Bruno Vergani
Radiografie appese a un filo. Condivisione di un percorso artistico, davanti al baratro con angoscia parzialmente controllata.
D-io
Non poche concezioni giudicano l’io nient’altro che un costrutto privo di un nucleo reale, una mera nozione, un’estemporanea convenzione condivisa. Niente di più che un pronome personale che ci consente di funzionare in questo nostro mondo, interagendo con le nozioni te e loro.
L’io quello che poggiando su se stesso sa di essere proprio lui, che distinguendosi dal tutto afferma di essere qualcuno invece che nessuno, che autoconsapevole della sua individualità sa di non essere un altro; entità sovrana unica e irripetibile, indivisibile, forse eterna, caratterizzata da ecceità e quiddità termini che affermano la sua ultima e insostituibile singolare specificità, ebbene tutto questo sarebbe nient’altro che un agglomerato di DNA, circostanze, ambiente, costruzioni culturali apprese e introiettate, archetipi ereditati. Un affastellarsi di materiali disponibili intorno a un nucleo impersonale, che produce l’illusione di una individualità autonoma, ma di fatto nient’altro che un oggetto tra oggetti come sostengono certi riduzionismi sono, evidentemente, visioni da problematizzare. Bisognerebbe chiarire come può un costrutto percepire, una nozione sapere, una convenzione essere cosciente di se stessa; in ottica biologica ci sarebbe da spiegare in che modo il cervello produce coscienza e pensiero consapevole.
Anche alcune spiritualità orientali giudicano l’io personale nient’altro che una nozione, una illusione con la quale erroneamente ci identifichiamo, ma a differenza dei riduzionismi scientifici queste tradizioni sapienziali vedono tutta la realtà onnipervasa da una sorta di coscienza universale, da qui l’origine del pensiero e della coscienza individuale che ne sarebbe un riflesso. È dunque vero che filoni della fisica teorica e della spiritualità orientale affermano, fino a un certo punto concordi, l’inconsistenza di un nucleo individuale che ci costituisce, e a maggior ragione l’inesistenza di un’anima personale, ma con la differenza che un certo scientismo si limita ad affermare che non c’è anima glissando sull’origine della coscienza personale, mentre le spiritualità orientali affermano, all’opposto, che tutto è invece anima e permeato di coscienza.
Resta da chiarire la natura di questa coscienza cosmica onnipervadente e il suo rapporto col nostro io, reale o irreale che sia. Ci sarebbe da chiarire se questo pan-psichismo che le spiritualità orientali affermano, ossia se questa coscienza cosmica (in termini nostrani Dio) che tutto precede e pervade, sia pre-personale come la coscienza dei neonati, oppure impersonale come quella della pietra (ma una entità può percepire senza essere qualcuno?), o invece trans-personale, e se è così chi è mai questo qualcuno che si auto-trascende per diventare nessuno? E perché lo fa?
La teosofia divideva l’io in inferiore e superiore, l’inferiore non sarebbe un granché però è qualcuno, l’io superiore è di maggior valore ma non è chiaro se, pur non essendo nessuno, sia qualcuno. Proprio come il sé, che risulta ambiguo se scritto con la esse minuscola e davvero nebuloso quando scritto con la maiuscola, ma forse il Sé è semplicemente una metafora, un invito a staccarci da noi stessi così da vedere, almeno un po’, con l’occhio di Dio.
Sentieri
Camminando ad est, non più verso la liberazione della persona ma dalla persona, va da sé che ci si discosti un po’ dal mondo, da se stessi e da chi percorre sentieri differenti, ma discostarsi non è disconnettersi.
Coscienze
“Sono” lo percepiamo all’istante senza manco pensarci, non è escluso che questa coscienza e consapevolezza di essere pervada tutta la natura;
“io sono” va invece un poco pensato ma viene facile;
“io sono questo e quello” (identità sociale, professione, ruoli, averi, ecc.) è invece da inventare e costruire, rimpolpare e fissare così da dargli una parvenza di continuità, dimodoché possiamo funzionare come persone in questo mondo. Il più delle volte questa identità estemporanea ed effimera, seppure indispensabile, ci si incista dentro fino al punto da costituirci, così scordandoci di essere "colui che è" crediamo d'essere questo e quello.
Conosci te stesso
Se nasciamo nessuno e il qualcuno che pensiamo d’essere è una costruzione che, via, via, implementiamo e fissiamo vivendo, il Conosci te stesso non è esortazione a enucleare una entità personale specifica, ma l’invito a esaminare un processo, il processo del nessuno che costruisce qualcuno.
Coerenza fluttuante
Il progettista sa bene che in un macchinario il componente che non dà mai problemi non è quello in titanio, ma quello che non c’è. Un po' allo stesso modo omettendo l'io possiamo semplificare molti problemi esistenziali: via il dente via il dolore, come affermano alcune tradizioni religiose orientali.
Percezione di non esistere personalmente che può essere di grande aiuto per un malato terminale ma, nondimeno, percezione psicologicamente devastante per un adolescente che sta entrando nel mondo.
C’è un tempo per ogni cosa, un tempo per esserci e un tempo per ometterci.
Lotta erotica
Per risolvere lo scostamento fra l’io e Dio, vale a dire fra il volere-desiderare individuale e il funzionamento universale, una strategia efficace è quella di allearsi col sommo funzionamento, accettando ogni circostanza come espressione dell’ordine provvidenziale dell'universo, dimodoché, passo, passo, ci si dissolva in esso.
Nel caso si preferisse, invece, rimanere se stessi meglio non lamentarsi dello scostamento, per non rischiare che il sommo funzionamento ci seghi con un: “Dov'eri tu quand'io ponevo le fondamenta della terra?” o, ancor peggio, con una sua assoluta indifferenza. Preferibile prenderli per le palle, Dio e funzionamento, in un corpo a corpo che sia insieme lotta e abbraccio erotico.
Corpo a corpo
Terminata la lotta con Dio[1], registrava che non era poi così tremendo come si diceva in giro.
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1 Giacobbe rimase solo e un uomo lottò con lui fino allo spuntare dell'aurora. Vedendo che non riusciva a vincerlo, lo colpì all'articolazione del femore e l'articolazione del femore di Giacobbe si slogò, mentre continuava a lottare con lui. Quegli disse: «Lasciami andare, perché è spuntata l'aurora». Giacobbe rispose: «Non ti lascerò, se non mi avrai benedetto!». Gli domandò: «Come ti chiami?». Rispose: «Giacobbe». Riprese: «Non ti chiamerai più Giacobbe, ma Israele, perché hai combattuto con Dio e con gli uomini e hai vinto!». Giacobbe allora gli chiese: «Dimmi il tuo nome». Gli rispose: «Perché mi chiedi il nome?». E qui lo benedisse. Allora Giacobbe chiamò quel luogo Penuel «Perché - disse - ho visto Dio faccia a faccia, eppure la mia vita è rimasta salva». Spuntava il sole, quando Giacobbe passò Penuel e zoppicava all'anca. (Genesi 32, 26-33)
Lotta fra l’io e Dio, ossia fra il desiderio personale e il funzionamento universale.
Teomachia mancata
L’inaspettata malattia si era risolta alla svelta senza conseguenze, però non più faccia a faccia col possibile epilogo personale era svanita l’opportunità di diventare finalmente una persona migliore, addestrando la mente, riflettendo, accettando, affrontando, così rientrato il pericolo era tornato il pirla di prima, il pirla di sempre.
Mito e realtà
Percepire di appartenere a un corpo mistico o credere alla comunione dei santi; il voler prendere la sofferenza degli altri su di sé affinché tutti possano essere felici; il vedere in ogni accadimento l’espressione dell’ordine provvidenziale dell'universo e concezioni del genere, sono modi di pensare che possiamo giudicare irreali e astrusi,
ma ciò che conta non è la loro realtà e veridicità bensì l'intrinseca capacità di produrre, in chi li vive, prospettive esistenziali di significato e senso che possono portare grande forza per affrontare i problemi, mentre noi figli dell’illuminismo arranchiamo confusi e un po' disperati.
Gradi di fragilità intrinseca
Essere vanitosi è inevitabile, animali sociali necessitiamo dell’approvazione altrui, giusto un po’, un po’ di più, di più ancora o oltremisura, in proporzione alla personale inconsistenza.