Tecniche di immortalità, top ten
1 Individuale anima immortale che continua nell’aldilà;
2 Perdurare nella stirpe travalicando il punto morte nella consegna di cromosomi alla progenie;
3 Permanere eternamente nell’umanità accettando il trionfo della specie sull’individuo;
4 Individuale fama che persiste nel tempo;
5 Personale pensiero, o atto artistico, imperituro;
6 Eterno al di qua mediante sostituzione di corpo, come quando si cambia l’automobile (metempsicosi);
7 Perenne al di qua fondendosi nella natura;
8 Emulazione dello scarafaggio che simula d’esser già morto così da essere eterno;
9 Fusione mistica dell’io mortale in Dio;
10 Interpretarsi, nella fisica dei quanti, a molti mondi.
La bicicletta
Molto si dice, e con ragione, dei drammi della solitudine e dell’introversa inerzia, poco della versione estroversa, un po' meno tragica però più comica. Quella di anestetizzarsi dandosi continuamente da fare nell’ossessiva convivialità a raffica, nell’iniziativa senza prendere fiato, nel divertimento obbligatorio, nella programmazione e produzione a oltranza.
Pedalando, pedalando e pedalando, come se il fermarsi contattando faccia a faccia la nettezza del puro esserci generi malessere per potenze traumatiche che potrebbe contenere.
Cycas
Non sempre c’è una regolare e diretta correlazione tra saggezza ed età, ma la circostanza che Homo sapiens sia presente da duecentomila anni e la pianta di Cycas, come quella che vediamo nell’aiuola del paese, da duecento milioni[1], qualcosa vorrà pur dire.
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1 Anche se grandezze del genere esulano dalla nostra capacità di percepire, con un po' di impegno possiamo forse farcene un'idea.
Assedio all’Io
L’Io, quello che poggiando su se stesso sa di essere proprio lui, che distinguendosi dal tutto afferma di essere qualcuno invece che nessuno, che autoconsapevole della sua individualità sa di non essere un altro. Io inteso come soggetto, entità sovrana unica e irripetibile, che ha forse anima personale, indivisibile e magari eterna, caratterizzata da ecceità e quiddità, termini che affermano la sua ultima e insostituibile specificità singolare, ecco tutto sbagliato dicono in molti.
Ciò che chiamiamo Io sarebbe nient’altro che un agglomerato di DNA, circostanze, ambiente, costruzioni culturali apprese e introiettate, archetipi ereditati, intersoggettività. Un affastellarsi di materiali disponibili intorno a un nucleo impersonale, come le mosche si appiccicano al miele, che produce l’illusione di una individualità autonoma, ma di fatto nient’altro che un oggetto tra oggetti.
Vero è che il processo di soggettivazione implica quote rilevantissime di intersoggettività e assoggettamento alla natura e agli altri, dato che senza l’Altro, oltreché a non poter più cavarcela nel mondo odierno, non sapremmo manco chi siamo personalmente. Vero anche l'arzigogolato paradosso “allotropo empirico-trascendentale” che descriveva Michel Foucault; termini complicati che definiscono l’inevitabile dinamica che sperimenta il soggetto che generando e formalizzando saperi diventa simultaneamente oggetto di questi. In effetti anche senza elaborare incontrovertibili saperi, empiricamente constatiamo che appena diciamo “la nostra” diventiamo oggetti di questa, perché nel proferirla, e ancor di più nello scriverla, “la nostra” prende consistenza autonoma impipandosene dell’autore, nel senso che lo trascende.
A me, nonostante il sempre più deciso assedio all’Io, una vaga sensazione che ci sia personalmente ancora un po' permane, così, a pelle, senza entusiasmi, ma questa è una opinione che niente vale, una prova più solida di una autonoma esistenza dell’Io la possiamo forse ottenere contestando i detrattori della sua sussistenza ontologica, così da monitorare se permarranno impersonalmente indifferenti, o se la prenderanno a male tenendoci il broncio. Se l’Io non esiste chi sarà mai a tenercelo (il broncio)? Se permarranno indenni potremmo passare all'insulto e poi alla percossa di quei sedicenti nessuno, magari si fa vivo qualcuno.
L’Agave
Spesso i desideri di gioventù si smorzano e talvolta si estinguono, così orfano del suo demone il vecchio tira avanti considerando: “Quei moti desiderosi di improbabili grandezze e di strane figure erano nient’altro che velleitarismi giovanilistici”.
Dall’alto della sua dogmatica razionalità sversa mestizia nei pozzi, incapace di scorgere in quelle evanescenti primigenie forme il nucleo di potenza che le attivava. Potenza rimossa ma eterna, lì pronta a sovvertirlo se solo gli aprisse un po’ la porta, come la vecchia lavanda angustifolia tanto avvizzita da sembrare morta ma con l’essenza al massimo della concentrazione e l’agave che prima di schiattare drizza al cielo il suo organo di tre metri strapieno di semi.
0 litri/100 km
Aria, acqua e cibo alimentano il corpo permettendone il funzionamento, se interrompi l’erogazione il corpo cessa di funzionare, cervello incluso.
Eppure durante quel moto alimentato la mente nel suo estrudere pensiero e coscienza è come se possedesse quote di autosostentamento e autoproduzione, una sorta di moto perpetuo che produce carburante mentre lo brucia.
La buoncostume del politicamente corretto
Il problema è che oggi i corpi e i soggetti sono sempre meno un qualcosa di individuabile e comprensibile, ma sempre più entità fluttuanti e nebulose, che di volta in volta prendono forme differenti come fa l’acqua nel contenitore. Mica è facile relazionarsi con persone senza nucleo, individui che sono quello che sono di momento in momento, così, a estemporaneo gusto personale.
Se un soggetto per un certo tempo è un proprietario di immobili, o per vocazione un padre di famiglia, uno che fa parte di qualche gerarchia sociale, uno che vuole sovvertire l’ordine costituito, uno che vende stabilmente furgoni usati, uno che va a messa la domenica mattina, una persona di cultura, un erotomane patentato, un ateo irriducibile, uno che soffre e gioisce, uno che sbaglia e ci riprova, sapremmo come rivolgerci a lui. Ma se nemmeno lui sa chi è come facciamo a relazionarci a lui, come lui desidera?
Forse non c’è dentro più nessuno in quei corpi beati e proprio per questo la buoncostume del politicamente corretto monitora le nostre buone e cattive maniere quando interagiamo con loro, così da dare una parvenza di realtà a quel niente.
Madonna della Misericordia
Come riesce la longeva e planetaria istituzione della Chiesa cattolica, che tutti sappiamo essere retta da severi e univoci enunziati dottrinali e normativi, ad ospitare al suo interno pluralità di pensiero diversissime fra loro? Dal sovversivo Fratel mitra -un giro su wikipedia per chi non lo conoscesse- ai vescovi conservatori negazionisti, dal transverberato Padre Pio al benedettino Zanon prete scienziato, dai pedofili patentati a persone virtuosissime. Tutti dentro a prescindere, nessuno escluso.
L’iconografia della Madonna della Misericordia illustra bene la dinamica e indica l’unica condizione obbligatoria per abitare sotto a quel manto. La regola è semplicissima, non importa chi sei e che fai, basta che te ne stai in ginocchio[1]. Anche Caino è perdonato se inginocchiato, ma se il migliore degli uomini accenna ad alzarsi rischierà la radiazione al pari di Lucifero.
Tutto sommato non chiedono poi tanto, non meraviglia che sul carrozzone siano saliti un po' di tutti i tipi.
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1 Ricordo che mentre facevo le valige per andarmene dalla Chiesa cattolica, don Giussani mi aveva telefonato ordinandomi di raggiungerlo immediatamente. Nella sua concezione non potevo andare via senza prima aver parlato con lui, che era la mia autorità. Mi aveva fatto presente che senza il suo beneplacito nel congedarmi dalla Chiesa non sarei più stato tranquillo nel rapporto con Dio. Potevo sì andarmene, potevo fare tutto ciò che volevo, ma solo nell'obbedienza, ovvero facendo tutto ciò che volevo senza però scendere dal carrozzone dell'istituzione. Nel linguaggio comune libertà e obbedienza significano cose differenti, ma nella "protezione del mantello" coincidono, emulsionate dalla misericordia elargita a chi piega il ginocchio, mentre tutto il resto del corpo può fare ciò che vuole. Mera faccenda di postura, tutto qui ma è moltissimo, Spinoza nell'Etica afferma: "La Mente umana è atta a percepire moltissime cose, e tanto più è adatta quanto più il suo Corpo può essere disposto in molti modi".
Pausa di intero o semibreve
Nel monitorare due che dialogano mi son chiesto cosa accade di preciso quando la parola passa dall’uno all’altro. In quel tempo c’è una decisione più o meno concordata su chi può prendere la parola -parlando al telefono questo passaggio all’altro diventa evidente, ma c'è anche senza il telefono- in quel punto di silenzio il designato interpreta lo stimolo che gli è pervenuto dall’altro e con quel materiale elabora una reazione, che può essere una risposta, o il proporre un ulteriore stimolo o altro ancora e il processo ricomincia.
Ciò che colpisce è che l’intero processo di interpretazione, elaborazione e risposta, si svolge in pochi decimi di secondo[1] e a volte è istantaneo. Questo azzerarsi dell’intervallo fra stimolo e risposta, indica che i due si muovono in una reciproca pre-comprensione che si sovrappone. Per passare da questa pre-comprensione ad una più reale comprensione di ciò che dice l'altro, è necessario prendersi un po’ di tempo, e con l’altro, e con se stessi. Se le cose stanno così un metodo empirico per valutare la qualità di un dialogo è misurarne le pause, più son lunghe più c'è dialogo, se azzerate potrebbe trattarsi di due soliloqui, più o meno appaiati.
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1«Ciò che si deve comprendere è già in parte compreso» (Gadamer). Per approfondire vedi “Circolo ermeneutico”.
Storie Bislacche
Si narra dell’impari guerra tra il piccolo Regno dell’individuo e il grande Regno del funzionamento della specie, immane schiacciasassi, quest'ultimo, mosso da necessità che tutto ingloba nel suo cieco funzionamento autoperpetuante. Di solito al filosofo narratore che proclama questa teoria gli viene una faccia strana, un po’ contrita e insieme tronfia, fiero di quella sua tragicità che preclude ai profani ulteriori possibilità.
In tanta perentoria solennità che separa il miserabile Io dalla pre-potente natura un momentaneo terrore nel pubblico è garantito, prima che torni a sbrigare le proprie faccende, un po’ come quello che settant’anni fa veniva ai fedeli della bassa padana mentre il parroco dal pulpito tuonava i Novissimi. Pochi tra il pubblico si rendono conto che il filosofo relatore ometta di constatare che il grande Regno dello schiacciasassi guidato da nessuno, nel suo funzionamento produce anche, e a raffica, quel piccolo Regno di individui, persone e soggetti che intendono, vedono, si rattristano e gioiscono, amano, odiano e vogliono. Circostanza che qualcosa vorrà pur dire, a iniziare dalla possibilità che il piccolo Regno degli individui derivi da un qualche ingrediente preesistente nel grande Regno della specie, da una sorta di precursore che in certe condizioni attiva individualità cosciente.
Se si preferisce scartare l'ipotesi di una possibile correlazione e tenere impermeabili e drammaticamente in conflitto i due regni, cosicché la teoria non perda il suo tragico pathos quando il filosofo tiene la sua conferenza, bisognerà per forza di cose ipotizzare che il piccolo mondo sia generato da un qualche fattore extranaturale non ancora identificato del quale vediamo, però, gli effetti. Capita che, loro malgrado, più sbattono Dio fuori dalla porta e più fanno rientrare dalla finestra qualcosa che gli somiglia.