La pagina della sfinge
Cos’è quella cosa che è una sfera infinita tutta intera in qualunque parte di sé sempre immobile nel movimento di cui tante sono le circonferenze quanti i punti e il cui centro è ovunque e la circonferenza in nessun luogo?
Ho estrapolato da un notorio tassello della teologia medievale omettendo il divin Soggetto e ricomponendo a mo’ di quesito.
In fin dei conti certa mistica medievale appare antesignana de La Settimana Enigmistica, più è sublime più l’anticipa esatta. Strano ma vero.
Quid est veritas?
Se sussistesse La Verità assoluta, universale, integrale, immodificabile e unica; s’esistesse un’immacolata, perfetta, infallibile e compiuta attività teoretica, prima o poi nella colossale storia del pensiero tale verità definitiva saremmo giunti ad esplicarla con-fermandola univocamente in massa.
Invece la storia della filosofia, dell’arte, della religione - pur con filoni di percorso non di rado operanti nel medesimo solco, oltre agli antichi classici evergreen - esprimono differenti, complesse e innumerevoli “verità” in costante moto, correlate alle storie dei popoli, ai tempi, alle causalità e casualità (circostanze), alle specifiche personali capacità, sensibilità e biografie. Neppure la scienza è immune da tale sana parzialità: dalla fisica teorica al medico specialista dal quale sovente il paziente si congeda per ascoltare un’altra campana. Il termine squisitamente scientifico "ricerca" palesa saggiamente al mondo uno stato di provvisorietà, stimolante inedite scoperte, nuove interpretazioni, radicali revisioni. Anche la natura muta, si adatta, si muove ordinata e talvolta apparentemente disordinata si diverte nel produrre metastasi.
Forse la verità è ‘sto bailamme o quanto meno gli assomiglia. Se caotica oppure cosmica non lo so, di sicuro non sta ferma.
To be, or not to be…
Di norma si affronta e risolve una questione in quattro mosse:
determinata la problematica si presuppone una soluzione efficace e attuata si verifica che funzioni.
Procedura generalmente valida, dall’aggiustare lo sciacquone del cesso all’affrontare tematiche cruciali del vivere e del morire, di Dio e dintorni. Il problema è che nelle concezioni e ipotesi in corso d'opera per risolvere tali questioni ultime ci è preclusa qualsiasi sicurezza definitiva, necessariamente accertabile solo post mortem.
Così, alla fin fine, non c’è completa differenza tra quelli che affermano di credere in Dio e i miscredenti, tra loro contrapposti per le differenti ipotesi ma identici nell’attendere conferma definitiva della veridicità del loro supporre. Ateismo, teismo, agnosticismo, differenti concezioni medesimo stato. Appurata la comune condizione forse opportuno che, evitando di bisticciare, si alleino e collaborino.
Teocriminologia applicata
Ho ripigliato dallo scaffale le impolverate Enneadi di Plotino che adoperavo quando frequentavo le religioni orientali a guisa di saldatrice per connettere l’esotico Vedanta alle filosofie d’occidente. La complessa metafisica neoplatonica - della quale Plotino è tra le colonne portanti - salda per bene tratti del pensiero orientale ad alcuni filoni dell’ontologia occidentale. Plotino vede Dio come L’Uno auto-sussistente che tutto fonda e pervade, L’Uno ineffabile che pertanto è possibile indicare solo attraverso vaghe e inadeguate metafore come quella della luce, somma e Unica Potenza da cui irraggia la realtà universale.
Nel volume incontriamo sfilze di “quaggiù” contrapposti al Supremo indicibile “lassù”, roba squisitamente pagana tipica del tardo indirizzo filosofico greco; concezioni quasi assenti nel pensiero di Gesù di Nazareth ma che le Chiese cristiane, violando il copyright, hanno ficcato in profondità nelle loro teologie.
Siccome tale sommo Uno è oltre qualsiasi umano concepire, impossibilitati a definirne la reale sostanza non ci resta che il tacere sovrastati, o, per i più audaci, l’indagare con logica formale non tanto quello che l’Uno è, approccio umanamente impossibile, ma quello che non è, o meglio quello che non può non essere - “metodo negativo”, via negationis, “teologia negativa”.
Procedimento che evoca quello della serie televisiva Criminal Minds trasmessa da Rai 2, dove i gagliardi criminologi dell'FBI per catturare un assassino seriale assolutamente sconosciuto imbastiscono un profilo non ipotizzando a vanvera chi potrebbe essere, ma, via, via, individuando quello che il ricercato non può non essere. Più escludono più circoscrivono, più circoscrivono e più si avvicinano all’obiettivo.
Davvero non male riuscire, finalmente, a catturare l’Artefice di ‘sto strano e immane teatro, così da metterlo sotto teca per osservarlo in dettaglio.
L’utente devoto
E’ finito il tempo delle agiografie e delle gesta eroiche, a parte gli esponenti di filoni estremi di qualche monoteismo e d’impenitenti, quanto sparuti, militanti d’ideologie del Novecento, tutti gli altri si alzano la mattina noncuranti di plasmare sé stessi e il mondo alla propria fede o ideologia. Meglio così.
Il problema è che l’attuale ridimensionamento di tali concezioni a subculture invece di favorire l’autonomia di singoli e popoli è coinciso con l’imperversare di altra ideologia imperante, dove i fondatori non necessitano di particolare impegno teoretico e lavoro sul campo per promuovere universali conformazioni, basta e avanza implementare un qualche brand e status symbol, un po’ di obsolescenza pianificata dei prodotti, un po’ di pubblicità, a tutto il resto ci pensa l’utente che a sua inconsapevole cura espande e condivide con devozione il vano (vanità) arbitrio.
Consumismo ideologia autogena a sviluppo planetario garantito, perpetuo, inarrestabile. Ben poggiato sull’ottusità di mente va a narcisismo: base ampia e tenace, carburante inesauribile.
Italiani
Per testare l’italica umanità da qualche anno spedisco i miei prodotti erboristici a sconosciuti sovente in zone malfamate, facendomi pagare solo dopo che hanno ricevuto la merce.
Persisto fiducioso in quanto dei circa mille pacchi inviati un solo bidone.
Circoscritto dato di affidabilità non generalizzabile, eppure qualcosa vorrà pur dire.
Libri
Passando nottetempo dal letto al bagno spinto da una forza ignota afferravo dalla libreria i “Pensieri” di Pascal e aprivo a caso. Mi capitava la pagina dove valutava Montaigne un confusionario che salta di soggetto in soggetto senza giusto metodo. Precisava che Montaigne eludeva il giusto metodo dicendo sciocchezze per affermazione personale, in quanto nello “stolto progetto che aveva di dipingere se stesso cercava di darsi arie” con “parole lascive, roba che non vale niente”. Perplesso tornavo indietro all’inizio del capitolo e trovavo, nel titolo, la motivazione della pascaliana sentenza di condanna: “Miseria dell’uomo senza Dio”.
D’impeto agguantavo la copia dei “Pensieri” per schiaffarla sotto ai “Saggi” di Montaigne: che se la vedano tra di loro! E sono corso in bagno. Al risveglio nel dormiveglia l’impressione di strani movimenti dalla libreria. Chi possiede numerosi libri sa che dopo l'imbrunire dentro quegli scaffali accadono cose strane: duellano, dialogano, si massacrano, tramano, si alleano, si accoppiano.
L’eterno ritorno
«Molto lentamente ma inesorabilmente sto diventando come mio padre.»[1]
Non così per tutti e se così per certuni un guaio per altri un vantaggio. Per quanto mi riguarda non ho ancora trovato risposta precisa, ma osservandomi intorno una certezza l'ho forse raggiunta: primeggiano, ignare, nella categoria degli inguaiati, alcune madri in gioventù trasgressive, orgiaste impegnate, rivoluzionarie gaudenti, eversive, sovversive-radical chic, ingurgitanti psicotizzanti, psicoanalettici, psicotonici, psicotropi, psichedelici, psicolettici, psicotonici e allucinogeni, femministe e nudiste, oggi impegnate a tempo pieno nell’emanare a raffica ordinanze morali restrittive sulla vita e costumi dei figli. Erano meglio da giovani.
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1 Dal diario del cantautore e chitarrista Joe Strummer (1952-2002) in foto, membro del gruppo punk rock The Clash; citazione ascoltata qui.
Thánatos?
Dopo aver frequentato per anni James Hillman terminata la lettura de “Il suicidio e l’anima” avevo deciso d’evitarlo, o perlomeno di frequentarlo meno regolarmente. Hillman è autore originale che tra stimoli utili e visioni coraggiose ne propone, però e non di rado, di astruse; a iniziare dalla possibilità per lo psicoterapeuta di continuare la terapia post suicidio a cliente morto stecchito, eventualità che Hillman illustra con nonchalance New Age ne “Il suicidio e l’anima”, eppure nel recente oculato rileggere “La forza del carattere”, un suo saggio sulla vecchiaia, in alcuni capitoli mi sono ricreduto riconoscendo che, tutto sommato, val ben la pena tollerare una qualche stranezza se alternata e compensata da fondate stimolanti prospettive, come l’arguta analogia tra infanzia e vecchiaia che l’Autore abbozza ne “La forza del carattere”:
«Così come dobbiamo dispiegarci, o svilupparci, per guadagnare l’accesso al mondo, allo stesso modo il ripiegamento, o invecchiamento, è essenziale per la nostra uscita […] è un errore madornale leggere i fenomeni della vecchiaia come indizi di morte invece che come iniziazioni a un’altra modalità di vita.» (Ed. Adelphi, pag. 106).
Infanzia, dunque, come preparazione all’entrata in questa esistenza nel mondo; vecchiaia come preparazione a uscirne. L’Autore aggiunge “per iniziare altra modalità di vita”.
Quale? Dove? Non lo so e Hillman neppure: in fin dei conti quando la candela si spegne la fiamma non va da nessuna parte, tuttavia, saggiamente, osserva che ignoto non significa necessariamente nullificazione, ma ciò che “non conosciamo ancora”. Così come un adolescente sarà angosciato per la limitata capacità di prevedere la sua esistenza nel mondo dovuta a scarsità d’esperienza - angoscia di vita - (vedi qui), in modo analogo il vecchio sarà angosciato per la limitata capacità di prevedere ciò che ancora non conosce nell’uscirne - angoscia di morte -.
Il “non lo so” può essere causa di angoscia ma anche rassicurante per le illimitate possibilità che esprime, dopotutto il diffuso affermare “dopo non c’è più niente” è un vero e proprio atto di fede, un equivocare una provvisoria carenza di dati perché non ancora conosciuti con un ipotetico fisso ignoto assoluto: l’Ignoto. Bizzarra divinità fautrice del cessare perpetuo, ente che alberga nella testa di qualcuno, soggettivamente esistente ma ontologicamente irreale. Considero, per inciso, che la narrazione della resurrezione di Cristo illustra ‘ste tematiche pornograficamente: si vede tutto per non vedere niente, questo approccio è invece erotico, dice poco ma si intravede assai.
L’osservazione empirica dei vecchi mostra la sanità di questo prepararsi, grazie all’ineluttabile opportunità - equivocata da numerosi, ma non da tutti, come disgrazia - della naturale decadenza senile, a uscire dal mondo. Così nella vecchiaia più si tende a “durare” nostalgici della passata gioventù che si vorrebbe perpetuamente ripristinare, più si cade nella disperazione, invece più si molla l’osso più si diventa sereni. Un mollare che non è rinuncia ma inizio di un nuovo pensare che, indifferente a proprietà, a occidentali protocolli di efficienza, incurante dei pettegolezzi della cronaca, comincia rilassato altro, nuovo, importante lavoro.
Faccio sessant’anni a gennaio e per quanto sentenziano le aspettative di vita dei maschi italiani dovrei campare ancora, se senza accidenti, ancora un po’, ma non è poi male iniziare da subito la preparazione all’uscita. Un buon modo è d’affidarmi-allearmi a quella forza che da una goccia di sperma, essenza di un paio d’etti di lenticchie e una mela mangiata da mio padre, m’aveva fatto feto e poi spontaneamente uomo, forza capace di farmi digerire le orecchiette con le rape senza che io conosca l'ABC della gastroenterologia, forza ignota eppure efficace, estranea eppure costitutiva. Un affidamento alla natura che tiranna mi fagocita in un meccanico funzionamento esautorante la personalità? Questo è quello che sembra, quello che c’è ed è per fortuna non lo sappiamo. Tutto, dunque, aperto.
Sotto le righe, sopra le righe
Giacché si muore e poiché lo sappiamo l’umanità, da sempre, si è attivata per ricucire il supremo strappo. L'imbastitura per suturare l’incombente lacerazione tra l’essere vivi e morti ha prodotto numerose e svariati percorsi esistenziali, teoretici, religiosi. Soluzioni naif o sofisticate, misere o dignitosissime, tra quest’ultime il naturalismo che invece di attardarsi nel rammendare lo strappo lo ridimensiona all’origine valutandolo esasperazione di concezioni antropocentriche precludenti la possibilità di una serena ecoappartenenza; appartenenza che vede la persona e l'umanità immerse nella preesistente incessante natura. Moriremo tutti, moriremo ancora e ci scoccerà pure, ma lontano da smisurate egocentriche isterie ce ne faremo una ragione senza frignare più del necessario nel constatare nuove nascite all'ombra di ulivi millenari.
Tale ragionevole approccio del naturalismo filosofico, che forte non sale di giri, ci consente di osservare in alcune altre concezioni una interazione costante: più s’interpreterà grave lo strappo procurato dalla ferita egocentrica di dover morire e più sarà necessario ricorrere a soluzioni forti per ricucirlo: se valutato severo procurerà un certo disagio esistenziale, o meglio esistenzialista, con il conseguente crogiolarsi in geremiadi interminabili, se, ancor peggio, viene percepito immane produrrà angoscia estrema, tragicità che caratterizza alcuni filoni del nichilismo filosofico, concezioni che indifferenti alle incontestabili evidenze dell’esistenza di Soggetto, Altro, Natura, implementeranno - attraverso un vero e proprio atto di fede - un artificiale ente “Nulla”, teoria che non trova alcun preciso riscontro nella realtà. Forme di nichilismo estremo che conducono a due possibilità, la prima, nota ma poco diffusa, che si esprime nel rifiuto d’esistere fino anche al suicidio; la seconda, diffusissima ma sfuggente[1], che invece reagisce a tale ipotetico nulla - buco nero forato a dismisura con trapano moderno dal nichilismo medesimo - costruendo narrazioni salvifiche sopra le righe congrue a quell’immensa voragine: costruzioni reattive religiose, idealistiche, oppure ideologiche, che nella storia della filosofia, come pure nella vita quotidiana di ognuno, appaiono agli antipodi da qualsiasi nichilismo, combattuto frontalmente da salvatori di patrie e di anime traboccanti di “valori” e entusiasmo, mentre, a ben osservare, proprio sul nichilismo si radicano e poggiano. Dopotutto in ogni esaltato, sotto, sotto, c’è un disperato.
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1 Non per tutti, vedi il saggio di Orlando Franceschelli, “Karl Löwith, le sfide della modernità tra Dio e nulla”; Donzelli Editore, dove a pag. 64 e sgg. l’Autore illustrando l’analisi di Löwith su Kierkegaard coglie preciso la problematica.