BLOG DI BRUNO VERGANI

Radiografie appese a un filo, condivisione di un percorso artistico

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Venerdì, 06 Gennaio 2017 19:55

Amore?

Ho qualche indizio che le beatitudini evangeliche del Discorso della Montagna[1], narrazione rivoluzionaria - chi aveva mai detto robe del genere prima di Gesù di Nazareth? -, non sono dopotutto estranee ad aspetti del naturalismo e neppure alla metafisica dell’amore di Schopenhauer, quella che ci vede inconsapevoli zimbelli della Natura, che ottemperano al suo sommo decreto biologico finalizzato alla perpetuazione della specie.

Forse nessun eroico e amorevole altruismo nel Discorso della Montagna, ma mera efficace strategia, quasi un tecnicismo, per far proseguire l’umanità. 


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1 « Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.
Beati gli afflitti, perché saranno consolati.
Beati i miti, perché erediteranno la Terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati a causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia.
Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli » (Matteo 5,3-12)

Pubblicato in Filosofia di strada
Venerdì, 06 Gennaio 2017 19:06

Impersonarsi

Nell’imbatterci in posizioni di pensiero contrapposte alle nostre invece di attardarci in conflitti teoretici, ideologici, concettuali o dottrinali, un buon metodo per dialogare potrebbe essere quello di evitare qualsiasi astrazione per argomentare attraverso le personali, differenti e effettive autobiografie.

Tra onesti dovrebbe funzionare.

Pubblicato in Filosofia di strada
Venerdì, 06 Gennaio 2017 18:34

Il fornetto

Una fissa architettura di pensiero, tanto sicura da ritenersi indenne da qualsiasi possibilità di errore, dunque di sviluppo, avulsa dal correre il pur minimo pericolo di sbagliare tutto, prima o poi progetterà e costruirà loculi perfetti.

Pubblicato in Pensieri Improvvisi
Giovedì, 05 Gennaio 2017 12:39

A che pro?

Giunto a metà della autobiografia di Hans Küng, nel considerare la tormentata conflittualità caratterizzante il suo rapporto con la Curia romana, con estenuanti partite a scacchi durate decenni, giocate camminando sulle uova e guardandosi alle spalle in una sorta di “né con te né senza di te” costellata da vittorie di Pirro, c’è da chiedersi: «A che pro tanto dispendio di energia quando poteva fare sicuramente bene, anzi meglio, da solo?»

Visto che è rimasto evitando di sbattere la porta in faccia all’Istituzione cattolica romana per andarsene e abbracciare una libera vocazione di “cane sciolto”, una qualche utilità nel rimanere l’avrà pur individuata. Considerata la fatica che tale rimanere e appartenere gli ha comportato dovrebbe trattarsi di utilità davvero seria e irrinunciabile. Quale?

Pubblicato in Pensieri Improvvisi
Domenica, 25 Dicembre 2016 17:20

La messa in latino

Ho partecipato alla consueta concelebrazione natalizia pagana, rituale con cenone, tombola e all’ora canonica stabilita l’acquattato arrivo di Babbo Natale con i doni per i bambini. Ancestrale liturgia che i normali adempiono con cadenza ciclica[1] come fanno le stagioni, mentre sporadici anormali - come il sottoscritto - meno saggi, più introversi e complicati, invece di viverla con semplicità in presa diretta la esaminano dal di fuori con altezzosa distanza.

Appurato che per i normali è sufficiente tale approccio magico, dove per ottenere soddisfazione basta e avanza la rituale esecuzione della tradizionale formula liturgica condivisa, osservo che, in ambito cattolico, tutto sommato, poteva andar più che bene per i fedeli la preconciliare messa in latino, visto che ciò che spiega e risolve l’identità storica, sociale (appartenenza) e spirituale dell’individuo non è il personale e consapevole intendere, analizzare ed eventualmente riformulare, ma la semplice ripetitiva accettazione e la formale osservanza di ciò che offre La Casa.

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1 Il ciclo è una sorta di ripetizione, di volta, in volta, inedita, come plasticamente suggerisce una linea a spirale. Gilles Deleuze differenziava, anzi contrapponeva, la ripetizione all’abitudine, valutando la ripetizione «eternità contro la permanenza» (Differenza e ripetizione, Cortina Editore, Milano 1997, p. 9). Per svolgere tale analisi e giungere a questa conclusione suppongo che un po’ “anormale” non abbia vissuto la ripetizione in semplice, inconsapevole, presa diretta, ma ne abbia preso distanza, giusto per osservarla con ottimale messa a fuoco.

Pubblicato in Sacro&Profano
Sabato, 17 Dicembre 2016 12:56

Psicojukebox

Macchina protesi umana: dalla leva al tornio, dalla ruota alla valvola aortica artificiale. In tale allacciamento uomo-macchina l’acme è verosimilmente espresso dallo strumento musicale (oggetto) attivato da mano e/o respiro d’uomo (soggetto), allacciamento oltre che fisico anche psichico e spirituale. Va inoltre osservato che tale netta distinzione tra soggetto e oggetto è, nel caso di specie, tutta da chiarire, in quando risulta già verosimile che un percussionista preistorico eseguiva su “suggerimento” dell’oggetto che percuoteva: lui agiva e quello (l’oggetto) rispondeva a “modo suo” influenzando l’azione dell’esecutore, e nella scrittura del "pezzo", e nell'esecuzione.

Con il passaggio dalla scrittura della musica concreta a quella elettronica e digitale, con campionamento e multicampionamento (polifonia), moduli di sintesi, memoria, sequencer multitraccia, supervisione del sistema operativo, riproduzioni cicliche (loop) di suoni concreti o di sintesi, la distinzione tra soggetto uomo e oggetto macchina appare ancora più labile e nebulosa. In tale caso di scrittura musicale fino a che punto il nucleo formativo della struttura e costitutivo della frase permane solo e sempre squisitamente umano o adempie, invece, alle funzioni intrinseche della macchina, che pertanto diverrebbe autrice dell’opera, o perlomeno coautrice?

Non ho competenze ma se fossi un epistemologo della complessità[1] indagherei da queste parti.

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1 L'antropologo e lo psicologo andrebbero bene per analizzare il feticismo per una Fender, differente problematica.

Pubblicato in Filosofia di strada
Venerdì, 16 Dicembre 2016 09:02

Il gap

Nel periodo di caccia si aggirano nella campagna cani in branco forse smarriti dai cacciatori o che stanchi d’obbedirgli, o forse nauseati degli schioppi, hanno preferito i loro simili. Scorribandano nottetempo e ammazzano i gatti. Il mese scorso è toccato al vecchio Silvestro, felino mite e saggio. Avevo scavato la fossa e prima di coprirlo osservato l’occhio vitreo e il collo spezzato e chissà da dove improvvisa una domanda:
«Dov’è, ora, quell’essere senziente da te denominato Silvestro?».
Arrancavo nel rispondere con ipotesi tipo «vive nel mio ricordo», «si è disperso come una brezza nello spazio», «si è dissolto nella natura», poi più convinto avevo concluso «non lo so.»

Ieri casualmente passavo da lì, le volpi avevano scavato e Silvestro nel buco non c’era più, lo rinvenivo a una decina di metri smembrato e ripulito dalle gazze, un mucchietto di ossa bianchissime. Al cospetto dell'inorganica gloria ritornava, chissà da dove, la domanda:
«Dov’è, ora, quell’essere senziente denominato Silvestro?».
Noncurante di giudicare la domanda malata nella sua costituzione provavo ancora a rispondere arraccando daccapo, però una certezza l'avevo raggiunta:

il gap tra il Silvestro senziente e quelle ossa era tanto abnorme e incolmabile che conduceva a credere nell’esistenza di un prestigiatore che l'aveva fatto sparire nel nulla, argomentazione davvero priva di qualsiasi logica. Per affermare che l'unica realtà che può veramente essere detta esistere è la materia e tutto deriva dalla sua continua trasformazione è necessario credere all’esistenza di un inverosimile ciarlatano occulto che si diverta nel far scomparire i soggetti, e io una fede tanto grande non ce l’ho.

Pubblicato in Frammenti Autobiografici
Mercoledì, 14 Dicembre 2016 11:04

Combattenti

Mi piace Montaigne seduto al tavolo al terzo piano della sua torre che s’indaga attraverso il pensiero dell’Altro impresso nei libri e dilettante faccio come lui dicendo e elaborando ciò che mi capita a tiro. Mi piace giocare in giardino con le piante rare, affidabili alleate insieme ai gatti. Senza salire di giri lavoro giusto per ciò che è necessario a me e qualche prossimo, artigiano noncurante della concorrenza.

Evito di affilare le armi dell’erudizione e affinare la retorica per persuadere, studiare contromosse per difendermi, implementare tattiche per sconfiggere, come di solito si muove il mondo nel business, partiti, istituzioni, sport, tribunali, arte, università, cultura, mass media e chiese.
Non vedo necessità di combattere una battaglia lunga una vita anche se fosse la più giusta e buona.

Pubblicato in Frammenti Autobiografici
Martedì, 13 Dicembre 2016 10:27

Mariolatria

Nelle innumerevoli confessioni del planetario universo cristiano istituzionalizzate in differenti Chiese da duemila anni fino ad oggi, con ognuna all’interno, nonostante univoci enunziati normativi, copiose pluralità di espressione della fede, non è facile districarsi individuando le associazioni per delinquere, cricche di potere e clan di esaltati dalle comunità di santi o perlomeno di saggi.  

Un metodo grossolano ma affidabile per un agile discernimento è il rilevare la presenza quantitativa della Vergine Maria: se c’è troppa Madonna[1] meglio diffidare.

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1 Parametri percentuali di presenza massima consentita in tutti i campioni analizzati:
Dottrina 7%
Pastorale 12%
Liturgia 14%
Devozione 21%
Devozione popolare 26%

Pubblicato in Sacro&Profano
Sabato, 10 Dicembre 2016 12:22

Uno mangia l’altro guarda

Hans Küng nella sua autobiografia ricorda quando ragazzo faceva il bagno nel lago freddo e profondo della sua cittadina svizzera, descrivendo quelle nuotate percepiva: «l’io perdersi in una totalità più grande e onniabbracciante, senza con questo diventare una goccia d’acqua, ma restando me stesso.»

Una sorta di naturalismo che non precludendo l’ipotesi di un possibile logos artefice dell'universo offre, di rimando, la possibilità per l’io - “D(Io)” - di non essere annichilito fagocitato dalla Natura, forza mastodontica quanto incosciente e cieca; una affinità della Natura con la persona non solo biologica ma psichica e di pensiero. Posizione per il naturalismo filosofico evidente eretica - anzi questo non è naturalismo - ma, almeno per me, di cruciale interesse.
Quel «senza diventare una goccia d’acqua, ma restando me stesso» - ecoappartenenza non esautorante il soggetto - mi sembra una buona sintesi tra parte delle filosofie orientali e i monoteismi rivelati, dove le prime vedono l’Io una inutile illusione da affogare il prima possibile nel grande funzionamento cosmico, i secondi invece interpretano l’Io come reale, unico e irripetibile, che così a immagine e somiglianza del Creatore sottometta la natura alla sua gloria: «Crescete e moltiplicate e riempite la terra, e rendetevela soggetta, e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e sopra ogni animale che si muove sulla terra» (Genesi).

Ne ho parlato con il caro amico Fabio Pacini il quale mi ha fatto presente che per le filosofie orientali non è sempre e solo così, ricordandomi i due “Io” che secondo alcuni filoni del pensiero vedico ci costituiscono: quello che percepisce e vive il mondo, va alla posta e al supermercato e quello che osserva questo nostro agire personale contemplando imperturbabile la realtà. Roberto Calasso nel suo saggio «L'ardore» illustra puntuale la dinamica:

«Dal Ṛgveda alla Bhagavad Gītā si elabora un pensiero che non riconosce mai un soggetto singolo, ma presuppone al contrario un soggetto duale. Così è perché duale è la costituzione della mente: fatta di uno sguardo che percepisce (mangia) il mondo e di uno sguardo che contempla lo sguardo rivolto al mondo. La prima enunciazione di questo pensiero si ha con i due uccelli dell'inno 1, 164 del Ṛgveda: «Due uccelli, una coppia di amici, sono aggrappati allo stesso albero. Uno di loro mangia la dolce bacca del pippala; l'altro, senza mangiare, guarda». Non c'è rivelazione che vada oltre questa, nella sua elementarità. E il Ṛgveda la presenta con la limpidezza del suo linguaggio enigmatico. La costituzione duale della mente implica che in ciascuno di noi abitino e vivano perennemente i due uccelli: il Sé, ātman, e l'Io, aham.» (p. 157)

Certo si può anche vivere tutta un’esistenza arrabattandosi in vicende e faccende nelle circostanze, ma se ci osserviamo ci sarà pur accaduto, specialmente in situazioni dolorose spiazzanti, che ci scopriamo a osservare con chiarezza noi e il mondo con uno strano, potente, distacco.

I due uccelli… Singolare che nella sua biografia Küng una pagina dopo il voler «diventare una goccia d’acqua, ma restando me [sé] stesso» ricorda che nel nuotare aveva incontrato nel lago coppie di martin pescatori, uccelli monogami: « tento […] di separarli l’uno dall’altro, ma perdo regolarmente.» Strana coincidenza quanto scrive Küng, davvero sincronica con quanto scritto qui. Sto virando al New Age, meglio chiudere.

Pubblicato in Filosofia di strada

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