Mangiamo una banana e l’energia che ha dentro migra nel cuore, lo fa pulsare e viviamo. “Questo corpo è il prodotto del cibo […] vive a causa del cibo e muore se ne è privo” sentenzia il Vivekacudamani, antico trattato filosofico-spirituale indiano, niente di che, già lo sapevamo che chi non mangia muore.
Però la cosa diventa interessante se consideriamo il trasferirsi dell’energia che, presente nei cibi, migra nei nostri cervelli producendo pensiero. Concezioni orientali colgono in questo processo una sorta di preesistere del pensiero nel cibo, uno strano tipo di calorie che invece di far muovere muscoli produce pensiero e vita che chiamano prana. Abita i cibi che mangiamo, l’acqua che beviamo, l’aria che respiriamo, niente di trascendente, niente di soprannaturale.
In questa spiritualità immanente, in questa religione dei quattro elementi il "Cogito, ergo sum" si dovrebbe ridimensionare non poco, ma anche se la biochimica ci dice, in accordo con le concezioni orientali, che lo zucchero si trasforma in pensiero ci risulta difficile accettarlo, perché abituati a collocare il pensiero nel mondo delle idee in una dimensione altra e alta, trascendente. Qualche buona ragione ce l’abbiamo, mica è facile scorgere pensieri del tipo “Fatti non foste a viver come bruti...” abitare, in nuce, in una patata lessa.