Avanspettacolo
Estate tempo di offerta culturale.
Eccola che umile annuncia alla piazza la personale professione, la super specializzazione, i saggi pubblicati, la sterminata erudizione, i numerosi e prestigiosi ruoli accademici e le valorosissime collaborazioni.
E’ lì per formarmi, educarmi, curarmi.
Ma che malattia avrò mai?
Vie
C’è anche la via del diamante, buddhismo che scorge nel corpo di tutti gli esseri senzienti la natura buddhica adamantina, sole di cristallo purtroppo oscurato dalle nuvole dei pensieri impuri.
Singolare che per raffigurare la somma quintessenza umana ci si rivolga all’inorganico. Forse meglio il Sacro Cuore di Gesù, almeno si muove.
Moto perpetuo
Non di rado, anarchico alla legge di equilibrio termico della termodinamica, il pensiero fluttuante nell’interazione tra persone, invece di intirizzire il valore del soggetto più ardente riscaldando unidirezionale il gelo di quello più misero, scalda tutti.
Metafisica di strada
Avrei voluto chiederlo in giro, ma per non passare più strano del necessario ho circoscritto ad amici e familiari: «Cosa tratta la metafisica?»
Numerosi non lo sapevano, qualcuno ha risposto Dio, altri l’aldilà, manco uno che abbia tirato in ballo il tangibile quotidiano al di qua, del quale la metafisica indaga l’universale fondamento (cause prime).
A ripensarci solo qualche anno fa avrei risposto come loro, anzi peggio. A parziale attenuante dell’uscita di strada l’etimologia di quel “meta” inteso come oltre invece che dentro.
La carbonara
Nulla ho fatto, non so come, ignoro il perché, eppure il cosmo c’è e anche questo apparato psicosomatico sorto spontaneo che nel sonno profondo digerisce autonomo la carbonara mentre il cuore pulsa puntuale e il pancreas secerne succhi in giusta misura e formulazione, da questo accadimento esce inesauribile pensiero da un ignoto propulsore.
Viste in presa diretta come vanno le cose il non sapere, se indagato con rigore, appare più rassicurante che preoccupante, autorizza e rassicura invece che precludere.
Sano artefatto
Se il valore estetico dell’immagine filmica poggiasse tutto sul dogma della potenza e completezza della realtà in sé nel suo naturale circostanziato fluire, la Palma d’oro se la contenderebbero le webcam meteo e di videosorveglianza.
Hoover
Anni fa una infermiera inglese del pronto soccorso, da poco conosciuta, mi notiziava di un pachistano ricoverato con severo danno al limite dell’evirazione, a seguito di appartate pratiche con aspirapolvere industriale a surrogato di poderose fauci.
“A surrogato di poderose fauci” non me l’aveva riferito limitandosi a sottintenderlo. Classe anglosassone!
La mia attenzione si era focalizzata sul paziente immaginando l’“infortunio”. Errore! Tutta da indagare era l’infermiera.
Le panche
Nel presidio ospedaliero delle Molinette il dolore te lo sedano i medici, invece per lenire la sofferenza la struttura offre la cappella cattolica e la ”Stanza del silenzio”, spazio interreligioso per “ritrovarsi col proprio spirito” così contrassegnato:
Senza badare alla miseria estetica dell’immagine evocante quella appiccicata sui cessi - qua le femmine, là i maschi, gli asessuati la facciano in ginocchio - entro nella disadorna stanza e provo a zittire la mente ma un pensiero irrompe: « Forse meglio raggiungere la cappella del Dio nostrano, là almeno avrò qualcuno da bestemmiare, che soddisfazione c’è nello sparare su una parete bianca un “porco Nulla”? »
Spedito la raggiungo, centinaia di madonne, cristi e santi tutti là per soddisfarmi. Indifferente al trionfo di culetti dei putti sfido un cristone sull’altare che risorge dal sepolcro, un quadro del ‘700 di fattura modesta però bello grande. Braccia muscolose, faccia gagliarda, in mezzo alle gambe coperto da un velo qualcosa di mastodontico, ma la sua potenza non viene da lì bensì dalle panche dove numerosi lo hanno implorato di tenere in vita la sorella schiacciata dal tram o il figlio colpito da leucemia impregnandolo così della loro fede e ingravidandolo di potenza. Che sarebbe Iddio senza l’uomo?
La salma
Di fronte ad una salma esposta ci vuole un po' di fede e fantasia per ipotizzare che quel quid senziente e pensante, prima là dentro e adesso non più, sia migrato in qualche modo sotto una qualche forma da una qualche parte, ma è forse necessaria più fede e fantasia per interpretarlo sparito definitivamente come mai esistito.
Riflessioni sul senso della vita
Ivo Nardi chiede a freddo del dolore e della felicità, della morte e dell’amore, della sofferenza, del percorso esistenziale, dell’individualismo e dell’Altro, del riconoscimento del bene e del male, dell’angoscia per l’ignoto, del senso della vita.
Nelle mille (letteralmente) risposte di cento uomini di pensiero e cultura nasce il volume Riflessioni sul senso della vita (Edizioni TLON, 2016 – pagine 296). Rispondono credenti di differenti religioni e spiritualità, atei e agnostici, artisti, filosofi, psicologi, scienziati, docenti e scrittori, tra questi Dacia Maraini, Umberto Galimberti, Moni Ovadia, Massimo Cacciari, Corrado Augias, il cardinale Ersilio Tonini, Giorgio Faletti, Piergiorgio Odifreddi, Luis Sepúlveda, Margherita Hack, Gabriele La Porta, Erri De Luca.
Siccome, qui e ovunque, ogni domanda contiene se non una risposta perlomeno una direzione, lo svolgersi del libro appare caratterizzato da un approccio esistenzialista, lontano da razionalismi e idealismi. Risposte che Nardi ha raccolto intervistando gli interessati dal 2009 al 2014, interventi talvolta sinergici e complementari tra loro, talora in antagonismo, con taglio autobiografico o accademico, risposte fluttuanti o precettistiche, poetiche o tecniche, folgoranti o di sottile umorismo. Eterogeneità di metodo, merito, stile, che potrebbero procurare nel lettore, se passivo, l’impressione di un paciugo. Il punto è che il libro invita il lettore ad autorizzarsi regista e coautore rispondendo in presa diretta alle domande, stimolato dalle risposte dei compagni di viaggio. Con qualche coautore si sentirà da subito amico di pensiero e percorso, con qualcun altro meno, condizione quest’ultima che potrà rivelarsi inaspettatamente proficua: non di rado serve di più riflettere su una visione radicalmente altra che la conferma di una concezione acquisita, sia nell’avvicinarla rivedendo le proprie posizione che nel prenderne legittima e motivata distanza.