Giacché si muore e poiché lo sappiamo l’umanità, da sempre, si è attivata per ricucire il supremo strappo. L'imbastitura per suturare l’incombente lacerazione tra l’essere vivi e morti ha prodotto numerose e svariati percorsi esistenziali, teoretici, religiosi. Soluzioni naif o sofisticate, misere o dignitosissime, tra quest’ultime il naturalismo che invece di attardarsi nel rammendare lo strappo lo ridimensiona all’origine valutandolo esasperazione di concezioni antropocentriche precludenti la possibilità di una serena ecoappartenenza; appartenenza che vede la persona e l'umanità immerse nella preesistente incessante natura. Moriremo tutti, moriremo ancora e ci scoccerà pure, ma lontano da smisurate egocentriche isterie ce ne faremo una ragione senza frignare più del necessario nel constatare nuove nascite all'ombra di ulivi millenari.
Tale ragionevole approccio del naturalismo filosofico, che forte non sale di giri, ci consente di osservare in alcune altre concezioni una interazione costante: più s’interpreterà grave lo strappo procurato dalla ferita egocentrica di dover morire e più sarà necessario ricorrere a soluzioni forti per ricucirlo: se valutato severo procurerà un certo disagio esistenziale, o meglio esistenzialista, con il conseguente crogiolarsi in geremiadi interminabili, se, ancor peggio, viene percepito immane produrrà angoscia estrema, tragicità che caratterizza alcuni filoni del nichilismo filosofico, concezioni che indifferenti alle incontestabili evidenze dell’esistenza di Soggetto, Altro, Natura, implementeranno - attraverso un vero e proprio atto di fede - un artificiale ente “Nulla”, teoria che non trova alcun preciso riscontro nella realtà. Forme di nichilismo estremo che conducono a due possibilità, la prima, nota ma poco diffusa, che si esprime nel rifiuto d’esistere fino anche al suicidio; la seconda, diffusissima ma sfuggente[1], che invece reagisce a tale ipotetico nulla - buco nero forato a dismisura con trapano moderno dal nichilismo medesimo - costruendo narrazioni salvifiche sopra le righe congrue a quell’immensa voragine: costruzioni reattive religiose, idealistiche, oppure ideologiche, che nella storia della filosofia, come pure nella vita quotidiana di ognuno, appaiono agli antipodi da qualsiasi nichilismo, combattuto frontalmente da salvatori di patrie e di anime traboccanti di “valori” e entusiasmo, mentre, a ben osservare, proprio sul nichilismo si radicano e poggiano. Dopotutto in ogni esaltato, sotto, sotto, c’è un disperato.
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1 Non per tutti, vedi il saggio di Orlando Franceschelli, “Karl Löwith, le sfide della modernità tra Dio e nulla”; Donzelli Editore, dove a pag. 64 e sgg. l’Autore illustrando l’analisi di Löwith su Kierkegaard coglie preciso la problematica.