BLOG DI BRUNO VERGANI

Radiografie appese a un filo, condivisione di un percorso artistico

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Venerdì, 10 Febbraio 2017 14:47

60 anni

S’impegnava nella sua professione d'artigiano per un’esistenza dignitosa sua e di qualcuno a lui prossimo, né di più né di meno. Il resto del tempo e della personale potenza li utilizzava per comprendere il significato dell’universo e il suo posto nel mondo. Aveva sessant’anni e così faceva fin da ragazzo; se interrompeva quel pensare si sentiva male, ma nel riprenderlo il sangue gli circolava ancora nelle vene. Probabilmente non era del tutto sano, chiedersi il senso della vita è indizio di una qualche malattia, sentenziava Freud. Però a lui andava bene così e poi, dopotutto, considerando la storia della civiltà era in buona compagnia, non pochi avevano vissuto come lui e non proprio tutti brocchi o scompensati.

Dopo tanto indagare ed elaborare il significato dell’universo e il suo posto nel mondo non li aveva trovati, però un paio di verità plausibili forse sì:
i monoteismi rivelati erano narrazioni, mentre la natura era dato certo. Così per la quinta volta si era riletto L’Etica di Spinoza, vedeva che lì c’era risposta, o perlomeno un suo inizio. Capiva poco e davvero a fatica ma, dai e dai, cominciava a penetrare quella mistica razionale; lo percepiva dal godimento che la lettura a tratti gli regalava e dal pensiero che gli stimolava. In quell’esercizio di umiltà d’accettarsi come una mera modalità provvisoria espressa dall’impersonale Dio sostanza infinita, Tutto Uno ed eterno che senza fini produce, indifferente al bene e al male come intesi dagli uomini, la realtà naturale, qualcosa non gli tornava ancora: che non tornava era Spinoza stesso: più L’Etica dettagliava precisa i meccanismi e le leggi di quel sommo funzionamento e più testimoniava un punto della Natura - nella fattispecie l’Autore del libro, anch’egli espressione di Natura -  dove il funzionamento prendeva una piega quasi “personale”, introspettiva, consapevole di sé. Nell’accadere della Natura oltre a meccaniche celesti, amebe, papaveri di primavera e gatti, irrompeva quello strano e inaspettato evento dell’umano corpo-pensiero, capace di dirla (la Natura) e ricapitolarla.

Osservando il soggetto uomo non poteva escludere, di riflesso per speculare simmetria, che la Natura fosse anch’essa strutturata da un Dio sì immanente ma, a suo modo, autonomo, cosciente e personale, a immagine dell’uomo; dopo decenni di osservazione, elaborazione e indagine il significato dell’universo e il suo posto nel mondo non li aveva ancora trovati.

Pubblicato in Frammenti Autobiografici
Mercoledì, 08 Febbraio 2017 14:56

Nevrotico ma Dio

Talvolta interpretava la realtà come parvenza e illusione immaginando Dio nascosto dietro ‘sto teatro, altre volte vedeva Dio perfettamente coincidente con la realtà concreta che aveva intorno.

Gli era anche capitato di sperimentare le differenti percezioni e concezioni tutt’assieme in una conflittuale mescolanza un po’ naïf di Schopenahauer, Agostino e Spinoza, però a differenza del suo PC non andava in blocco.

Forse il Creatore era lui stesso. Nevrotico ma Dio.

Pubblicato in Frammenti Autobiografici
Mercoledì, 08 Febbraio 2017 12:15

Prospettiva

Verosimile che non siamo il centro e neppure il fine ultimo dell’universo, nell’ipotesi che un centro e un fine l’universo ce l’abbia, ma nel frattempo dato che nell’incontrare e osservare la realtà ognuno prende necessariamente le mosse iniziando per forza di cose da sé medesimo (vale per amebe, uomini e gatti), un pacato, provvisorio, antropocentrismo possiamo pure concedercelo; punto di vista per mettere a fuoco l’universo e ottenere immagini non troppo sfocate o scentrate.

Ma l'universo apprezza figure belle, nitide e centrate o se ne impipa?

Pubblicato in Pensieri Improvvisi
Mercoledì, 08 Febbraio 2017 09:35

L’enciclopedia

Per il sapere c’è Wikipedia, però non c’è scritto come ordinarlo e ben adoperarlo (sapienza).

Pubblicato in Pensieri Improvvisi
Venerdì, 03 Febbraio 2017 14:50

Territori sdrucciolevoli

Risultano piuttosto sdrucciolevoli porzioni di alcune mistiche orientali e pure tratti di quelle occidentali, per l’invito a costringersi fino allo spasimo per diventare neutri come una mucca e insistere ancora per diventare passivi, immobili e impersonali come pietre.

Garantiscono che in tale estatico impietrimento alberghi una somma efficienza indicibile. Forse opportuno, a differenza di mucche e pietre, provare a dirla come fanno i poeti e talvolta gli scienziati.

Ci sarà pure una temporanea ragione e un qualche provvisorio vantaggio nell’essere persona e se proprio non ci fossero possiamo comunque escogitarli.

Pubblicato in Sacro&Profano
Venerdì, 03 Febbraio 2017 12:01

Odore di santità 5 ml

L’odore di santità oltre a significare e indicare qualcuno con fama di santo o giù di lì, è da intendersi proprio alla lettera.

Ebbene, a differenza dei soggetti ordinari che da vivi producono secrezioni corporee di maleodoranti cataboliti e da morti miasmi di putrefazione, alcuni particolarissimi soggetti, detti santi mirobliti, essuderebbero sia vivi che cadaveri secreti oleosi incolori o appena rosati, con profumo perlopiù dolce e floreale.

Non male riuscire a raccoglierne un po’ mentre colano come si fa col caucciù, giusto un flacone da 5 ml da fissargli sotto l'ascella e riempito appiccicargli sopra l’etichetta “Odore di Santità”.

Sembra che l’essenza ricordi profumi di rosa, incenso e caprifoglio. Non a tutti, però, piacerebbe mettersela addosso, non tanto per la nota femminea della rosa e neppure per quella d'incenso evocante sagrestie dell'infanzia, ma per quella che un naso fino può percepire nello zuccheroso caprifoglio, nota tanto dolce che vira al fecale.

Pubblicato in Sacro&Profano
Venerdì, 03 Febbraio 2017 10:17

Olismo?

Linneo e Leopardi nel dire la stessa ginestra redigono statuti affatto differenti, eppure entrambi corretti a condizione che ognuno stia al posto suo.

Per ben conoscere, oltre all’attitudine per la sintesi occorre la capacità di scomporre, differenziare e distinguere.

Pubblicato in Filosofia di strada
Mercoledì, 01 Febbraio 2017 12:50

Gloria dell’inorganico?

Non possiamo sorvolare sull’ossario nel cimitero, dimostrazione che andiamo all’inorganico, a patto che non glissiamo sull’altro movimento-accadimento che, non meno reale, ha visto, e vede, l’inorganico diventare organico, l’organico trasformarsi individuo animale e l’individuo farsi soggetto uomo.

Del primo movimento che conduce alla gloria dell'inorganico possiamo spiegarne le cause e individuarne le leggi in quanto funzionamento. Che permane strano è l’altro movimento imponderabile nell'ultimo passaggio.

Pubblicato in Filosofia di strada
Sabato, 28 Gennaio 2017 21:50

Andarsene

Andarsene”, con sottotitolo “Brevi riflessioni sulla morte propria e altrui” è un libro di Augusto Cavadi, minuto per dimensione imponente nel contenuto, che affronta la non semplice tematica del titolo offrendo all’elaborazione del lettore differenti concezioni e strategie di pensiero e azione all’ineludibile evento che incombe su tutti i vivi.

All’accadimento della morte soggettiva c’è chi opta per il silenzio, una sorta di provvisoria rimozione fintantoché l’inevitabile dato gli irromperà tra capo e collo. Viceversa c’è chi «per mestiere e per passione» affronta filosoficamente la questione, approccio, quest’ultimo, che ha prodotto nella storia dell’umano pensiero molteplici e differenti concezioni che l’Autore perlustra e illustra stringato ma preciso, con taglio prevalentemente pratico (filosofia-in-pratica), ovvero con l’intento, alla larga da intellettualismi, d’offrire sollecitazioni utili al lettore, stimoli che possa addentare con piacere e vantaggio nel concreto, quotidiano, vivere.

Il ventaglio di concezioni analizzate inizia da quella che vede la domanda sulla morte come strutturalmente insensata; mera perdita di tempo per un pseudo-problema; di fronte alla morte «non resta più domanda alcuna: e appunto questa è la risposta» (primo Wittgenstein). Silenzi per nulla banali sui quali, però, il “libriccino” non tace simpatetico, ma tende a coglierne il significato nascosto per «esplicitarne le valenze» (Kierkegaard). Lo fa attraverso Pascal che interpreta tali silenzi, seppur sofisticati, rimozioni: «Gli uomini non avendo potuto guarire la morte […] hanno risolto, per vivere felici, non pensarci»,  dove non pensarci significa perlopiù strategie atte a divertirsi - inteso etimologicamente: volgersi altrove -, magari, insiste Pascal, intrattenendosi a caccia di lepri, non tanto per portare a casa il cadavere del minuto mammifero con le orecchie lunghe, che manco vorremmo regalato, «ma per il trambusto [l’atto del cacciare] che ci distoglie da quel pensiero [l’umana caducità] e da quel pensare».

Un po’ semplicistico? Cavadi non lo esclude appurando che anche chi, invece di distrarsi cacciando lepri, s’impegna in presa diretta nello spaccare il capello in quattro riguardo il morire, in fin dei conti non sia riuscito dare risposte conclusive. Persino «il Buddha sembra voler prescindere del tutto da queste questioni ‘fondamentali’» (Panikkar). A questo punto l'Autore chiede: «difficile sottrarsi al fascino di queste suggestioni: ma non è troppo sottile il confine tra il silenzio che trascende la domanda sulla morte e il silenzio che la elude?» Occorre audacia per non volgere lo sguardo da un’altra parte, coraggio che Leopardi ha tragicamente, al di là delle conclusioni (personale anelare alla "cosificazione" per non soffrire), testimoniato nel metodo, sia poeticamente che filosoficamente.

A metà del breve saggio si accenna a un’indagine speculativa del morire, dove tra le righe ci è parso cogliere un’evidente differenza tra l’accadimento dello specifico morire di un individuo reale, da quello de La Morte con l’articolo determinativo, intesa come sommo ente annichilente la realtà; La Morte vista da Epicuro come «un fantasma, un non-ente, qualcosa che non esiste». Il punto è che Epicuro interpreta non-ente oltre a La Morte pure il soggetto defunto: «per quanto riguarda i morti, sono essi stessi a non esserci [più]». Fuori le prove, Epicuro! Ma le prove sono deboli, più consistenti gli indizi che indicano altre possibilità, a iniziare da quelle enunciate da Pirandello, che vede albergare nell’uomo un quid che anela al «di più», indizio che l’uomo trascende il suo apparato somatico. Così anche per Sciascia, che risponde alle raccomandazioni dell’amico razionalista: «Vivi più che puoi perché di vita ne abbiamo una sola» con la seria battuta, non meno razionale, «Perché sei così sicuro? […] Forse ci sei già stato nell’aldilà e sei tornato?». Come anche le ipotesi di Umberto Eco che scorgono una diretta analogia tra l’umana anima immortale e le sequenze di messaggi che nell’universo elettronico migrano, da supporto a supporto, rimanendo esse stesse. Fino ai classici, dove Platone vede addirittura nel cessare della vita corporea una sorta di guarigione e di recupero dello stato originario.

Nella storia del pensiero che ha indagato, fin dalle origini, il penoso accadimento del personale morire, un dato appare irreprimibile: «ogni ente determinato viene dall’indeterminato e, “secondo necessità”, deve tornare nell’indeterminato.» Da Hölderlin a Teilhard de Chardin, dal naturalismo alla filosofie d’Oriente, si canta tale sommo Funzionamento.

Che tale Funzionamento - sorta di panteismo fagocitante l’individuo - sia Dio? Finanche il Dio della Bibbia? Non possiamo escluderlo a condizione di interpretare l’umano Io mortale (antoprocentrismo, soggettivismo idealistico) coincidente col peccato originale, concezione non esente da rischi di ambiguità che Cavadi coglie nel teologo Drewermann. Messaggio biblico che, agli antipodi, può essere interpretato, nel solco del giovane Hegel, come valorizzazione, in ottica cristiana, di ogni soggetto umano fino alla divinizzazione personale del singolo: «Ogni idea di una differenza di essenza fra Gesù e coloro in cui la fede in lui è divenuta vita e in cui è presente il divino, deve essere rimossa» ma siccome, continua Hegel, «Là dove due o tre sono uniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro» (Mt 10,41), mette in guardia dal delirio di una esaltazione pantocratrice del soggetto che autistico si ergerebbe glorioso sopra tutta la realtà, pertanto precisa: «Gesù si dichiara contro la personalità». Concezioni teoretiche che seppur accattivanti non reggono, ai nostri giorni, il confronto con l’esegesi storico-critica della Bibbia e dei Vangeli, infatti Cavadi ci ricorda che la Bibbia senza mai rilevare o asserire la presenza di una qualche "scintilla divina" infusa nell'uomo «considera ogni singolo individuo umano come “carne” […] nella sua concretezza storica e nella sua fragilità ontologica», dove «la vita è dunque un’avventura personale che da un Dio “personale” origina». Se le cose stanno così, visto il rapporto tra persone vive, umane o divine che siano, tutto permarrebbe aperto, non sistematizzabile e neppure programmabile.

Prevedibili permangono invece numerosi modelli del post moderno poggiati sul nichilismo esistenzialistico, da Brecht a Celan, da Sartre a Morin autore della giaculatoria: «Siamo perduti», tanto devoti al dio “Nulla” da rasentare la mistica.

Il libro termina con indicazioni di lettura, valorizzando testi di operatori sanitari (Heath, Vitullo), che della morte hanno rendicontato la quotidiana esperienza ravvicinata. L’input è dato, che il lettore elabori.

Andarsene, Brevi riflessioni sulla morte propria e altrui;
Augusto Cavadi, Diogene Multimedia.

Pubblicato in Recensioni
Venerdì, 27 Gennaio 2017 10:52

Già fatto

Morte individuale incombente? Nessuna preoccupazione in quanto iniziando a contare dalla comparsa dell'universo fino al momento della nascita individuale, risulta che abbiamo già trascorso più di dieci miliardi d’anni di pacifica morte personale. Davvero navigati e abituati.

Spiritosaggine? Mica tanto, il dato è innegabile.

Pubblicato in Pensieri Improvvisi

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