizia, consapevoli che «ogni volta che ci si presenta la scelta tra far salva la teoria e far salvo il fenomeno, la storia del pensiero insegna che è più proficuo parteggiare per il fenomeno» (James Hillmann), un minimo d’indagine sul divario tra l’universale salvezza teorizzata da Giussani e il provinciale sfacelo di fatto realizzato è da farsi; Chiesa italiana in primis - non dimentichiamo che, seppur con radicali prese di distanza dal formigonismo di numerosi cattolici, l'impegno politico di CL era in quel periodo sostenuto da gran parte del Magistero, Giovanni Paolo II incluso. Come sopraesposto l’indagine è più semplice di quel che sembra perché il divario non c’è proprio: il proclamare al mondo «noi portiamo la salvezza» è già, e di per sé, promozione e costituzione di associazione a delinquere, o perlomeno puntuale apologia. In tale iperbolica etica dell'appartenenza e conseguente impeto politico-missionario scorgiamo una palese ambiguità all'interno del gruppo: quando l'intervento dell'esponente ciellino nella società appare valoroso, viene interpretato come diretta espressione dell'agire di Dio nella storia attraverso il gruppo dei prescelti, viceversa se l'azione risulta misera, delinquenziale o oscena, è vista come mera espressione autorale-individuale della quale risponde la specifica persona. In tal modo l'entità CL, mai imputabile al pari di Dio, della Vergine Maria, degli angeli e degli incapaci d'intendere e volere, permane illibata.

Sappiamo che la cultura occidentale è caratterizzata, e in gran parte strutturata, da una miscela di sacro e profano, una mescola di paganesimo, illuminismo, tecnica, tradizione giudaico-cristiana, ecc. ecc. . Utile al riguardo, e per certi versi inaspettata, l’analisi del cardinale e teologo francese Yves Marie-Joseph Congar (1904 –1995), espressa nel terzo capitolo del saggio teologico ecclesiologico «Per una teologia del laicato» scritto nel 1956. Congar, fedele al credo cattolico, analizza il piano di Dio dettato nella rivelazione, dal «facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza» all’ultimo capitolo dell’Apocalisse, dove Dio «assumendo lui stesso la carne della nostra umanità» vuole costruire il suo tempio di comunione attraverso Gesù Cristo «capo della Chiesa, ma anche di tutta la creazione»; Regno di Dio universale nel quale Congar dettaglia differenti e complessi aspetti, tra questi quello escatologico dell’ultimo giorno e quello «dinamico o progressivo» del tempo della Chiesa, tempo intermedio del già, dove «Gesù stesso è, in un certo senso, il Regno di Dio» e il non ancora della Parusia, dove Cristo alla fine del piano salvifico ritornerà sulla terra. Dunque due tappe e in mezzo un tempo intermedio. A che scopo tale tempo? Iddio onnipotente senza indugiare avrebbe potuto terminare il suo piano con l’Ascensione concludendo con la Pentecoste. Congar vede in tale indugio uno scopo preciso: Dio o il Cristo o la Chiesa non sono i soli artefici di tale piano, per giungere a meta è necessario il libero agire degli uomini nella storia perché senza tale cooperazione il Regno di Dio rimarrebbe incompiuto. In tale interpretazione «La regalità di Cristo resta, di diritto, universale» mentre la Chiesa sarebbe un regno spirituale della fede distinto dal «mondo naturale degli uomini e della storia», entrambi differenti coprotagonisti della realizzazione del Regno, «Rendete a Cesare quel che è di Cesare…». Nel piano unitario di Dio la Chiesa e il mondo sono entrambi finalisticamente ordinati al Regno di Dio, «ma per vie e titoli differenti», così «la regalità universale di Cristo non corrisponde a quella di una regalità ugualmente universale della Chiesa». Ne consegue per il cristiano che il profano sviluppo umano storico non è un processo antagonista e nemico - il giussaniano giudicare il mondo "illusione e sterco" con paradigma medievale che entra a gamba tesa nel post moderno -, o nella più misericordiosa interpretazione mero accadimento subalterno da tollerare, ma in quanto forza indispensabile all’accadimento del Regno evento da valorizzare e col quale allearsi. Sacro non contrapposto al profano, quindi non «Resistenza del Mondo ma Resistenza nel Mondo». Tralasciando il possibile effluvio di concezioni hegeliane, riguardo un supremo Principio regolatore della storia avvertibile in Congar, quello che qui ci sembra puntuale è l’intelligente sintesi, dal punto di vista cattolico, della complessa realtà in una concezione aperta che agli antipodi del dualismo gnostico ricapitola universalmente il soggetto in sé medesimo, l'Altro e il mondo.

Con esposizione meccanica la biografia di Savorana dettaglia tutto il preoccupato impegno di Giussani - assillo espresso in centinaia di pagine, letteralmente e fino alla noia - atto a riscontrare la corrispondenza tra l’io nelle sue insite necessità primarie e la realtà che Giussani impersona con l’accadimento cristiano esplicitato da CL, richiamando gli appartenenti a Cristo nella esperienza dell’origine del Movimento, dove la realtà è giudicata - CL in primis - presenza e segno di “Altro”; elativa compagnia umana prescelta da Dio che pur nella storia la trascende e giudica non per pensiero, valore, competenza, merito e iniziativa degli appartenenti, ma per ontologica ineffabile vigoria infusa dall'"Alto"; una imputazione di giustizia infusa dai meriti di Cristo e dalla sua grazia, ibridamente prossima alla visione protestante - Sola Fide e Sola gratia dove Solus Christus e Soli Deo Gloria coincidono con taglio cattolico all'istituzione CL -, sulla quale si fonda, indipendentemente dal proprio operato, la totale giustificazione personale. Nel contempo Giussani rimedia rischi di omissione idealistica del soggetto e di deresponsabilizzazione, impliciti in tale fissa prospettiva di "ratto salvifico" per mera appartenenza alla compagnia sacramentale nell'"eterno ritorno dell'uguale", invitando a un creativo, libero e originale, impegno personale nel sociale, da lui valutato indizio di fede matura che dal singolo pervade l'ambiente. In questa “immanenza escatologica”, in questo “magismo” che espande oltremisura il soggetto esautorandolo; Promoveatur ut amoveatur, in questa concezione che interpreta la persona segno di un soprannaturale "Altro" tramite sé stessa e sé stessa mediante un trascendente "Altro", Giussani nel rilevare all'interno di CL penuria di iniziativa personale nel sociale vede immaturità e intimismo e nel constatarne l’abbondanza scorge riduzioni pietistiche e derive associazionistiche o personalistiche. Il resoconto biografico nell'ostentare l'esuberanza di Giussani nell'interminabile esagitato richiamarsi e richiamare il Movimento all'ideale, certifica quanto lui stesso e la "compagnia divinizzata" annaspino nel tentativo di ricapitolare a sé la realtà, l'immediatezza della vita, gli accadimenti, la complessità delle cose, le soggettive sensibilità. Emerge una qualifica (deificazione) della persona (il ciellino prescelto) che la squalifica (reificazione), una divisione, una ambiguità, un doppio legame, un coitus interruptus tra l’opera di Dio e quella dell’ “Io” che non trova pacificazione e come Sisifo non raggiunge meta. Un conflitto tra realtà e ideale originato dal supporre che ci sia sempre un misterioso, e misterico, Quid infinitamente più "grande", ontologicamente sempre più in qua, o escatologicamente sempre più in là, del soggetto che nell'immediato pensa e fa. Il perseguire tale asintonica, arzigogolata, fessa, inattuabile, identità - costituita da una presupposta sacra Alterità espressa dalla personale soggettività e viceversa - ingenera un limbo surriscaldato, un "come la fai la sbagli" speculare alla giustificazione infusa da Dio per l'appartenente alla comunità dei prescelti, un film malfermo con l’audio fuori sincrono che dice con precisione quanto l’ideale annunciato non sia realtà costitutiva ma narrazione mitica sovrapposta forzosamente alla vita che nel tortuoso, replicato, ossesso, tentativo di inglobarla produce labirinti di insoddisfazione in una esistenza sempre più scissa da se stessa. Tutto sommato una esperienza più necessita di essere sistematicamente illustrata, dimostrata, spiegata, rispiegata, ri-supportata, ri-giustificata, riprodotta, ripetuta, ricelebrata, richiamata e - fedele alla linea - espansa, meno è credibile, in quanto il fondato sta in piedi e si afferma da sé, mentre l’infondato necessita di essere tenuto artificiosamente e forsennatamente su. Labirinto non strettamente giussaniano ma ecclesiologico, quando la dottrina trinitaria si codifica autoritativamente e normativamente nei secoli IV-V con i concili di Nicea e di Calcedonia, il primo in reazione alla dottrina di Ario che interpretava Gesù, in quanto figlio generato dal Padre, non esistente da sempre bensì avente un inizio, entità seppur divina subordinata  - subordinazionismo dicono i teologi - al Padre, quindi ciò che si era incarnato in Gesù non era totalmente Iddio non originato ma una sorta di sottoprodotto. Nicea risolve la problematica proclamando che il Figlio è fatto della stessa sostanza di cui è fatto il Padre. In seguito la dottrina di Calcedonia, stimolata da Cirillo di Alessandria e Nestorio, definisce un punto cruciale rimasto in sospeso: quanto esterna e quanto interna al Padre l’entità cristica? Come divina e come umana l’ipostasi di Gesù Cristo? E specialmente quanto divina e quanto umana?  Cirillo propendeva per quella divina detto monofisismo, mentre Nestorio concentrò l’attenzione sulla figura storica di Gesù, però se Iddio s’incarna - immanenza alla materia - difficile preservarne la trascendenza (soprannaturale) e dunque l’efficacia salvifica (soteriologica). Le dispute sull’identità metafisica di Gesù fu complessa e prolungata con condanne e riconciliazioni, risolvendosi con un compromesso riguardo l’interazione tra Gesù e Dio così formulato: Gesù Cristo una ipostasi divina con due nature una umana e una divina. Vero Dio e vero uomo, nell'unità della sua Persona divina, ora Iddio puoi anche dipingerlo per venerarne l’immagine, ma occhio a ben comprendere la differenza tra ipostasi e natura, equivocarle unificandole è eresia (modalismo).

Sintomatico di tale titanismo, di questo enfiare l'individuo fino a farlo scoppiare dissolvendolo, di questa coatta esaltazione pantocratrice del soggetto che lo esautora da sé medesimo svilendo le personali potenzialità, l'inabilità di CL al partorire, sull'universale pubblica piazza - nonostante l’espressione di migliaia di appartenenti in mezzo secolo di esistenza e l'imperversare, all'interno del gruppo, di autorità di ogni ordine e grado - eminenti personalità d'ingegno e talento per ingrigliamento autoritativo inibente l'autorale pensiero. Di Giovanni Testori e William Congdon, vicini - seppur in modo differente - al Movimento e ampiamente citati nella biografia, evidenziamo, prendendo distanza dagli intenti strumentali di concelebrazione giussaniana dell'Autore, l'intrinseco genio personale: straordinari, poggiando sulle proprie gambe, lo erano prima, e da prima, prescindendo da ogni dipendenza e appartenenza. Con motivazione distinta - nel caso precedente per fagocitazione e sfoggio nella architettura biografica di personalità significative, qui per omissione di rappresentanza - ricordiamo Giacomo B. Contri, psicoanalista e ancor prima filosofo, peraltro valoroso biografo di Giussani[4], che Savorana, censurandone il pensiero, relega a inespressiva comparsa.

Nel saggio biografico viene dettagliata l’evidente preferenza e prossimità, libera, truistica e legittima, del protagonista nei confronti di Comunione e Liberazione, ma inopinata compare una affermazione di Giussani stesso vagamente quietistica, proferita nell’ultima parte del suo percorso: «Non solo non ho mai inteso “fondare” niente, ma ritengo che il genio del movimento che ho visto nascere sia di avere sentito l’urgenza di proclamare la necessità di ritornare agli aspetti elementari del cristianesimo, vale a dire la passione del fatto cristiano come tale nei suoi elementi originali, e basta» (p. 1138), che risulta storicamente falsa e un po' umoristica: forse un piccolissimo mirato contributo personale a CL lo ha dato anche lui. Contraddizione veniale smentita dalle 1137 pagine precedenti della biografia stessa, che dettagliano tutto il fibrillare di Giussani nell’implementare e imporre metodologie atte a generare, conservare, espandere e difendere il “suo” Movimento e peculiare carisma, con tanto di conflittualità, specialmente nella seconda metà del primo periodo, all’interno delle Chiesa stessa.

Nei resoconti di rapporti epistolari e con i prossimi emerge quanto Giussani era tollerante e amichevole, sempre stimando e valorizzando chi incontrava personalmente. Concezione che muta nei suoi libri e discorsi pubblici, dove l’individuo è invece tendenzialmente interpretato con implicita disistima e diffidenza, visto sotto la sistematica minaccia di culture dominanti o infognato in concezioni massificanti che dal di fuori e dal proprio intimo gli incombono addosso. Un porsi-opporsi che interpreta “Mondo” e Dio blocchi contrapposti - «illusione e sterco» VS «Gesù Cristo vivo e palpitante nelle carni del proprio pensiero e del proprio cuore» - superpotenze antagoniste in perenne guerra fredda o rovente senza prospettiva di distensione e disarmo, senza possibilità di sinergia e di proficua contaminazione sociale-storica (filosofia greca, diritto romano, princìpi dell’illuminismo con la tradizione cristiana), “Enti” nemici fagocitanti l’individuo a prescindere dalla soggettiva personalità; interpretazione che preclude al soggetto la realizzazione suscitata e operata dal personale pensiero sovrano.

La biografia nell’affermare il pensiero sorgivo (Scola) del protagonista illustra, nel contempo, gli autori che Giussani ha frequentato e citato, da Giacomo Leopardi a Romano Guardini, da Jacques Maritain a Pier Paolo Pasolini fino a Søren Kierkegaard. Visioni e prospettive esistenziali, concettuali ed artistiche di autori che se approfondite nel loro complesso oltre ad una fuggevole contiguità col pensiero e il metodo di Giussani non di rado si rivelano affatto distanti. Osserviamo un prepotente, rapsodico, attingere, qua e là, materiale atto ad avvalorare inflessibili teorie predefinite, invece di un confronto completo, approfondito e dialogico con l’Altro. Evidente la contiguità tra il pensiero di Giussani e quello Kierkegaard, approfondito da Karl Barth, nel vedere l’umana primigenia angoscia di piombare nel baratro del nulla risolta dall’inserzione dell'eternità nel tempo operata da Cristo, con la differenza che per Kierkegaard tale dinamica si attua in un quadro esistenzialistico personale, mentre per Giussani secolare corporativo. Per non cadere in puntualizzazioni pleonastiche glissiamo sul notorio scostamento tra Pasolini e Giussani, preferendo accennare al guardiniano concepire la totalità del reale, tanto preso e ripreso da Giussani intendendolo, sciaguratamente, come una granitica e fissa interpretazione della realtà caratterizzante il gruppo dei prescelti, invece che universale dinamica sempre nuova nel moto costante; fluttuante opposizione polare che Guardini con esemplare finezza e rigore di pensiero aveva colto come fondamento ontologico e antropologico del concreto-vivente. Un “pericopizzare” - tagliare tutt’intorno - poco accurato e piuttosto strumentale, al pari degli operai edili che nell’eseguire movimenti terra trovando valorosi reperti li triturano e amalgamano col rullo compressore per realizzare, secondo progetto, la massicciata del nuovo edificio. Andamento che con Leopardi raggiunge livelli imbarazzanti: la rivista culturale “Cenobio” (LII [2003], 4), nell’articolo “Il Leopardi cristianissimo di don Luigi Giussani” pone l’attenzione sull’ultima strofa della poesia “Alla sua donna” dove Giussani si attarda in « una parafrasi esplicativa del senso letterale, seguita da un momento ermeneutico in cui si afferma il valore di annuncio cristiano di tali versi; valore, testimonia don Giussani, da lui scoperto con intensa emozione quando, quindicenne, frequentava la prima liceo presso il seminario.»

Se dell’eterne idee
l’una sei tu, cui di sensibil forma
sdegni l’eterno senno esser vestita,
e fra caduche spoglie
provar gli affanni di funerea vita;
o s’altra terra ne’ superni giri
fra’ mondi innumerabili t’accoglie,
e più vaga del Sol prossima stella
t’irraggia, e più benigno etere spiri;
di qua dove son gli anni infausti e brevi,
questo d’ignoto amante inno ricevi.

Giussani commenta: «Questa è stata la strofa che mi ha travolto – lo posso dire – la vita. Perché dice: se tu, bellezza, che, quand’ero ragazzo, credevo di trovare per le strade – ma non c’è in terra cosa che ti somigli! -; se tu bellezza sei un’idea di Platone che vive nell’iperuranio, in qualche mondo astrale, oppure vivi in qualche altro pianeta più felice della terra, perché “di sensibil forma / sdegni l’eterno senno esser vestita”, perché sdegni di rivestirti di carne e “fra caduche spoglie / portar [sic] gli affanni di funerea vita”, in un corpo carnale portare i dolori e la morte? Se tu questo sdegni perché sei una delle realtà eterne, “di qua dove son gli anni infausti e brevi / questo d’ignoto amante inno ricevi”. Quando lessi questa strofa la prima volta – mi ricordo come se fosse oggi, la giornata di inizio dell’anno scolastico del mio seminario, in prima liceo a 15 anni, - dissi: ma come, che cos’è il messaggio, l’annuncio cristiano se non questo? È l’annuncio che la bellezza, con la “B” maiuscola, non solo non ha sdegnato di rivestire “l’eterno senno di sensibil forma”, non solo non ha sdegnato di “provar gli affanni di funerea vita”, ma è morto [sic] per l’uomo. »
Gli addetti ai lavori di “Cenobio” proseguono chirurgici:
«Vediamo ora uno per uno i marchiani errori [...], con l’avvertenza che sono tutti concentrati nelle dieci parole che costituiscono la proposizione relativa e l’infinitiva che ne dipende: “cui di sensibil forma / sdegni l’eterno senno esser vestita” (s’intende che poi tali errori si proiettano, per così dire, sull’infinitiva coordinata). Premettiamo per confronto l’interpretazione  corretta, che è all’incirca la seguente: “[Se tu sei una delle idee eterne] che la sapienza divina non permette si rivesta di forma corporea” (Dio cioè non consente che l’idea di donna sognata dal poeta si incarni in una donna reale. Superfluo ricordare che l’eterno senno non designa affatto il Dio cristiano, ma qualcosa che sta tra un principio impersonale e il demiurgo platonico).
Nella parafrasi sono presenti quattro errori di tipo morfosintattico:
1) la relativa introdotta da cui diventa, senza alcuna ragione, addirittura un’interrogativa diretta (e pertanto una principale) introdotta da perché;
2) e 3) sdegni, che è terza persona del congiuntivo, diventa seconda persona dell’indicativo;
4) l’eterno senno, che è il soggetto della relativa già arbitrariamente trasformata in interrogativa, nella parafrasi scompare letteralmente senza lasciar traccia, sicché soggetto dell’interrogativa stessa diviene il tu della proposizione condizionale, riferentesi alla donna, ovvero alla sua “idea”.
Nel commento poi, che vorrebbe fornire l’interpretazione autentica della strofa:
5) vediamo che sdegni si trasforma addirittura in non ha sdegnato, ossia nel suo opposto (!);
6) ritroviamo l’eterno senno, che è però diventato complemento oggetto di rivestire, da soggetto che era di sdegni; mentre dal canto suo esser vestita (passivo, riferito all’idea platonica) diventa attivo (rivestire), pur avendo per soggetto quella medesima idea (col bizzarro risultato che, letteralmente, la bellezza riveste Dio);
7) infine scopriamo che tale idea è addirittura Cristo stesso in quanto “bellezza, con la ‘B’ maiuscola”. Il che, a parte la distorsione estetizzante (senza dubbio quanto meno discutibile sotto il profilo teologico), è anche filologicamente scorretto, poiché l’idea che agita i sogni del giovane poeta non è la bellezza, bensì la donna ideale; il che è, al tempo stesso, molto di meno e molto di più. »
Spietati concludono: «Circa la parafrasi: quel che è ora di moda snobbare come esercizio scolastico tale da ottundere quasi la mente, rendendola sorda ai valori poetici del testo, si conferma in realtà operazione preliminare indispensabile per ogni successivo intervento ermeneutico. È velleitario sciorinare pretesi tesori nascosti di un testo poetico di cui a livello letterale non si è capito nulla.»
Scivolata riteniamo procurata più da esaltazione fagocitante che da consapevole slealtà per la quale emergono conseguenze tragicomiche nel considerare tutte le volte che la bislacca interpretazione è transitata per decenni all’interno della bolla culturale ciellina e non solo, da bocca a bocca, da scritto a scritto, da meeting a meeting, da professore ciellino a studente, indenne dal minimo sospetto che Leopardi cantasse tutt’altro. Quando poggiandosi su Kierkegaard si afferma che l’essenza del cristianesimo consiste nell’inserzione salvifica dell'eternità nel tempo operata da Cristo, o stravaccandosi su Guardini quando rincarava che non è la comprensione di Dio l’estremo del cristianesimo ma quella di Incarnazione, si dice in apparenza molto ma di fatto niente se ci si ferma lì, dato che tale concezione sprovvista di fattispecie può produrre di tutto, da san Francesco a l’Inquisizione. Tutto, dunque, da rivedere affrontando con serietà i testi originali per ciò che dicono, da Maritain a Pasolini, da Teilhard de Chardin a Bulgakov, da Solov’ëv a Dostoevskji, da Claudel a Péguy a Kierkegaard ecc. ecc., Gesù di Nazareth incluso.

Le citazioni biografiche, gli aneddoti, le testimonianze, le annotazioni, rendicontano precise l’idiosincrasia per qualsiasi filosofeggiare e teologizzare da parte di Giussani, un poggiarsi «non su una sintesi di idee ma su una certezza di vita». La metafisica di Giussani vede la struttura della materia costituita da Cristo stesso, mistica oggettiva (Adrienne von Speyr, Hans Urs von Balthasar) dove l’ascesi personale consiste nel raggiungere e permanere in tale concezione interpretativa della realtà. Teoria che vede l’entità Dio-Cristo-Chiesa-CL costitutiva di tutti gli enti, una sorta di essenza onnipervadente che gli farebbe girare gli elettroni dentro, glorificando così la realtà (acosmismo). Pensiero che rigetta intellettualismi - ma anche lo studio approfondito delle discipline filosofiche e teologiche - per fondarsi sull’esperienza empirica dell’ “Avvenimento”, al riguardo negli ultimi anni del suo operato Giussani vira dall'incitare all'«Avvenimento-Presenza VS Mondo» verso l'aut aut di «Essere VS Nulla», enti, questi ultimi, a ben vedere, più alleati che nemici, in quanto specularmente apparentati come se generati da identica matrice: coppia gemella Nulla & Dio associazione metafisica a delinquere tipica dei fondamentalismi religiosi, "Teoria della mancanza" che esautora l'esistente implementando un Dio tutto poggiante su un presupposto e artificioso “Ente Nulla” di fatto inesistente e per nulla vuoto in quanto evidentemente ricolmo da Io-Altro-Natura, che per essere implementato necessita di aspirazione a oltranza dell'esistente, sottovuoto spinto poi imbottito da un onnipervadente dio -. Supposto esclusivo e smisurato evento e incontro tangibile che irromperebbe nella storia per rispondere e risolvere l’inconditionnel de la demande d’amour (J. Lacan) spaccandola in prima e dopo: Cristo presente nella Chiesa, più precisamente nella concretezza e attualità del pezzo di Chiesa espresso da Comunione e Liberazione. Che il lettore si approcci alla biografia considerando il Cristo mai esistito se non attraverso chi ha scritto di Lui, oppure lo identifichi col Gesù di Nazareth uomo, oppure Dio, o nel contempo entrambi, a ogni pagina sorgerà urgente una domanda, La domanda:

come e perché, attraverso quale inferenza, episteme, esperire, poggiandosi su cosa, Giussani assimila, come dato di fatto, il Cristo Verità assoluta, Giustizia compiuta, somma Bellezza, realizzazione e compimento storico dell'umanità tutta, con il pezzo di Chiesa denominato Comunione e Liberazione indipendentemente dal pensiero valoroso o micragnoso dei suoi appartenenti? Identificazione così certa da metafisicare:

 «Se non c’è risposta a quel che sei, sei un disgraziato! […] Immaginate di andare in piazza Duomo a Milano alle sei di sera, d’estate, o in primavera, o d’autunno, d’autunno presto. Piazza Duomo è quasi piena, gente che va di qui, gente che va di là; ma osservate che c’è qualcosa che non va: sono tutti senza testa! Immaginate di essere lì: sono tutti senza testa, solo voi avete la testa! [sic] La vita è così, il mondo è così». (Conversazione di Giussani ad un gruppo di memores domini 1 ottobre 1995). «Quando ci si mette insieme, perché lo facciamo? Per strappare agli amici – e se fosse possibile a tutto il mondo – il nulla in cui ogni uomo si trova». (Incipit del messaggio di Giussani per il XXV Pellegrinaggio a Loreto). «Amici miei, che compito, che responsabilità! Perché gli altri nel mondo dipendono dalla nostra [sic] vita.» (Giussani ritiro di memores domini, p. 728). In tale ottica l’umanità intera troverebbe, dunque, completa realizzazione e redenzione solo nel lasciarsi afferrare e condurre da ciellini e memores, che obbediscono ai loro diretti superiori scelti da Dio stesso come responsabili della loro vocazione, poiché per Giussani l’obbedienza a Dio è data dall’obbedienza a colui che Egli ha posto come responsabile della loro vita. Ne consegue, per sillogismo categorico, che l’umanità intera troverebbe compimento e salvezza nell’obbedire alle autorità cielline. Riguardo il merito di tali asserzioni, di questo svilire all'estremo il mondo intero plateale manifestazione di risentimento (impotente) verso di esso, di questo valutarlo poco cristianamente non-prossimo, evitiamo il giudizio derivante dal preciso ricordo della nostra remota obbedienza, all'interno dei memores domini come a Cristo in terra, a un tale condannato in primo grado per dichiarazioni mendaci al P.M. e in differente procedimento rinviato a giudizio per corruzione - olocausto provinciale affatto scevro di nostra imputabilità seppur peccato di gioventù, implementato da Giussani con intento di universalizzarlo - preferendo affidare al raziocinio del lettore eventuali valutazioni di una possibile contiguità col ridicolo - "du sublime au ridicule il n'y a qu'un pas" - o colla delirante follia.

L'entusiasmo apologetico per la coincidenza assoluta Dio-Cristo-Chiesa-CL contrapposta al mondo appare, talvolta, vagamente mitigato da Giussani: «Il bene sta al fondo di ogni essere» (p. 905); e sistematicamente esercitato:

riferendosi ai duemila anni di tradizione cattolica, che senza soluzione di continuità legano Gesù di Nazareth alla Chiesa e a CL, Giussani vede la «fraternità sacramentale» di Comunione e Liberazione espressione storica di Dio perché inserita in tale storia. Prova evidentemente debole visto che la storia della Chiesa, evento non del tutto inedito ed esclusivo in quanto determinato dalla “ellenizzazione del monoteismo semitico” migrato nel Nuovo Testamento, è  caratterizzata fin dall’origine da numerosi scismi, dove ogni parte - anche il cattolicesimo risulta mera parte in causa, al pari delle altre dottrine cristiane - rivendicava e rivendica ortodossia e primato. Istituzione peraltro planetaria dove al suo interno, nonostante univoci enunziati normativi, abbondano copiose pluralità di espressione della fede, delle quali Comunione e Liberazione rappresenta, tra le innumerevoli, circoscritta esigua espressione.

Altra dimostrazione probante la troviamo nella proposta evangelica, ripresa spesso da Giussani, del “vieni e vedi”. Noi siamo andati e abbiamo veduto soggetti valorosi, persone ordinarie e individui meschini, come dappertutto. Per interpretarli in blocco “straordinari” prescindendo dalla fattispecie di ognuno, causa di “stupore”, per rimanerne “affascinati”, per esaltarli singoli e aggruppati a “Mistero” e “Destino” di tutta la storia e dell’umanità intera - nomi e dinamiche care a Giussani -, avremmo dovuto cedere al malsano invito di addossare ai ciellini, un tempo amici di percorso, occulti funzionamenti di arcane entità, narrazione fantastica che poggiandosi sul nulla esiste solo nei pantani di pensiero di quelli che ci credono.

Qui concludiamo consapevoli della rudezza con la quale abbiamo onorato don Luigi Giussani, ma dopotutto risulta inattendibile un’amicizia indifferente al pensiero dell’amico meglio un avversario che lo contesti con cura.

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Le recensioni della stampa nazionale appaiono nell'insieme, noncuranti della complessità della tematica, parata di spot promozionali.

L’ho appreso da Giacomo B. Contri, Educazione VS Costituzione.

«Essere è essere agli ordini», Cfr. Jacques Lacan, Seminario Encore, p. 34.

Luigi Giussani e il profitto di Cristo, Giacomo B. Contri, Studium Cartello.

 

Alberto Savorana
Vita di don Giussani
Rizzoli editore

Ultima modifica il Sabato, 08 Giugno 2024 08:48

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  • Link al commento @brunovergani Giovedì, 14 Novembre 2013 18:37 inviato da @brunovergani

    Valdo per quanto mi risulta non sbaglia, Rivelazione che (non per lei e nemmeno per me, ma per la dottrina cattolica) si manifesta poggiandosi sulle colonne della Parola (sacra scrittura) e della Tradizione (Magistero: Papa, Collegio vescovi, e subalterno il popolo di Dio), ma siccome la Chiesa Parola-Tradizione è Istituzione presente e viva diventa esperienza. Alla fine è faccenda di accenti da parte di soggetti nel medesimo carrozzone, fermo restando la priorità di quanto giustamente annotava.

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  • Link al commento @brunovergani Lunedì, 02 Dicembre 2013 12:42 inviato da @brunovergani

    Roberto de Mattei su Il Foglio interviene includendo CL e la sua autoreferenziale cristologia esperienziale fra le cause del crollo della fede nella Chiesa negli ultimi decenni; mons. Luigi Negri, don Francesco Ventorino e il prof. Massimo Borghesi, rispondono contestandolo.
    Tutto sommato de Mattei e CL sono semplicemente diversi, tutto qui, mera faccenda di pluralità di vedute fisiologicamente sane in qualsiasi società, più problematiche nella Istituzione ecclesiastica.
    Non mi sembra proprio, come afferma de Mattei, che CL abbia contribuito all’inaridimento della fede nella Chiesa odierna, tutt’altro, eppure nel merito la descrizione che de Mattei illustra della cristologia giussaniana la considero corretta e difficilmente contestabile. Lo affermo con approccio poco teologico e molto esistenziale osservando la mia storia: da monaco ciellino a agnostico in poche ore. Non poteva essere altrimenti, l’identificazione di Cristo-Dio con l’esperienza ciellina era tale che, in perfetta coerenza con me stesso e onorando l’insegnamento di Giussani, non credendo più a CL non potevo più credere neppure a Dio.

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  • Link al commento @brunovergani Martedì, 03 Dicembre 2013 11:01 inviato da @brunovergani

    A seguito di mio invito a leggere la recensione a persona appartenente a CL, che pur non conoscendo personalmente ho avuto occasione, nel leggere suoi articoli, di apprezzarne il pensiero, mi è giunta risposta.
    Approvando l’intenzione del mio articolo in quanto occasione di proficua discussione, mi esprime radicali perplessità sul metodo dove scorge pregiudizio negativo e disonestà derivante da personale ideologica omologata apostasia:

    «Il problema è che Giussani era molto, molto, molto meno stupido di come lei è costretto dipingerlo per sostenere le sue ragioni […] La invito soltanto a costringere sé stesso a un senso tragico che nel suo articolo non affiora e di cui Giussani ha bisogno per essere compreso».

    Considero: che strano, a modo mio, negli ultimi decenni, non ho fatto altro che affrontare il tragico. Certo nel farlo mi piace attardarmi nell’enucleare il tragicomico insito nell’equivocare consolazione a verità e poi, negli ultimi anni, il dramma si è stemperato da quando ho iniziato a dare un calcio nel didietro a presupposte entità che lo sostengono. Ammessa e non concessa la tragicità di Giussani, in quanto
    «Ogni tragicità è fondata su un conflitto inconciliabile. Se interviene o diventa possibile una conciliazione, il tragico scompare» Goethe.
    Osservo che nella biografia il senso del tragico scompare fagocitato dall’esaltazione derivante dalla teoria di un conciliatorio e risolutivo intervento divino.
    Eppure il lettore ha ragione, nella recensione la lacuna c’è in quanto non traspare un’ottica tragica, quindi l’articolo può apparire ideologicamente pregiudiziale. Avrei dovuto dire di Giussani riscrivendo daccapo la condizione umana e da lì impregnare tutto lo scritto. Forse un po’ eccessivo per recensire una biografia. Tutto sommato ragionevole che sia stata implementata una classificazione dei generi letterari: mica si può dire sempre tutto. Ci sono differenti e circoscritte cose da dire e differenti modi e contesti per farlo.
    Va in ogni caso annotato che il tragico è mica attributo valoroso e sano ma territorio di esistenzialismi nichilistici e connesse esaltate psicosi reattive. Il vocabolario Treccani specifica:
    tràgico agg. e s. m. [dal lat. tragĭcus, e questo dal gr. τραγικός] (pl. m. -ci). –
    […] 2. agg., estens. e fig. Che ha gli aspetti e gli elementi proprî della tragedia, che è caratterizzato da fatti luttuosi, da eventi tristi, da gravi disgrazie e conseguenze, anche con riferimento a casi della vita comune: è morto in circostanze t.; una disattenzione che poteva avere conseguenze t.; una t. notte; nell’uso giornalistico: una t. sparatoria, una t. catena di omicidî.
    […] b. (f. -a) Interprete che recita normalmente in ruoli di personaggi di tragedie: è un t., e le parti comiche non gli si addicono. Più com. in senso fig., nell’espressione fare il t. o la tragica, assumere atteggiamenti da tragedia, dare a una situazione un’importanza sproporzionata alla sua effettiva gravità.
    c. Con valore neutro, la tragicità, l’essenza della tragedia, il complesso di sentimenti da essa suscitati: la concezione aristotelica del tragico. Con uso estens. e fig., circostanza, situazione tragica, di eccezionale gravità e tristezza: il t. è che è sola, e nessuno la aiuta; prendere qualcosa sul t., esagerarne la gravità, considerarla come una tragedia.
    Avv. tragicaménte, secondo lo stile tragico, l’arte tragica: un argomento che può essere sviluppato tragicamente. Più spesso in senso estens. e fig., in modo tragico, doloroso, luttuoso: la rissa è finita tragicamente; è morto tragicamente, in circostanze tragiche, di morte violenta, o per grave incidente, o per suicidio.

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  • Link al commento Daniele Scrobogna Mercoledì, 04 Dicembre 2013 08:58 inviato da Daniele Scrobogna

    A proposito di Giussani
    Posted on 04/12/2013

    “Non sono qui perché voi riteniate come vostre le idee che vi do io, ma per insegnarvi un metodo vero per giudicare le cose che io vi dirò”*, quel “metodo vero” altro non era che una Teoria tra le altre, nel caso Teoria della mancanza (senso religioso), ‘da ritrovarsi ad ogni livello’, come fa osservare da anni il dott. Giacomo B. Contri.

    *(Il rischio educativo, Rizzoli, p.20)

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  • Link al commento @brunovergani Mercoledì, 04 Dicembre 2013 11:13 inviato da @brunovergani

    @DanieleScrobogna per pertinenza e condensazione utilizzerei il suo puntuale commento come abstract della recensione.

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  • Link al commento Daniele Scrobogna Mercoledì, 04 Dicembre 2013 15:06 inviato da Daniele Scrobogna

    @vergani: Sì. Grazie. Daniele

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  • Link al commento @brunovergani Venerdì, 20 Dicembre 2013 14:46 inviato da @brunovergani

    In questi giorni la cronaca giudiziaria si occupa, ancora, di appartenenti a Comunione e Liberazione coinvolti in presunti reati di corruzione. Nell'apprendere la notizia ci si chiede, ancora, come e perché possano esistere individui che, nell’intento di conformarsi al Vangelo, ignorino e calpestino le regole sociali per fini egoistici.

    In parte risponde la contiguità teologica di don Giussani al fondamento della giustificazione protestante, che interpreta CL compagnia umana prescelta da Dio, che pur nella storia la trascende e giudica non per irreprensibile morale personale, ma per ontologica ineffabile vigoria infusa dall'"Alto"; imputazione di giustizia grazie ai meriti di Cristo e al Lui appartenere, indipendentemente dall’operato del soggetto.

    Un filone di indagine, forse più fecondo del mero riscontrare l’individuale avidità di qualche ciellino, potrebbe, dunque, svilupparsi analizzando fatti remoti, quelli del sedicesimo secolo che hanno visto, e vedono ancora, dibattere cattolici e protestanti riguardo la giustificazione personale.

    La teologia protestante vede giustificato il fedele per la grazia a lui imputata dai meriti di Cristo attraverso la fede personale; sola fide indipendentemente dall’operato del fedele. Tale concezione dovrebbe favorire disinvoltura morale nei paesi protestanti, invece l’immoralità è smentita se non dalla storia, almeno dalla cronaca che rendiconta i paesi protestanti tra i meno corrotti al mondo.
    La teologia cattolica invece, pur indicando la grazia divina a giustificazione del soggetto, non vede imputazione diretta di grazia ma infusione di grazia: il cattolico, oltre alla fede, deve metterci “del suo” per essere giustificato dalla grazia di Cristo: una tazza tenuta aperta dal comportamento giusto del fedele, adeguato e congruo a accogliere in lui il versamento dall'alto della grazia salvifica. Tale concezione più responsabilizzante dovrebbe limitare l’immoralità nei paesi cattolici, eppure la cronaca li include tra i paesi più corrotti.
    I conti non tornano e la comprensione del fenomeno appare complicata. Probabilmente tra i motivi di una certa disinvolta immoralità cattolica sarebbe da includere il sacramento della penitenza, che bandito dal protestantesimo risulta fattiva possibilità per il cattolico di recupero, a oltranza e istantaneo, della assoluta giustificazione personale per i meriti di Cristo.

    Il cattoprotestantesimo giussaniano, improbabile protestantesimo devoto al sacramento della penitenza, accoglie gli aspetti più consoni - e cattolici e protestanti - a mai imputare il soggetto. Non sempre i sincretismi sono fecondi.

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  • Link al commento Andrea Lunedì, 23 Dicembre 2013 13:31 inviato da Andrea

    Ciao!

    Visto che hai conosciuto da vicino Don Giussani e CL, volevo chiederti alcune cose dal tuo punto di vista di ex-membro:

    se nel movimento c'è un richiamo alla mortificazione delle passioni, della carne (della continenza personale, non solo nel rapporto con le donne ecc..)?

    Poi, se Don Giussani predicava i Novissimi: morte, giudizio, inferno e Paradiso? Se infondeva un sano timor di Dio? oltre alla misericordia predicava anche la giustizia divina?

    Secondo te il pensiero e gli insegnamenti di don Giussani, anche nel predicare e nel comunicare, assomigliano a quello dei santi della Chiesa Cattolica? Parlava della salvezza eterna dell'anima?

    Ti ringrazio molto per una tua eventuale risposta, grazie!

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  • Link al commento @brunovergani Martedì, 24 Dicembre 2013 09:11 inviato da @brunovergani

    Buongiorno caro Andrea.
    Penso Giussani, a modo suo, prossimo al canone di santità del Magistero.

    Per quanto ricordo la “mortificazione”, di per sé, non veniva richiamata più del necessario, in quanto vista come rinuncia a un parziale “di meno” per vivere un totale “di più”, non a caso Giussani preferiva il termine verginità, interpretato come un nuovo modo di possedere, rispetto a castità, intesa come rinuncia.

    Novissimi, salvezza dell’anima e dintorni, lontani da una visione escatologica, erano inglobati nell’immanenza dell’esperienza comunitaria.

    Mi sembra che la domanda giusta per una indagine proficua sarebbe quella di chiederti non tanto se i frammenti dottrinali che esponi coincidano col pensiero e gli insegnamenti di don Giussani, ma se consoni al pensiero di Gesù di Nazareth.

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  • Link al commento @brunovergani Lunedì, 27 Gennaio 2014 09:29 inviato da @brunovergani

    Riguardo il seguente passaggio della recensione:

    «Emerge una qualifica (divinizzazione) della persona che la squalifica, una divisione, una ambiguità, un doppio legame, un coitus interruptus tra l’opera di Dio e quella dell’ “Io” che non trova pacificazione e come Sisifo non raggiunge meta. Un conflitto tra realtà e ideale originato dal supporre che ci sia sempre un misterioso, e misterico, Quid infinitamente più "grande" sempre più in qua, o più in là, del soggetto che pensa e fa. Il perseguire tale arzigogolata identità - costituita da una presupposta sacra Alterità espressa dalla personale soggettività - ingenera un limbo surriscaldato, un film malfermo con l’audio fuori sincrono che dice con precisione quanto l’ideale annunciato non sia realtà costitutiva ma narrazione mitica sovrapposta forzosamente alla vita che nel tortuoso, replicato, ossesso, tentativo di inglobarla produce labirinti di insoddisfazione.»

    Nietzsche, analizzando la figura del sacerdote asceta, dice chirurgico il cortocircuito dell'immaginaria liberazione nel reale incatenamento, di cui accenno sopra:

    «Una tale autocontraddizione, quale quella che sembra rappresentarsi nell'asceta, «vita "contro" vita» - e questa è la cosa più evidente già a prima vista - a una verifica fisiologica e non più psicologica, appare come un non senso. Essa può solo essere "apparente", deve essere una specie di espressione momentanea, un'interpretazione, una formula, una sistemazione, un equivoco psicologico su qualche cosa la cui vera natura per lungo tempo non poté essere compresa, per lungo tempo non poté essere designata "in sé" - una parola e niente altro, incuneata nella antica "lacuna" della conoscenza umana. E per esporre in breve il dato di fatto opposto: "l'ideale ascetico nasce dall'istinto di difesa e di salvezza di una vita in degenerazione", che cerca di affermarsi con tutti i mezzi e che lotta per la propria esistenza; esso segnala una inibizione fisiologica e un affaticamento, contro cui si battono senza tregua e con mezzi e invenzioni nuove gli istinti più profondi e ancora intatti della vita. L'ideale ascetico è uno di questi mezzi: è dunque proprio il contrario di quanto pensano gli adoratori di questo ideale - la vita lotta in esso e per suo tramite con la morte e "contro" la morte, l'ideale ascetico è un artificio nella "conservazione" della vita. Che questo poi potesse dominare e impadronirsi degli uomini tanto quanto la storia ci insegna, e proprio dove si affermò la civilizzazione e l'addomesticamento dell'uomo, costituisce l'espressione di un gran dato di fatto: la "condizione" malata del tipo umano fino ad oggi, perlomeno del tipo umano ormai domato, la lotta fisiologica dell'uomo con la morte (più precisamente: con il tedio della vita, con l'affaticamento, col desiderio della «fine»). Il sacerdote asceta è il desiderio incarnato di essere-altro, di essere-altrove, e in realtà il più alto grado di questo desiderio, il suo ardore tipico e la sua passione: ma proprio "la potenza" del suo desiderare è la catena che lo incatena qui; proprio in questo modo egli diviene strumento obbligato a lavorare per la creazione di condizioni più favorevoli per essere qui e l'essere-uomo - proprio con questa "potenza" tiene avvinto all'esistenza tutto il gregge di falliti di ogni genere, di scontenti, di bistrattati dalla sorte, di disadattati, di sventurati, di quanti soffrono di sé, precedendoli istintivamente come un pastore.»
    «Genealogia della morale» Friedrich Wilhelm Nietzsche, 1887.

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