Avevo chiesto agli amici musicologi, musicisti, musichieri, musicografi, musicomani e rockettari, qual è il punto preciso dove un rumore diventa suono e viceversa.
I più avevano sostenuto che decide il soggetto che crea, esegue, o ascolta vibrazioni sonore - da uno Stradivari in azione a una pressa dell’Ilva – interpretandole suoni oppure rumori, giudizio determinato da specifici gradi di sensibilità del singolo individuo che assonano simpatetici (piacere) o non assonano (indifferenza o fastidio) con le vibrazioni sonore che ascolta.
Ma c’è un altro termine che gli amici hanno messo in campo, è quello di melodia dove le vibrazioni prodotte da un qualsiasi corpo permangono rumori se emesse a capocchia e suoni se invece in successione, altezza e durata sensata. Un bel problema, in quanto tale estetica normata potrebbe essere evento oggettivo che precede la nostra percezione giudicante soggettiva. Non sto affermando che esista la musica delle Alte Sfere, ma forse qualcosa che gli assomiglia sì.
Gianni Rotondo musicista e psicologo chiarisce l’intuizione:
«Esiste il suono-rumore all’origine di tutto, il famoso Verbo…, in ordine di apparizione ed evoluzione "cerebrale" (nella specie uomo) : il ritmo e poi la melodia. E siccome una sola nota, scomposta attraverso un oscilloscopio rivela la presenza di diversi armonici o ipertoni ecco che l’armonia (gli accordi) è già inclusa nella melodia.»
“Già inclusa” ovvero l’oggetto della musica è lo stesso Principio cosmico come già affermavano i Pitagorici e Platone, manifestazione dell’energia che muove atomi e galassie. Se le cose stanno così una sola nota può “mostrare” l’essenza dell’universo più dei microscopi e telescopi.