Bruno Vergani
Radiografie appese a un filo. Condivisione di un percorso artistico, davanti al baratro con angoscia parzialmente controllata.
Rassicurazioni
Sprovvisti di conoscenza completa e definitiva non sappiamo il mondo, all’oscuro dell’esatta interconnessione della totalità degli eventi ignoriamo quello che ci accadrà tra mezzo minuto.
Non è piacevole fluttuare a tentoni in un universo probabilistico verso esiti ignoti, oscillando tra speranza e timore. Per anestetizzare il turbamento procurato dall'incertezza urge inventare sistemi di contenimento e coerenza, o abbracciare sistemi già elaborati e collaudati, che procurino la sensazione di conoscere, prevedere e controllare, così illudendoci di sapere ciò che non sappiamo architettiamo pre-giudizi che illuminino e stabilizzino il mondo.
Verifica di efficienza e di validità
Un reparto di oncologia è una piccolissima frazione di mondo eppure giudizio universale, basta farci entrare una concezione del vivere e osservare se si spappola, o regge riuscendo a generare senso anche in situazioni limite, le più ricche di opportunità.
Le scuole di pensiero, le concezioni del mondo e del vivere, i percorsi artistici, le filosofie, che dicono al malato: “Speriamo in bene, quando starai meglio riprenderemo il percorso insieme”, nella loro incapacità di vivere l'evento in presa diretta si rivelano mero intrattenimento, patacche.
Pace e giustizia
Se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l'altra, può anche essere che il pacifismo dogmatico nel suo elevare la pace sopra ogni cosa, giustizia inclusa, spiazzi e sovverta portando frutto.
Si potrebbe anche provare, a patto che a deciderlo sia chi ha ricevuto la sberla.
Velo di Maya
Se il mondo è la “mia” rappresentazione, con quasi otto miliardi di persone sopra che producono a raffica fenomeni soggettivi, ci sta che di tanto in tanto scoppi qualche guerra.
Libertà vigilata
Proporre idee, architettare sistemi, chiarire situazioni, stilare procedure, spiegare fatti, far riflettere, confermare ipotesi, insegnare modi, categorizzare concezioni, giustificare tesi, far guerra a visioni, proporre alternative, dimostrare assiomi, citare gli esperti, narrare tema e trama, interpretare la cronaca…
Raro il libero scrivere, perlopiù si scrive “al fine di”.
Passe-partout
L’ottocentesco termine “panenteismo”, lo si può interpretare sia come una variante del panteismo che del teismo.
Il panenteismo panteista ipotizza, o afferma, il primato di una arché, di un’ápeiron alla Anassimandro; energia vitale che seppur immanente precede, costituisce e onnipervade (panpsichismo) l’universo. Il panenteismo teista include, invece, l’immanenza dell’universo in Dio emanata e animata dalla sua potenza creatrice e trascendente.
Se nelle due varianti sostituiamo i termini Arché e Dio con Logos, scemerà l'eccedenza di Dio sulla natura e il divario fra immanenza e trascendenza, e si potranno entrambe interpretare come differenti punti di vista dello stesso processo, emulsionando così teismo e panteismo come ci aggrada.
Nomi e nomignoli
Considerandoci qualcuno invece che nessuno siamo soliti darci un nome proprio, così da esprimere le specifiche individualità che siamo. Anche agli animali domestici li sentiamo qualcuno e gli affibbiamo nomi e nomignoli, raro invece che chiamiamo una cavalletta Antonella o una mosca Maria e neppure Luciana un cespo di lattuga, o Massimiliano un sasso.
In questa concezione l’architettura del funzionamento naturale esprimerebbe con noi l’apice della sua potenza, gloria che scemerebbe gradualmente nell’allontanarsi da noi, affievolendosi negli animali, depotenziandosi ancor di più nei vegetali, estinguendosi nell’inorganico. Concezione, questa, così auto evidente da risultare ovvia? Mica tanto. Questa concezione è squisitamente monoteistica, ma dallo sciamanesimo alle filosofie orientali si affermano gerarchie affatto diverse, addirittura rovesciate.
Non so se i monoteismi siano stati generati da questa percezione empirica, e forse ingenua, del funzionamento naturale, o viceversa la concezione antropocentrica si è incistata in noi per avere introiettato il racconto dei monoteismi.
Simultaneo
Il sentiero era troppo stretto, serviva una strada larga per raggiungere con un mezzo il fondo del terreno e mi son messo a progettarla. Una parete a secco qui, un’altra lì, un viaggio di pietrisco qui, due altri là a ridosso della prima curva. Abbatto i fichi d’india e gli alaterni che hanno colonizzato l’area e più pulisco e più compare la strada già tutta fatta, perfetta come l’avevo pensata, anzi migliore.
Un centinaio di anni fa, forse più, qualcuno l’aveva già pensata e fatta, poi la vegetazione l’aveva occultata. Ma “un centinaio di anni fa” riguarda la temporalità, ho invece sentito che la strada l’abbiamo costruita insieme in un simultaneo infinito presente.
Vacuum
Io e appartenenza
Se qualcuno non avesse trovato i gemelli sotto alla lupa starebbero ancora là a ululare, per conoscerci persone abbiamo il bisogno vitale di appartenere alla comunità umana. La cosa strana, per certi versi miracolosa, è che questa continua interconnessione costitutiva tra singole unità psichiche, invece di produrre individui sempre più standardizzati e uniformi, perché miscelandosi stemperano vicendevolmente le proprie singolarità, genera al contrario precise individualità, tutte uniche e sempre differenti.
Che si oppone a questo processo producendo disastri è evidentemente l’individualismo personale, ma l’individualismo di gruppo non è meno deleterio. Con individualismo di gruppo intendo quel processo psichico che accade a chi si affilia a certi fondamentalismi, dalle mafie alle sette religiose. Gruppi che sfruttando l’innata potente tendenza d'affidarsi all’Altro, la pervertono spingendo a identificare l’io del partecipante con il gruppo di appartenenza, fino al punto che quell’io si trasformi in un noi [1]. Un (piccolo) noi al posto dell’io, ma in questo essere gruppo invece d’essere qualcuno non si è più nessuno e nessuno è, purtroppo, capace di tutto; se io non esisto anche l’altro non esiste e se gli spacco i denti manco mi accorgo.
______________________________________
1 «L’individuo ha rapporto con Dio solo attraverso il suo popolo, la sua tribù, la sua casta, attraverso appunto la sua appartenenza ad una collettività. Da un punto di vista psicologico si tratta qui di uno stadio iniziale dell’evoluzione umana o religiosa, cioè di una religiosità del noi, di impronta primitiva, in cui il singolo non esiste ancora affatto come individuo autonomo. Questo stadio evolutivo viene definito da C.G. Jung, con l’impiego di un termine dello studioso delle religioni Lévy-Bruhl, come quello della "participation mystique". Ciò significa che si tratta di una partecipazione pre-personale e pre-individuale di ciascuno al tutto». (Hanna Wolff , Vino nuovo - Otri vecchi, il problema d'identità del cristianesimo alla luce della psicologia del profondo).