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Riguardo il seguente passaggio della recensione:

«Emerge una qualifica (divinizzazione) della persona che la squalifica, una divisione, una ambiguità, un doppio legame, un coitus interruptus tra l’opera di Dio e quella dell’ “Io” che non trova pacificazione e come Sisifo non raggiunge meta. Un conflitto tra realtà e ideale originato dal supporre che ci sia sempre un misterioso, e misterico, Quid infinitamente più "grande" sempre più in qua, o più in là, del soggetto che pensa e fa. Il perseguire tale arzigogolata identità - costituita da una presupposta sacra Alterità espressa dalla personale soggettività - ingenera un limbo surriscaldato, un film malfermo con l’audio fuori sincrono che dice con precisione quanto l’ideale annunciato non sia realtà costitutiva ma narrazione mitica sovrapposta forzosamente alla vita che nel tortuoso, replicato, ossesso, tentativo di inglobarla produce labirinti di insoddisfazione.»

Nietzsche, analizzando la figura del sacerdote asceta, dice chirurgico il cortocircuito dell'immaginaria liberazione nel reale incatenamento, di cui accenno sopra:

«Una tale autocontraddizione, quale quella che sembra rappresentarsi nell'asceta, «vita "contro" vita» - e questa è la cosa più evidente già a prima vista - a una verifica fisiologica e non più psicologica, appare come un non senso. Essa può solo essere "apparente", deve essere una specie di espressione momentanea, un'interpretazione, una formula, una sistemazione, un equivoco psicologico su qualche cosa la cui vera natura per lungo tempo non poté essere compresa, per lungo tempo non poté essere designata "in sé" - una parola e niente altro, incuneata nella antica "lacuna" della conoscenza umana. E per esporre in breve il dato di fatto opposto: "l'ideale ascetico nasce dall'istinto di difesa e di salvezza di una vita in degenerazione", che cerca di affermarsi con tutti i mezzi e che lotta per la propria esistenza; esso segnala una inibizione fisiologica e un affaticamento, contro cui si battono senza tregua e con mezzi e invenzioni nuove gli istinti più profondi e ancora intatti della vita. L'ideale ascetico è uno di questi mezzi: è dunque proprio il contrario di quanto pensano gli adoratori di questo ideale - la vita lotta in esso e per suo tramite con la morte e "contro" la morte, l'ideale ascetico è un artificio nella "conservazione" della vita. Che questo poi potesse dominare e impadronirsi degli uomini tanto quanto la storia ci insegna, e proprio dove si affermò la civilizzazione e l'addomesticamento dell'uomo, costituisce l'espressione di un gran dato di fatto: la "condizione" malata del tipo umano fino ad oggi, perlomeno del tipo umano ormai domato, la lotta fisiologica dell'uomo con la morte (più precisamente: con il tedio della vita, con l'affaticamento, col desiderio della «fine»). Il sacerdote asceta è il desiderio incarnato di essere-altro, di essere-altrove, e in realtà il più alto grado di questo desiderio, il suo ardore tipico e la sua passione: ma proprio "la potenza" del suo desiderare è la catena che lo incatena qui; proprio in questo modo egli diviene strumento obbligato a lavorare per la creazione di condizioni più favorevoli per essere qui e l'essere-uomo - proprio con questa "potenza" tiene avvinto all'esistenza tutto il gregge di falliti di ogni genere, di scontenti, di bistrattati dalla sorte, di disadattati, di sventurati, di quanti soffrono di sé, precedendoli istintivamente come un pastore.»
«Genealogia della morale» Friedrich Wilhelm Nietzsche, 1887.