Bruno Vergani
Radiografie appese a un filo. Condivisione di un percorso artistico, davanti al baratro con angoscia parzialmente controllata.
Colpo di mano
Dentro i Sapiens c’è qualcosa che gli dà la sensazione di emergere dalla natura, sembrerebbe che siano la coscienza e l’io a procurargli l'impressione di sporgere dal funzionamento naturale, però il mio cane anche se cosciente di essere e ben sapendo d'essere lui e non un altro ha mai preteso d’emergere dalla natura.
Probabile che la sensazione di sporgere sia conseguenza non tanto dell’io in sé, ma sia generata da uno strano atto d’autocoscienza che produce sé stesso come dal nulla, misterioso colpo di mano forse attivato da una scintilla extra naturale o forse da un accidentale cortocircuito.
Ontologia dell’eco appartenenza
Senza che abbia preso alcuna iniziativa e senza una mia personale competenza questo corpo si è assemblato nel ventre di mia madre. Prodotto da ciò che hanno mangiato i miei genitori e dalla loro casuale unione si è assemblato spontaneo e ha disposto al prorio posto falangi, falangine e falangette, ottemperando un complesso ordine necessario .
“Gettati” nel mondo? Ma come glissare sulla circostanza che per essere gettati occorre, prima, essere fatti?
Consapevoli che apparteniamo all'ordine naturale nasce l’etica del rispetto per il suo funzionamento, consapevoli che siamo fatti da questo ordine irrompe una ontologia precisa e affidabile.
Fame di essenze
Nel condurre dei corsi di erboristeria avevo constatato che nel comunicare informazioni strettamente scientifiche, come ad esempio illustrare i meccanismi d’azione terapeutici di certi eterosidi delle piante officinali, l’interesse dei partecipanti tendeva a scemare, mentre esponendo gli stessi contenuti con taglio diciamo così spiritualistico, tipo : “Paracelso vedeva nelle piante e anche nei minerali delle forze arcane dette quintessenze, principi attivi che potevano guarire come anche avvelenare”, ecco che alla maggior parte dei partecipanti riprendeva a scorrere il sangue nelle vene e l’interesse.
Possiamo osservare che oggi non pochi autori di libri scientifici che scrivono per il grande pubblico, riescono a rendere accattivanti tematiche difficili non semplificandole ma raccontandole con taglio spiritualistico, indizio che c’è una certa stanchezza per i riduzionismi scientistici e fame di essenze e di trascendenza, insomma di sacro.
In effetti siamo come degli uccelli che dualisticamente oscillano tra esistenza e essenza; dalla terra dell’esistenza temporale soggetta al razionale divenire sentiamo il bisogno di volare in misteriosi cieli di atemporali essenze immutabili. Siamo strani animali che necessitano di entrambi i paradigmi e se quello terrestre diventa totalizzante escludendo e precludendo quello celeste tendiamo a inaridirci, mentre se quello celeste rifiuta dogmaticamente il terrestre rischiamo di essere dei disadattati in questo nostro mondo.
Probabilmente dopo aver vissuto periodi di sbilanciamento verso il terrestre ora la gente vuole miti e essenze, ontologie e metafisiche. Ne ha così fame da diventarne ingorda e purtroppo onnivora, non di rado senza saper più discernere percorsi seri e dignitosi dalle assurdità proposte da cialtroni.
Atarassia, melagrane, caffè d’orzo
Ci avevo anche provato ad abbandonare ogni desiderio, così da diventare imperturbabile come il Buddha senza mai riuscirci, ma da qualche giorno senza volerlo ho iniziato a sentire una netta indifferenza per me stesso, accompagnata da una completa accettazione del mondo così com’è. Percezione nata come un fiore spontaneo non so se velenoso o curativo, ma non è poi male questo omettersi, questa libertà dal mondo e da me stesso, questo abdicare dal conosciuto per regnare in territori ignoti, anche se in questi misteriosi regni i colori virano verso scale di grigi e più l'io si dissolve più gli altri diventano rarefatti, anche le emozioni si appiattiscono e i pensieri, indifferenti a elaborare teoresi, si riducono all’osservazione di moti primari come sgranare una melagrana o preparare un caffè d’orzo.
Ma qualcosa non torna se la pace interiore raggiunta col distacco da sé e dal mondo è nient’altro che una banale operazione di anestesia generale, un morire da vivi per risolvere l’angoscia di morte, un abbassare la soglia della percezione così da placare il dolore annullando il piacere, un evitare qualsiasi delusione azzerando ogni desiderio.
L’invito di mistici e asceti al distacco da noi stessi e dal mondo indica molto di più e di meglio di questo banale anestetizzare le funzioni percettive, indica un di più di altra natura e qualità oltre la nostra attuale limitatissima percezione, un di più di colori, di sensibilità, di ecceità, di pensiero, al momento intuibili ma irraggiungibili.
Monta e smonta
Appena dopo nati iniziamo a costruirci l’io, così da individuarci e funzionare con gli altri, e grazie agli altri, in questo mondo, ma, via, via, che si avvicina il momento di morire realizziamo che quell'entità tanto indispensabile che abbiamo costruito, denominandola io, risulta incompatibile coi funzionamenti universali che ci attendono dopo la morte del corpo, così per ben morire occorre smantellarla o perlomeno depotenziarla.
Non mancano strategie che ci risparmiano tutto questo costruire per poi distruggere, a oriente incontriamo narrazioni che non contemplano la costruzione dell’io, giudicato una illusione superflua, all'opposto a occidente incontriamo narrazioni di anime personali eterne che, dunque, non prevedono alcuno "smontaggio" dell'io che anche sfornito di corpo vivrà, sotto forma di anima, in eterno. Le prime non ci spiegano come sia possibile esistere in questo mondo impersonalmente, sprovvisti di identificazione e non differenziati, le seconde nel consolarci promettendoci un'anima individuale eterna entrano in collisione con le leggi di natura universali.
Forse più serio questo estemporaneo monta e smonta, anche se un po' tragicomico.
Dribbling
Nelle tossicodipendenze è proprio ciò che risolve l'astinenza a causarla, un po' allo stesso modo non ci è possibile affrancarci dall’io attraverso lo sforzo personale. In effetti l’ascesi fondata sullo sforzo di volontà si è spesso mostrata inefficace e anche controproducente.
Per emanciparci dall'ego non ci resta che dribblarlo con improvvise mosse impersonali.
Due
Al cospetto del totalmente ignoto, del non controllabile, di ciò che inesorabilmente invecchia e finisce, di ciò che è causa di sofferenza, come non essere presi da angoscia e mestizia?
Eppure proprio in mezzo a tutto questo può irrompere un misterioso distacco da noi stessi e dalle circostanze. Un improvviso sorgere di un altro noi che osserva, come dall’alto, il nostro piccolo esistere in questo mondo provvisorio. E’ come se in noi albergassero due nature, una identificata con se stessa che vive gioendo e soffrendo delle circostanze e un’altra oltre, che libera da tutto ciò la osserva.
Roberto Calasso nel saggio «L'ardore» ben illustrava la dinamica: "Dal Ṛgveda alla Bhagavad Gītā si elabora un pensiero che non riconosce mai un soggetto singolo, ma presuppone al contrario un soggetto duale. Così è perché duale è la costituzione della mente: fatta di uno sguardo che percepisce (mangia) il mondo e di uno sguardo che contempla lo sguardo rivolto al mondo. La prima enunciazione di questo pensiero si ha con i due uccelli dell'inno 1, 164 del Ṛgveda:
«Due uccelli, una coppia di amici[1], sono aggrappati allo stesso albero. Uno di loro mangia la dolce bacca del pippala; l'altro, senza mangiare, guarda[2]».
Non c'è rivelazione che vada oltre questa, nella sua elementarità. E il Ṛgveda la presenta con la limpidezza del suo linguaggio enigmatico. La costituzione duale della mente implica che in ciascuno di noi abitino e vivano perennemente i due uccelli: il Sé, ātman, e l'Io, aham."
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1 Indispensabili entrambi e alleati.
2 Se l'uccello che mangia è bulimico e ipertrofico sarà difficile percepire quello che, senza mangiare, guarda.
Regni e statuti
In questo nostro ambiente, diciamo così “mediano”, vigono specifiche leggi fisiche, ma nel molto più piccolo e nel molto più grande ne vigono altre e le nostre non funzionano più. Un po’ la stessa cosa accade esistenzialmente, dove nel nostro vivere pratico grazie al pensiero logico razionale produciamo inferenze performanti che ci evitano di andare a sbattere, ma non appena vogliamo andare oltre la nostra circoscritta praticità necessitiamo di visioni poetiche, approcci simbolici o percorsi mistici, senza i quali una più vasta indagine ci rimarrebbe preclusa; il riduzionismo materialistico meccanicistico ci mostra esempi di tale preclusione. Ma vale anche all’inverso perché se nel pratico vivere quotidiano applichiamo visioni poetiche spinte, percorsi simbolici o approcci mistici, rischiamo di sbattere; la New Age ci fornisce non pochi esempi.
Come anfibi viviamo in ambienti differenti fluttuando di regno in regno ognuno col suo statuto altro, mica è facile non equivocare.
Effimeri, ma non nulla
«Questo ordine universale che è lo stesso per tutti, nessuno degli dei o degli uomini lo ha fatto ma sempre era, è, sarà fuoco sempre vivente che si accende e si spegne secondo giusta misura.» (Eraclito, 535-475 a.C., frammento 30)
L’umano porsi-opporsi nei confronti del funzionamento naturale produce un arrabattarsi tra insensate pretese di eternalismo e sprofondamenti nel nichilismo, che Eraclito accettando di appartenere al funzionamento naturale supera. In quel “si accende e si spegne secondo giusta misura” risolve l’eternalismo e nell’affermare che l’ordine universale “sempre era, è, sarà” non lascia spazio al nichilismo.
Eccola occhieggiare
Ecco le palme illuminate dal sole invernale che tramonta [un click sull’immagine per ingrandirla],
statuto fenomenico che sembra contenere un oltre glorioso, trascendenza che ci è preclusa eppure eccola occhieggiare suggerita dall’immanenza del fenomeno.