Non poche concezioni giudicano l’io nient’altro che un costrutto privo di un nucleo reale, una mera nozione, un’estemporanea convenzione condivisa. Niente di più che un pronome personale che ci consente di funzionare in questo nostro mondo, interagendo con le nozioni te e loro.
L’io quello che poggiando su se stesso sa di essere proprio lui, che distinguendosi dal tutto afferma di essere qualcuno invece che nessuno, che autoconsapevole della sua individualità sa di non essere un altro; entità sovrana unica e irripetibile, indivisibile, forse eterna, caratterizzata da ecceità e quiddità termini che affermano la sua ultima e insostituibile singolare specificità, ebbene tutto questo sarebbe nient’altro che un agglomerato di DNA, circostanze, ambiente, costruzioni culturali apprese e introiettate, archetipi ereditati. Un affastellarsi di materiali disponibili intorno a un nucleo impersonale, che produce l’illusione di una individualità autonoma, ma di fatto nient’altro che un oggetto tra oggetti come sostengono certi riduzionismi sono, evidentemente, visioni da problematizzare. Bisognerebbe chiarire come può un costrutto percepire, una nozione sapere, una convenzione essere cosciente di se stessa; in ottica biologica ci sarebbe da spiegare in che modo il cervello produce coscienza e pensiero consapevole.
Anche alcune spiritualità orientali giudicano l’io personale nient’altro che una nozione, una illusione con la quale erroneamente ci identifichiamo, ma a differenza dei riduzionismi scientifici queste tradizioni sapienziali vedono tutta la realtà onnipervasa da una sorta di coscienza universale, da qui l’origine del pensiero e della coscienza individuale che ne sarebbe un riflesso. È dunque vero che filoni della fisica teorica e della spiritualità orientale affermano, fino a un certo punto concordi, l’inconsistenza di un nucleo individuale che ci costituisce, e a maggior ragione l’inesistenza di un’anima personale, ma con la differenza che un certo scientismo si limita ad affermare che non c’è anima glissando sull’origine della coscienza personale, mentre le spiritualità orientali affermano, all’opposto, che tutto è invece anima e permeato di coscienza.
Resta da chiarire la natura di questa coscienza cosmica onnipervadente e il suo rapporto col nostro io, reale o irreale che sia. Ci sarebbe da chiarire se questo pan-psichismo che le spiritualità orientali affermano, ossia se questa coscienza cosmica (in termini nostrani Dio) che tutto precede e pervade, sia pre-personale come la coscienza dei neonati, oppure impersonale come quella della pietra (ma una entità può percepire senza essere qualcuno?), o invece trans-personale, e se è così chi è mai questo qualcuno che si auto-trascende per diventare nessuno? E perché lo fa?
La teosofia divideva l’io in inferiore e superiore, l’inferiore non sarebbe un granché però è qualcuno, l’io superiore è di maggior valore ma non è chiaro se, pur non essendo nessuno, sia qualcuno. Proprio come il sé, che risulta ambiguo se scritto con la esse minuscola e davvero nebuloso quando scritto con la maiuscola, ma forse il Sé è semplicemente una metafora, un invito a staccarci da noi stessi così da vedere, almeno un po’, con l’occhio di Dio.