Ho partecipato alla consueta concelebrazione natalizia pagana, rituale con cenone, tombola e all’ora canonica stabilita l’acquattato arrivo di Babbo Natale con i doni per i bambini. Ancestrale liturgia che i normali adempiono con cadenza ciclica[1] come fanno le stagioni, mentre sporadici anormali - come il sottoscritto - meno saggi, più introversi e complicati, invece di viverla con semplicità in presa diretta la esaminano dal di fuori con altezzosa distanza.
Appurato che per i normali è sufficiente tale approccio magico, dove per ottenere soddisfazione basta e avanza la rituale esecuzione della tradizionale formula liturgica condivisa, osservo che, in ambito cattolico, tutto sommato, poteva andar più che bene per i fedeli la preconciliare messa in latino, visto che ciò che spiega e risolve l’identità storica, sociale (appartenenza) e spirituale dell’individuo non è il personale e consapevole intendere, analizzare ed eventualmente riformulare, ma la semplice ripetitiva accettazione e la formale osservanza di ciò che offre La Casa.
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1 Il ciclo è una sorta di ripetizione, di volta, in volta, inedita, come plasticamente suggerisce una linea a spirale. Gilles Deleuze differenziava, anzi contrapponeva, la ripetizione all’abitudine, valutando la ripetizione «eternità contro la permanenza» (Differenza e ripetizione, Cortina Editore, Milano 1997, p. 9). Per svolgere tale analisi e giungere a questa conclusione suppongo che un po’ “anormale” non abbia vissuto la ripetizione in semplice, inconsapevole, presa diretta, ma ne abbia preso distanza, giusto per osservarla con ottimale messa a fuoco.