Perché tante stelle? Perché tanta sofferenza? Avevo sedici anni e non stavo bene, ma la salvezza era lì nella piazza del paese. Un gruppo di ragazzi che parlavano davanti al bar. Li ho incontrati per caso e sono rimasto con loro. Mi piaceva la compagnia, mi sentivo importante nell'appartenere, così quando mi hanno invitato agli esercizi spirituali li ho seguiti. Gli esercizi li teneva il Vecchio. Un prete coi coglioni. Carismatico. Probabilmente quell'uomo aveva incontrato qualcosa di eccezionale. Comunicava un qualcosa di tremendamente importante, un quid di una bellezza impensabile e mi ha catturato. In tre ore mi era sembrato di aver compreso, di aver trovato la sintesi, l'avvaloramento e la risposta a quel desiderio indefinito di infinito che mi perseguitava. Una boccata di ossigeno da quel nocciolo amaro, da quell'essenza di un mondo riconosciuto pieno di dolore. Mi sembrava di aver trovato nell'esistenza qualcosa che è impossibile trovarvi: la pacificazione definitiva dal tormento. Forse ero davvero felice. Avevo trovato un senso. Avevo compreso chi ero. E certo, mica bisognava trovare con sforzo immane una risposta al perché delle stelle e della sofferenza. No. La risposta era già lì. La risposta è un avvenimento. Il soprannaturale che diventa una cosa fisica, entra nella storia e la divide in prima e dopo. Tu sei lì spacciato per nascita, piombato in ‘sto posto strano senza averlo chiesto, vittima di una forza cieca, di un'energia incausata, sei lì venuto dal nulla e destinato al nulla, senza un perché e senza uno scopo, sei lì che soffri e non sai nemmeno il perché. Nato senza averlo chiesto, forse precipitato in un ventre materno per un attimo di distrazione. Sei lì terribilmente solo perché non capisci come mai quasi tutti gli altri, chissà perché, sembrano sereni d'esistere per il semplice fatto che ci sono. Mentre le galassie si espandono "Sta vincendo l'Inter?" "Due a zero fuori casa" e sono felici. Una partita a briscola, le ultime notizie del telegiornale e se ne fottono che dobbiamo morire ed io lì in un angolo che non li capisco, ma all'improvviso la grazia. Dall'altro mondo arriva uno che ti spiega e che ti risolve tutto, che ti tira fuori da questa situazione assurda e rimane lì a farti compagnia. Si, un Dio incarnato che finalmente ti comprende davvero, vivo in quella compagnia che parlotta davanti al bar. Dai non male.
Il Vecchio l'aveva spiegato: "Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: "Ecco l'agnello di Dio!". E i due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, vedendo che lo seguivano, disse: "Che cercate?". Gli risposero: "Rabbì (che significa maestro), dove abiti?". Disse loro: "Venite e vedrete". Andarono dunque e videro dove abitava e quel giorno si fermarono presso di Lui; erano circa le quattro del pomeriggio»
Era un uomo davanti ai loro occhi alle quattro del pomeriggio. Era una cosa che stava succedendo non un discorso, non un'etica astratta. Era un fatto. Un'esperienza umana affascinante.
Altro che roba di duemila anni fa, qui si parla di quello che è successo, proprio a me, circa alle venti davanti al bar della piazza, proprio come aveva spiegato il Vecchio. Quell'avvenimento di duemila anni fa continuava perché il Dio incarnato ha consegnato il suo potere ai suoi amici e i suoi amici ai loro amici di generazione in generazione senza interruzione, fino a quelli lì davanti al bar.
Non sono stato troppo a pensarci sopra, a crederci o a non crederci perché per capire se il vino è buono non devi fare considerazioni ma lo devi bere. Se vuoi comprendere se quella compagnia è una cosa così speciale, una cosa che risponde davvero ai tuoi bisogni umani, a quella ragionevole urgenza di trovare un senso, la devi seguire ed io l'ho fatto. Ma fatto sul serio. E' stato facile. Ho chiesto cosa e come dovevo fare e mi hanno risposto: "Obbedisci e segui la compagnia, tutto qui". Un po' poco, un po' bizzarro. Ma perché non verificare? Perché ostacolare con pregiudizi intellettuali ciò che vedevo concretamente possibile? Perché precludermi la possibilità di una pienezza che per gli altri del gruppo sembrava esserci? Più che ragionevole provare. E' un approccio precettistico alla portata di tutti. Invece di diventar matto per emanciparti dalla sofferenza, invece che tentar di trovare un senso, senza saper da che parte cominciare come il tentare di montare un comodino dell'Ikea senza indicazioni, invece di brancolare nel buio per poi ritrovarti smarrito e alienato, tu per vivere quell'esperienza dell'altro mondo, emancipandoti da quella un po' meste e insensata di questo, basta che prendi il foglietto d'istruzione, che sono i precetti della tradizione ecclesiastica e ti attieni, insieme al gruppo, a quanto indicato. Il Vecchio spiegava bene: quella cosa che sfida il tempo si chiama Chiesa, e la consegna del potere di generazione in generazione si chiama tradizione.
La tradizione della Chiesa mi spiegava Dio. Si trattava di cose complicate, che sentivo più grandi di me e che fingevo di comprendere e così mi approcciavo a quelle cose banalizzandole un po'. Semplificando afferravo meglio. Mi era sembrato di capire che Colui che è prima di tutto e che ha fatto tutto ad un certo punto ha preso un corpo. Eccomi sono qui. Sono io. Non mi sono mai chiesto come mai gli era saltato in mente di inventarsi l'universo con tutto quello che c'è dentro. Queste sono domande che si fanno i mortali. Comunque Lui ha spiegato lo stesso, premettendo che tutte le cose non le ha fatte da solo ma assieme a suo Padre. Non che volesse scaricare le colpe sul papà, tutt'altro perché ha subito chiarito che Lui e il Padre sono una cosa sola, però ha anche detto che sono, nel contempo, anche due cose separate, anzi tre, perché l'amore che ha il Padre per Lui e viceversa è ancora un Altro non-Altro che si chiama Spirito Santo. Se ci credi sei salvo se non ci credi sei fottuto. Le scritture antiche spiegano tutto, Loro tre all'inizio hanno fatto le cose per bene ma noi abbiamo rovinato tutto. La macchia d'inchiostro che abbiamo fatto cadere sull'immenso foglio immacolato si chiama peccato originale. Colpa mia. Colpa tua. Quindi Iddio si è incarnato nella storia e si è cruentemente sacrificato per aggiustare i danni da noi procurati.
Non mi ricordo quando ho rovinato tutto, ma se lo dice la Chiesa lo dice Lui, e poi non è male sapere che sono fin dall'inizio dei tempi e tanto potente da danneggiare il cosmo. Ma perché quando mi ha creato non ha fatto in modo che non facessi danni? Come Dio poteva agilmente inventarsela una libertà che non consentisse il male così non avrebbe versato il suo preziosissimo sangue. Dalle scritture non si capisce molto. Dicono che sono stato fatto a sua immagine e somiglianza. Se le cose fossero così anche Lui è uno che sbaglia come me, ma siccome Lui è Dio e non sbaglia mai le cose si complicano così rimanevo confuso, ma per fortuna Dio presente nella storia per mezzo della Chiesa mi spiegava tutto. Nel catechismo, che è il manuale d'istruzione per queste cose, c'è scritto che ci ha creati liberi con tutti i rischi del caso. Che lo abbia fatto per non annoiarsi? Se fossimo stati prevedibili che gusto c'era? Ciò che vi è di divino nell'uomo è proprio la libertà, ma se non dipendi da Lui si arrabbia, perché esige dall'uomo un amore libero. Se ci ragioni sopra la faccenda appare complicata ma se ci credi diventa semplice.
Ricapitolando, un Dio un po' antropomorfo, il Dio o Iddio, uno e trino nello stesso tempo, ha creato prima l'universo, poi noi. Per essere precisi non è proprio così in quanto, dei tre, il Padre sembra che si sia impegnato un po' più più degli altri due nella creazione dell'universo e poi dell'uomo, inoltre per essere davvero esatti non è che si possa dire prima l'universo e dopo l'uomo, in quanto eravamo in Lui ancor prima dell'inizio dei tempi, di Lui noi siamo la stirpe.
Ma come si può dire "ancor prima" se il tempo non esisteva? Quando non si può capire si utilizza l'espressione "Mistero" e tutto ridiventa congruo, logico e razionale. Accettare il mistero significa più o meno by-passare la mente, allargare gli orizzonti. In ogni caso non è un mistero che poi noi abbiamo rovinato tutto, allora Lui è diventato uno di noi per ripristinare l'ordine primordiale. Se ci crediamo e lo seguiamo l'ordine sarà ristabilito, quindi per aiutarci e nel contempo per controllare se ci crediamo e lo seguiamo Lui, dopo che si è incarnato non è andato più via, ma è rimasto attraverso la Chiesa che è Lui nella storia. Il passaggio da Lui alla Chiesa, che è Lui nel tempo, sembra complicato ma è davvero semplice. Gesù ha chiesto ai suoi discepoli per tre volte: "Voi chi dite che io sia?" Uno di loro, Simone, ha risposto "Tu sei il Cristo" cioè il Messia, da quel momento Gesù lo ha chiamato Pietro e lo ha scelto a rappresentarlo nella storia.
Pietro prima di morire ha dato la consegna a un altro amico e così via, senza soluzione di continuità, per duemila anni fino ad oggi.
Gesù era falegname, Pietro pescatore, l'ultimo della catena Joseph Ratzinger è Papa. Pietro era sposato, Joseph celibe.
Quando Gesù è morto, non l'ha fatto come facciamo noi. Lui è morto sacrificandosi per rimettere a posto l'ancestrale danno da noi provocato e poi è risorto e alla fine il suo corpo è asceso in cielo. Dalla morte alla resurrezione ci ha messo tre giorni. In quel lasso di tempo è disceso agli inferi, ma non col corpo fisico, che doveva ancora risorgere, ma con un altro corpo di natura non specificata. Gli inferi sono uno stato e anche un posto, forse sottoterra, dove non si sta bene ma se ci vai hai il vantaggio che diventi immortale. Dopo esser sceso agli inferi, per aiutare le anime là confinate, è risorto col corpo fisico ed ha vagato sulla terra comparendo di tanto in tanto qua e là, poi col corpo fisico è asceso al cielo. Per capire mi inventavo delle immagini banali ma, per me, utili alla comprensione. Pensavo che asceso non significasse che è volato in cielo come risucchiato da un enorme aspirapolvere, semmai quella è l'assunzione della Madonna. Tecnicamente asceso significa che è salito al cielo con forze proprie tipo Apollo 13, mentre assunto vuol dire che qualcuno ha favorito la salita tramite manovre combinate e sincrone: aspirazioni dall'alto e spinte dal basso. L'iconografia classica mi dava ragione in quanto la Madonna sale al cielo spinta da putti, mentre Lui fa tutto da solo, ma l'argomento merita una trattazione a parte. Asceso e non assunto dunque, significa che il suo corpo fisico è entrato nella struttura profonda della materia, si è sciolto in tutto, così almeno affermano le avanguardie teologiche più illuminate, si perché le sacre scritture non vanno prese sempre alla lettera. La Chiesa spiega che talvolta vengono descritte verità profonde in forma allegorica e simbolica. Invece altre volte le scritture vanno prese alla lettera. Lo decide la tradizione. Le sacre scritture, la parole di Dio mica puoi leggerle, interpretarle e capirle da solo. Sbaglieresti. La parola è viva e vera solo se vissuta e vivificata all'interno della tradizione ecclesiastica.
La Sacra Scrittura deve essere letta e interpretata con l'aiuto di uno dei tre, lo Spirito Santo e sotto la guida del Magistero della Chiesa, secondo tre criteri precisissimi:
1) attenzione al contenuto e all'unità di tutta la Scrittura;
2) lettura della Scrittura nella Tradizione viva della Chiesa;
3) rispetto dell'analogia della fede, cioè della coesione delle verità della fede tra di loro. Come in un puzzle queste cose misteriose si devono incastrare per bene senza forzature e senza lasciare buchi.
L'interpretazione autentica di tale deposito compete al solo Magistero vivente della Chiesa, e cioè al Successore di Pietro, il Vescovo di Roma o Papa, e ai Vescovi in comunione con Lui.
Il canone delle Scritture è l'elenco completo degli scritti sacri, che la tradizione apostolica ha fatto discernere alla Chiesa. Tale canone comprende 46 scritti dell' Antico Testamento e 27 del Nuovo, né uno di più né uno di meno.
Facile no? 46+27 =73 testi da interpretare e vivere attraverso 3 indicazioni metodologiche date dal Magistero e fai bingo. Ma il bello deve ancora arrivare. Se talvolta equivochi o non ci credi più tanto, oppure non segui i suoi precetti, Lui attraverso la sua Chiesa ti perdona. Per farti perdonare devi entrare in una chiesa; il fabbricato dove abita Dio. Là vedrai un grande armadio. Se sei fortunato ne troverai più di uno. Se un prete, che è il ministro di Dio, entra nell'armadio tu rapido chiuditi dentro con Lui. Quando uscirai sarai un uomo nuovo. Pulito da ogni colpa. Facile no? Si chiama sacramento e vuol dire che Dio arriva attraverso la Chiesa e ti fa delle cose molto buone. Ce ne sono di vari tipi. Uno per quando nasci a base di acqua che ti pulisce dal peccato originale. Se muori senza che ti sia amministrato rimani in debito per sempre e vai nel limbo. Sembra il nome di un ballo sud americano invece è un posto dove si rimane in eterno tutti lì fermi, bloccati. Ci vengono confinati tutti quelli non smacchiati del peccato originale, anche se si sono comportati bene in vita. Dai neonati morti prematuramente, senza avere il tempo di compiere neanche un peccato personale, ai vecchi nati e morti prima dell'arrivo del battesimo. Centinaia di miliardi tutti lì ammassati. Moltitudini di popoli di disparate etnie, che sfavoriti dalla sorte non hanno conosciuto il cristianesimo, come i più fortunati nativi amerindiani colonizzati e battezzati tempestivamente. Forse è per esigenze logistiche che recenti direttive ecclesiastiche vogliono eliminare il limbo. Nel catechismo non se ne parla più in quanto la Chiesa, nella sua onnipotenza, decide per Dio e per gli uomini e così auto rettifica quanto aveva precedentemente proclamato per conformare le leggi del Dio immutabile all'umano divenire. Tuttavia la teologia dice che oltre ad essere un luogo il limbo è anche uno stato. In tal caso, in quanto luogo non luogo, non ci sarebbero problemi di sovraffollamento e potrebbero conservarlo. In fondo, a parte la ressa e l'assenza di cristiani, è un posto accettabile dove puoi incontrare gente interessante.
Memorie di un ex monaco fine parte prima
Memorie di un ex monaco parte seconda
L'ARMADIO PURIFICATORE
Il limbo non c'è più ma è rimasto il purgatorio. Lì, dopo la morte, ci vanno alcune persone per essere, come in una lavanderia, ulteriormente purificate prima di andare in cielo.
Poi ci sono altri sacramenti. Uno dove mangi Dio che è il più importante. Un altro per quando ti sposi, uno per quando muori a base di olio e altri per situazioni speciali. Quello dell'armadio è per quando sbagli. Quando sei dentro l'armadio ti puoi trovare davanti un prete grasso e vecchio, oppure bello e giovane, con la barba oppure i baffi, buono o cattivo. Non devi prestare attenzione alcuna a tutte queste cose, perché sacramento significa che il prete in quel momento è Iddio stesso. Tu gli enumeri i peccati e Dio attraverso il suo ministro, che è il prete, ti perdona anche se sei un serial killer. Più facile di così. Certo devi anche manifestare la sincera intenzione di non sbagliare più, almeno per un po', però "almeno per un po'" devi cacciarlo via dalla mente ed avere il proposito di non sbagliare mai più, anche se forse sbaglierai ancora. La magia purificatrice dell'armadio, che perdona ad oltranza, è piaciuta così tanto che il metodo è entrato in profondità nei cromosomi degli italiani, financo nel genoma dei non credenti ed ha ispirato il modo di fare politica, finanza, sentenze giuridiche, tassazioni e tributi, relazioni sociali e amicali, normative e morale. Attenzione però. Se ti sposi col sacramento del matrimonio e poi il partner ti molla e tu te ne cerchi un altro e ci vai a letto sei out per sempre. Nelle nelle scritture canoniche è scritto: che l'uomo non può separare ciò che Dio ha unito. A differenza del serial killer infrangeresti un sacramento di Dio e gli ecclesiastici, che amministrano le Sue cose, ti negherebbero di accostarti ad ogni sacramento. Mai più potrai entrare nell'armadio. La faccenda è seria. Senza il perdono avrai tragiche ripercussioni per l'eternità. Considerato il rischio alcune migliaia di soggetti onesti, intelligenti, colti e sensibili che, fallito il matrimonio religioso, convivono con un nuovo partner sono addolorati e tormentati per la faccenda più del serial killer perdonato dalla Chiesa e condannato dagli uomini solo fino a che campa. A differenza delle sentenze ecclesiastiche Il "fine pena mai" dei tribunali terreni alla fine è un modo di dire, applicabile unicamente fino a che hai il corpo vivo. Tuttavia esiste un'ultima scappatoia per liberarti dall'angoscia ed essere riconciliato. Se dimostri che il tuo matrimonio era, in qualche modo, viziato puoi rivolgerti a dei tribunali ecclesiastici dove i prelati, che sono Dio nella storia, per un costo medio di trentamila euro possono viaggiare nel tempo per aggiustare la faccenda. Vanno nel passato e ti cancellano il matrimonio andato storto. Cancellare vuol dire che entrano in un segmento passato di tempo ed estraggono chirurgicamente delle cose che ci sono successe dentro e le fanno sparire. Così il matrimonio andato storto non è mai accaduto e l'uomo non divide più quello che Dio ha unito anche se hai cambiato partner. Le verità della fede rimangono coese tra di loro. Il puzzle di queste cose misteriose che si devono incastrare per bene, senza forzature e senza lasciare buchi permane illibato. I tribunali civili italiani, incompetenti a viaggiare nel tempo, ma fiduciose dell'operato dei colleghi ecclesiastici avallano l'operazione e così, talvolta, non devi pagare neppure gli alimenti in quanto un matrimonio che non c'è mai stato non procura conseguenze. Oltre alla vita eterna, con quello che risparmi dal non pagare gli alimenti, recuperi anche i trentamila euro che ti è costata la causa. La dissolvenza sempiterna di un matrimonio storicamente accaduto è però rischiosa in quanto anche i figli nati da quella relazione potrebbero volatilizzarsi. Fortunatamente gli operatori dei tribunali divini sono abili professionisti e riescono, di solito, a far permanere nello spazio-tempo la prole nata da un'unione mai accaduta. Oltre ai divorziati anche gli omosessuali potrebbero avere problemi nell'accostarsi ai sacramenti a meno che, in spontanea letizia, siano casti o si comportino da eterosessuali.
Quindi i pilastri della Chiesa sono due. Uno è la parola, i libri dell'antico e nuovo testamento, l'altro è la tradizione della Chiesa che permette alla parola di diventare viva, vigilando sulla sua autenticità. La parola morta gramma si vivifica grazie allo spirito pneuma presente nel magistero. Pneuma è facile da ricordare è come il pneumatico della tua automobile e se vivi la parola obbedendo alla tradizione hai sempre le gomme con la pressione ottimale ed è fatta. Non importa se ignori ermeneutica ed esegesi, se non conosci l'aramaico e neppure il latino, basta obbedire. Davvero semplice.
Se Dio è entrato nella storia e si manifesta nella Chiesa, ed io ho incontrato quel pezzo di Chiesa specifico, con dei responsabili specifici, mica ho pensato se dicevano cose giuste o sbagliate. A me interessava solo che, facendo quello che loro mi dicevano, io facevo la volontà di Quello che ha creato l'universo. Obbedire era l'atto più intelligente e razionale che potessi fare. Obbedire. Tutto qui. Così invece di farmi la fidanzata mi son fatto monaco. Ho rinunciato a contemplare i tacchi a spillo di una femmina per baciare i piedi della madonna. Ho detto al Vecchio che intendevo fare sul serio e lui mi ha indicato di entrare nel gruppo di monaci da lui condotto ed io l'ho fatto. Da quel giorno non li ho più visti quelli davanti al bar, in quanto Dio mi aveva chiamato a grandi cose. Non ho mai visto per davvero i piedi della madonna. In qualche immagine si intravede di lei un qualcosa di scoperto. Un seno che allatta o un calcagno femminile che schiaccia la testa del serpente. Che schiaccia la testa del diavolo. Il diavolo fa una espressione strana. Non si capisce se gode o se soffre. Però di solito non si vedono i piedi della madonna perché ha una veste lunga fino al pavimento di colore celeste chiaro. Forse i piedi la madonna non ce l'ha. Forse sotto le ginocchia le gambe si interrompono e diventano eteree. Forse le caviglie sono rarefatte, assolutamente spirituali e per spostarsi Iddio, nascosta sotto la lunga gonna turchese, l'ha provvista di una nuvoletta. Un mini hovercraft che le permette di deambulare rasoterra. Chissà se Gesù ha riso nei suoi trentatré anni di transito terrestre? Forse una volta. Da bambino. Quando ha succhiato il latte per la prima volta. Ma come ha fatto la Madonna ad avere il latte se era vergine? Non è plausibile che l'ipofisi immacolata abbia prodotto prolattina a sufficienza. Forse si è prodotto un latte scrematissimo, verginale. E il bambino? Ha forse corso il rischio di morire di fame. A meno che abbia avuto un corpo di costituzione angelica. Oppure che come integratore della secrezione materna abbia succhiato latte di asina o di mucca, ma in tal caso avrebbe ereditato una parentela biologica con i bovini. Roba da eretici. Però la versione ufficiale dice che c'erano un bue ed un asino nella grotta a Betlemme, vuoi vedere che erano una mucca e un'asina a cui poi hanno cambiato il sesso per nascondere la verità? Davvero un pasticcio essere figli di Dio e nascere da una donna, ma per fortuna il Vecchio aveva le idee chiare e mi ha motivato bene quanto fosse opportuna e urgente una mia dedizione totale a Dio; come i monaci benedettini dopo le invasioni e stragi barbariche hanno ricostruito l'Europa civile, io come monaco avrei contribuito alla rinascita della civiltà e poco mi importava se erano gli anni settanta e non avevo mai incontrato un ostrogoto. Forse i barbari erano quelli delle Brigate Rosse? O tutti quelli di sinistra? Non lo so. Comunque a diciannove anni ho lasciato i miei genitori e ho fatto il noviziato. Due anni. Il noviziato è la preparazione per diventare monaco. L'indicazione del Vecchio di farmi monaco era stata precisa, univoca, assoluta e potente, ma durante il noviziato il Direttivo di tanto in tanto faceva in modo di farmi cambiare idea. Se mi veniva la febbre a quaranta e non potevo recarmi all'incontro del sabato e non riuscivo ad avvisare in anticipo della mia assenza, venivo immediatamente radiato dal noviziato. Il metodo era applicato a tutti i novizi, come ai tempi di San Benedetto al postulante non era concesso di entrare facilmente in monastero; doveva preservare nella sua richiesta per un certo periodo prima che le porte gli venissero aperte.
Ma siccome l'indicazione avuta all'inizio dal Vecchio, di entrare nel gruppo monastico, era stata inequivocabile, ferma e forte e per me la voce del Vecchio era quella di Dio presente nella storia, succedeva che più venivo allontanato e più mendicavo ferocemente di voler essere riammesso, così alla fine mi è stato concesso di entrare. Ho fatto promessa di povertà, obbedienza e castità davanti a tutta la comunità e sono diventato monaco vero. La promessa pubblica che ti comporterai fino alla morte in un certo modo è un supporto psicologico. E' come se vuoi smettere di fumare e per aiutarti a smettere comunichi le tue intenzioni ai cugini, agli zii e a tutti gli amici, così poi per non fare brutta figura di fronte agli altri non fumi più anche se ti viene voglia. A volte aiuta perché il non perdere la faccia, insomma l'orgoglio, può essere più forte del possedere e della libertà. Non è più forte della libido di un ventenne, tuttavia se ti capitasse di sbagliare puoi sempre risolvere la cosa nell'armadio.
La comunità monastica era ispirata alla regola di San Benedetto e formata da piccoli nuclei di otto, dieci elementi dislocati prevalentemente in anonimi appartamenti metropolitani. Era il modello di quegli anni, non so se le bande armate avessero copiato noi o noi loro. Fedeli al "ora et labora", che metodologicamente significa prega lavorando e lavora pregando, si lavorava all'esterno della casa facendo i lavori che fanno tutti. Nessuna veste particolare, nessun distintivo. All'interno di ogni casa un responsabile: il capo casa. A coordinare le case un Direttivo guidato da un abate: il Vecchio. Detto così sembra una confessione di Buscetta, ma non trovo altro modo per spiegare la struttura dell'organizzazione.
La povertà consisteva nel non possedere nulla di proprio, in quanto proprietà è un'estensione della personalità. Lo dice anche "Il Bolscevico", il quotidiano maoista che leggeva mio figlio. La rinuncia a possedere materialmente, a livello personale, era un atto di rinuncia a se stessi che il vangelo comanda a coloro che cercano la perfezione cristiana, ma siccome la regola diceva, che bisognava lavorare nel mondo, il profitto derivante dal lavoro lo si versava interamente nelle cassa comune, così personalmente si rimaneva poveri. Quanto versato nella cassa comune serviva per le spese generali della casa e il vitto, il settanta per cento che avanzava veniva devoluto al Direttivo. C'era un piccolo budget per le spese personali che, siccome era concesso fumare, io spendevo in sigari. Toscani extravecchi.
L'obbedienza era il senso stesso della vocazione. Il compito primario era di annientare il primitivo atto di disobbedienza dell'uomo alla volontà divina, la macchia sul foglio immacolato, modellando se stessi su Cristo, che fu obbediente a suo Padre fino alla morte. La vita monastica iniziava quindi con l'intenzione di rinunciare al proprio volere e di porre se stessi sotto il volere di un uomo, un superiore che rappresentava la persona di Cristo stesso. Una autocrazia paterna.
La castità, che noi chiamavamo verginità non era solo una cosa fisica, ma il riconoscere di non appartenersi più. Era l'offerta. Offerta non significa che io prendo una cosa e la do a Dio, visto che Lui ha già tutto queste sono cose che pensano i neofiti e i cattolici della domenica, oltre ad alcune suorine che invece di prendersi un analgesico offrono sistematicamente la sofferenza dell'emicrania cronica a Dio, come se già non avesse abbastanza problemi, per chiedergli di trasformarla in un flusso di energia positiva da inviare nel sud est asiatico ad un missionario in difficoltà così che venga aiutato. Magari funziona. Tuttavia nel nostro gruppo monastico l'offerta era il riconoscere e l'accettare che ciò che accade, qualunque cosa accada, è la volontà di Dio. L'offerta è accettazione sostenuta dal giudizio di valore: valgo più io o la volontà di Dio? Ovvero valgo più io o la Chiesa? Più precisamente, valgo più io o il pezzo di Chiesa che ho incontrato? Che vuol dire, valgo più io o il capo casa? Vale di più Dio incarnato di me, questo è il giudizio di valore, questo è il fatto in base al quale classificare tutte le cose, dunque la mia più grande e totale libertà era obbedire sempre e illimitatamente al capo casa. E se il capo casa dava indicazioni sbagliate? Non importa, anzi meglio. In quanto si obbedisce non tanto perché così si fanno le cose giuste, ma perché l'unica cosa giusta è l'emanciparsi dall'ego, liberarsi da se stessi e questo lo si ottiene celermente obbedendo ad un altro. Davvero logico.
Il carisma sono le doti e le caratteristiche peculiari di un gruppo o di un singolo all'interno della Chiesa, donate da Dio per il bene comune. Pertanto se un monaco laico di basso grado nella gerarchia fa il meccanico e al suo superiore si guasta l'auto, il superiore può chiedere estemporaneamente consiglio al subalterno senza rompere il meccanismo dell'obbedienza e così tiri avanti senza infamia e senza lode, ma se sei fortunato e per grazia divina ti becchi un capo casa sistematicamente arrogante con i subalterni e afflitto da complesso di superiorità, come quello che avevo io, l'opportunità di emanciparti celermente dall'ego diventa davvero rapida e certa in quanto qualsiasi cosa farai, qualsiasi cosa risponderai e qualsiasi cosa proporrai di quanto ben conosci e padroneggi sarà in ogni caso metodicamente denigrata dal superiore. Al riguardo facevo delle prove e simulazioni interessanti. Quanto mi beccavo una latrata ne prendevo nota e il giorno dopo nella medesima situazione, provavo a comportarmi con il superiore in modo opposto. La latrata arrivava identica e puntuale come quella del giorno precedente. Stesso tono, stesse parole, medesimo volume della voce. La faccenda incominciava ad appassionarmi, così ho indagato a fondo e con scrupolo provando, giorno per giorno, decine e decine di comportamenti diversi nello stesso contesto, proponevo tutte le variabili di cui ero capace e regolarmente il feedback del capo era l'identica latrata. indipendentemente da quanto dicevo, facevo, avvertivo, indipendentemente dal significato che attribuivo alle situazioni, i miei sentimenti, pensieri e messaggi venivano spogliati di validità. Alla fine dell'esperimento ho compreso quanto fossero per me vantaggiosi i modi di fare del capo casa, che con la sua mirabile costanza nel massacro sistematico mi permetteva in quell'olocausto provinciale di non attaccarmi alla logica, alla coerenza e al buon senso, infidi alibi per non emanciparmi dall'egoiga personalità. Una dipendenza ontologica. Io non esistevo. Dipendevo dall'altro per esistere. Non venendomi riconosciuto alcun significato, alcun peso, alcuna importanza e alcuna rilevanza personale, io non ero, ma potevo essere se ero l'altro. Obbedendo con tutto me stesso al priore brianzolo, il Cristo vivo nella storia, "non ero più io che vivevo, ma Cristo in me", come esorta San Paolo.
Memorie di un ex monaco fine parte seconda
memorie di un ex monaco parte terza
LA RANA DI GALVANI
Ma allora l'obbedienza castra il carisma personale, soffoca i doni peculiari che Dio concede al singolo? Per nulla. L'apparente conflitto veniva superato non considerando il carisma del singolo all'interno del gruppo monastico ma enfatizzando il carisma del gruppo all'interno della Chiesa: i Francescani vivono la povertà non frate francescano Caio, i Domenicani la teologia non frate domenicano Tizio e così via. Era il metodo più sicuro in quanto è problematico diagnosticare se una capacità personale è un dono divino o una espressione narcisistica dell'ego. Se un novizio, per grazia divina, sa fare bene il meccanico e la macchina del priore non parte il subalterno può estemporaneamente intervenire per dare indicazione al superiore, ma metti che Dio si alzi una mattina di buon umore e incurante di vescovi, cardinali e priori conceda al novizio, oltre alle competenze meccaniche, doti soprannaturali come la virtù profetica, l'infallibilità, il parlare in lingue diverse e cose simili. Ci troveremmo in una situazione alquanto pericolosa, in quanto il carisma personale andrebbe in conflitto con l'obbedienza alla gerarchia. Un conflitto Dio-Chiesa inammissibile, evidentemente eretico. Quindi assolutamente opportuno considerare unicamente il carisma del gruppo all'interno della Chiesa, ignorando quello del singolo all'interno del gruppo.
Santa Teresa del Bambin Gesù è diventata santa non perché gli appariva Gesù bambino, ma perché ha sempre obbedito ad una perfida badessa, raggiungendo così una totale emancipazione da se stessa. Ha ripudiato l'insidiosissima mistica soggettiva, usata dal diavolo per gonfiare l'ego e far cadere giganti dello spirito, per abbracciare la mistica oggettiva dell'obbedienza a quel pezzo di Chiesa che ha incontrato: la perfida badessa.
Però il Vecchio, nel contempo, indicava di non obbedire acriticamente, ma piuttosto di far proprie le ragioni dell'autorità da cui l'informazione di fondo doveva essere individuata, accolta e consapevolmente ri-eseguita. Per obbedire quindi non bastava l'accondiscendenza, l'accettazione e neppure l'identificazione con il superiore, ma si esigeva interiorizzazione: l'appropriarsi dei contenuti, dei giudizi e delle opinioni dell'autorità per farle diventare intimamente proprie sentendone il valore. Talvolta non comprendevo nei modi di fare e nei deliri semantici le ragioni di fondo dell'autorità, oppure mi sembrava che le indicazioni del capo casa fossero motivate da personali frustrazioni, malesseri speciali, ripicche, scompensi ormonali e insicurezze quindi, per non dar di testa, preferivo optare per l'obbedienza acritica stile Santa Teresa.
Riguardo la castità fisica il motivo era molto semplice: l'imitazione del Dio incarnato. Siccome la tradizione garantisce che Lui non si è sposato e non ha fatto sesso noi facciamo proprio come Lui. Un voler emulare il leader, tutto qui.
Poco si parlava del discorso escatologico, del paradiso, di quelle cose che succedono dopo che sei morto. Quello che importava era l'esperienza concreta di ogni giorno, del qui e ora. Facce, momenti e luoghi precisi. Quello che importava era ricordarsi ad oltranza del Dio incarnato nella storia attraverso la sua Chiesa. Quello che importava era la memoria. La memoria dell'avvenimento. Memoria non significa ricordarsi di una cosa successa nel passato, ma vedere che quella cosa è lì presente materialmente nel qui e ora. Per contattare la presenza del Dio incarnato, morto, risorto e che si è sciolto in tutto dovevo obbedire al capo casa, un ragioniere brianzolo alto con labbra grandi. Miope. La mattina quando si svegliava dopo le lodi, che sono le preghiere del mattino, prima di bere il caffè, si ricreava appoggiando il suo pollice destro sull'occhio del primo subalterno che gli capitava schiacciando con forza. A me faceva male ma a lui piaceva. Io sopportavo perché, siccome lui era per me Dio, la pratica della pressione oculare, in qualche modo, faceva parte della regola. Visto che al capo piaceva giocare a carte e il calcio, quando avevamo tempo libero si giocava a carte o si andava a vedere la "Domenica Sportiva" in casa dei suoi genitori. Non ero entusiasta, ma era sempre meglio di un dito nell'occhio e poi come dire di no alla presenza storica di Dio nella mia vita? Non era una persona cattiva, solo che gli piaceva di tanto in tanto insultare i subalterni e schiacciargli gli occhi. Sono più di trent'anni che non lo incontro, ma proprio ieri ho letto di Lui su "Repubblica" . Il ragioniere brianzolo, alto con grandi labbra e miope, che era il mio priore, a dire di un pubblico ministero, ha negato l'innegabile quando interrogato ha risposto: "Non ho alcun conto in Svizzera con la denominazione Paiolo, ne sono beneficiario economico di altri conti esteri". Agli atti, invece, risulta una rogatoria che lo indica cotitolare di "un conto societario aperto a Vaduz". Non si trova, quindi, nei guai per aver schiacciato gli occhi ad un novizio, ma per l'inchiesta "Oil for food", roba di consulenze pilotate, fondi neri e ipotesi di tangenti dove il mio ex priore, che attualmente collabora con il governatore della sua regione, è rimasto coinvolto. Non so se si è comportato male. So che mi avevano insegnato che obbedire a Lui era obbedire a Cristo. Per processo analogico il ragioniere brianzolo era per me Cristo. Non perché era coerente e perfetto, ma perché era quel pezzo di Chiesa, quindi di Dio, a me gerarchicamente più prossimo. La Chiesa è una puttana ma è mia madre, così si diceva. Qui abbiamo a che fare con un livello adulto della fede, con una teologia di spessore, con gente coraggiosa che non ha paura di sporcarsi le mani. La morale coincide con la sequela, con l'obbedire al Dio incarnato nella storia. Obbedire portando la Chiesa nella società con le sue contraddizioni e modi di fare, nella cultura, mica il comportarsi bene come fanno i boy scout.
Il Vecchio, quelli del direttivo, il capo casa, insomma i capi, non disponevano personalmente di denari. Il Vecchio viveva in una modesta e piccola abitazione in città. Aveva i pantaloni lisi. Anche gli altri responsabili non possedevano che l'indispensabile. Possedevano meno di quanto guadagnavano col loro lavoro nel mondo, nel mondo vuol dire nella società, in quanto la casa-monastero era una cosa dell'altro mondo, un anticipo del paradiso. Come quando si costruisce un nuovo polo commerciale e le maestranze, all'inizio dei lavori, piazzano sul cantiere dei box prefabbricati per proteggere le attrezzature e riparare i muratori, così per noi la casa-monastero era la prima unità logistica del mondo nuovo, del paradiso in terra.
Il Vecchio insegnava all'Università, lavorava come gli altri membri del direttivo. Non erano peronospore e non si impossessavano dei denari altrui. Tutto quel surplus di soldi che arrivava dagli stipendi dei monaci che lavoravano nel mondo, veniva utilizzato per ingrandire e rafforzare l'organizzazione dell'altro mondo.
C'era un prete che mi era simpatico. Parlava poco. Suonava alle porte della periferia milanese per la benedizione natalizia. Entrava e vedeva la sofferenza. Era troppa e lui, anche se si fosse svenato, poteva far ben poco. Avrebbe potuto agire a livello sociale e politico, ma conosceva bene quel sindacalista che parlava di giustizia alle masse e poi quando tornava a casa picchiava la moglie, conosceva anche quel giovane leader capo di una associazione di volontari, sapeva che si impegnava non per gli altri, ma per affermare se stesso. Doveva escogitare un altro modo per intervenire, un modo onesto e efficace, allora abbandona la parrocchia per chiudersi in un convento di clausura. Lì forse potrà, per vie segrete e misteriose, fare qualcosa per quelle cento, mille persone che conosce e per quei milioni e miliardi di persone che, anche se non conosce, sa che soffrono, ma dopo sei mesi un tumore devastante alla colonna vertebrale lo ha ucciso. Mi ricordo quando ero andato a trovarlo due settimane prima che morisse. Mi aspettavo di incontrare un Socrate sereno invece ho incontrato un uomo con dolore mal sopportato nel corpo e sofferenza nell'anima perché non voleva morire. Nella mia ingenuità da ragazzo per un momento avrei voluto essere al suo posto, per aiutarlo. La verità e che non sapevo proprio cosa fare. Il giorno prima del funerale al cadavere era cresciuta la barba. Il cuore, i polmoni e il cervello si fermano e inizia la putrefazione ma i bulbi piliferi rimangono ancora vivi. Il corpo era magrissimo, proprio come i morti di fame. E mentre un giovane gli faceva la barba per un momento mi sono sentito sereno. Un pace strana, potente, immotivata.
E' trascorso molto tempo da quella mattina che ho fatto le valigie e sono andato via. Non so se nel frattempo le cose lì siano cambiate, ho però notato che quel confratello che prima era un giovane politico, che non trovava spazio in nessun partito, oggi è il governatore della più ricca regione italiana, il fatto è tuttavia moralmente irrilevante in quanto i monaci, pur avendo accettato il voto di povertà, possiedono le cose in un modo completamente diverso, essi vivono come se non avessero niente pur possedendo tutto. I giovani preti con i quali scherzavo in semplicità adesso sono vestiti di rosso come a carnevale e portano strani copricapi. Alcuni sono vescovi, un altro cardinale che ha rischiato di diventare Papa. Chissà se con l'ingrandirsi dell'organizzazione e con il maggior potere si siano persi per strada i propositi dell'inizio. Non lo so, ma so per certo che se oggi fossi ancora dentro e un mio superiore mi avesse chiesto di aprire, a mio nome, un conto in Svizzera, come ipotizza il pubblico ministero al mio ex capo casa, lo avrei fatto senza battere ciglio. Forse avrei nell'intimo disapprovato il nome di fantasia del conto in codice "Paiolo" ma me lo sarei intestato per obbedienza. Lo avrei fatto come se me lo chiedesse Iddio come i ragazzi arabi che si fanno saltare in aria col tritolo per raggiungere rapidi il paradiso. Lo avrei fatto di scatto come la rana morta di Galvani muove la zampa per impulso elettrico. Si. Avrei fatto come le bambine e le ragazze di quella parrocchia in Toscana dove su ordine del parroco gli bevevano il seme. Lo hanno fatto per dieci anni consecutivi convinte di ingurgitare il corpo e sangue di Cristo. E' tuttavia ammirevole che il sacerdote, ligio alle indicazioni dottrinali, non abbia mai usato il preservativo. Beh, tutto sommato a me è andata abbastanza bene, meglio un dito nell'occhio che una minchia nelle fauci, forse la provvidenza esiste davvero.
Come in ogni gruppo monastico anche noi avevamo la nostra regola. La regola sono delle pratiche codificate da eseguire sistematicamente e con scrupolo tutti i giorni ad orari precisi. Una sveglia che suona per ricordare che la cosa più importante è Dio incarnato nella sua Chiesa, così se ti capitasse di gravitare verso l'oblio o differenti giudizi di valore il trillo ti rimette prontamente in carreggiata. Le Lodi al risveglio anticipavano la pratica quotidiana dello schiacciamento oculare. Sono preghiere della tradizione declamate insieme agli altri monaci in recto tono, che vuol dire sempre sulla stessa nota. Se interpretate con attenzione producono un unisono che sembra una voce sola, anche se si prega in dieci. Lo stratagemma serve ad educare all'unità. Poi al lavoro, bidello in una scuola elementare. La mattina ciclostilavo, consegnavo circolari alle maestre e nel pomeriggio, quando gli scolari tornavano a casa, pulivo tre aule, un corridoio e due bagni. Il primo giorno di lavoro il bidello anziano mi ha dato le dritte per essere efficiente ed efficace. Consigliava di lavare gli escrementi dei pargoli appena uscivano dalla scuola evitando di procrastinare nel pomeriggio, in quanto nella pausa pranzo lo sterco degli infanti brianzoli, che mai tirano la corda del cesso, si essiccavano rapidamente e più tempo passava più risultava disagevole rimuoverli.
Anche il lavoro faceva parte della regola ora et labora, quindi cercavo sempre di lavorare pregando, che significa lavorare nel giudizio di valore: Dio incarnato è più importante di tutto. E nella memoria: Dio incarnato è qui e ora nel rimuovere la merda secca del pargolo. Al ritorno cucinavo per gli altri, perché ero il primo a tornare a casa. Prima di pranzo il Magnificat, è una preghiera che ricorda quando Dio si è incarnato. Nel primo pomeriggio le preghiere dell'ora media, poi la sera la Messa, al ritorno un'ora di silenzio nella propria camera-cella, mezz'ora in ginocchio con indicazione di leggere la storia della Chiesa, che era la nostra storia.
Mi soffermavo, nel segreto, sui movimenti eretici e a pensare alla collega bidella rimasta vedova. Aveva chiesto la grazia a Papa Giovanni perché guarisse il marito dal cancro, ma poi siccome il marito è morto è diventata atea. L'ultimo atto di relazione con Dio è stato strappare la foto di Papa Giovanni, chissà, forse anche Giuda come la bidella ha avuto le sue ragioni per lasciar perdere. Promesse di eternità e di centuplo quaggiù non congruamente e tempestivamente onorate.
Poi alla sera la missione: incontri politici e culturali affinché Dio incarnato entrasse nella società. L'indicazione dell'autorità era far si che la cattolicità, che vuol dire totalità, universalità, espandesse i propri confini oltre ogni orizzonte. Il carisma, la peculiarità, del nostro gruppo all'interno della Chiesa era proprio la memoria di Cristo come missione nel sociale. La CEI, Conferenza Episcopale Italiana, faceva presto a dire nei convegni delle sale ecclesiastiche, davanti a qualche seminarista dabbene, che bisognava portare l'annuncio cristiano nella società. Ma poi loro si ritiravano in sagrestia, invece noi andavamo davvero nelle scuole e nelle assemblee di fabbrica faccia a faccia i comunistoni, quelli con i calli sulle mani, che in quegli anni esistevano ancora, e non era facile. Tutto sommato buoni risultati si erano raggiunti nell'impegno missionario di tutti i giorni fino alla fine del mondo e fino ai confini della terra. L'annuncio della buona novella si espandeva fluidamente come in The Blob nell'ambiente, impregnando luoghi e coscienze, tant'è che comunisti, atei e agnostici per affermare la loro distanza dalla Chiesa utilizzavano inconsapevolmente la medesima definizione che, nella semantica clericale, definiva tecnicamente il mio stato monastico all'interno della istituzione ecclesiastica: laico. Che vuol dire cristiano cattolico non sacerdote.
Memorie di un ex monaco fine parte terza
memorie di un ex monaco parte quarta
MISTICA OGGETTIVA: OBBEDIRE AL CAPO
Tornando dalla missione la giornata terminava con Compieta la preghiera di chiusura e prima di andare a letto l'ultima preghiera in ginocchio, il Memorare di San Bernardo, davanti all'immagine della Madonna. Al sabato le ore di silenzio dentro la camera-cella erano tre, delle quali una in ginocchio. La cella, in linea di massima, non veniva violata da nessuno neppure dal priore. In quel piccolo spazio autonomo avevo scelto di non personalizzare in alcun modo la stanza che era completamente disadorna. D'istinto avrei tolto anche il crocifisso. Mi piaceva avere l'impressione che lì non vivesse nessuno. La cella del non nato. Se fossi morto sarebbe subentrato un altro monaco che avrebbe trovato la stanza senza alcun segno di transito terrestre di chicchessia, subito pronta per lui e così, omettendomi ontologicamente, mi divertivo nel sentirmi un po' eterno. Una volta a settimana il giovedì sera incontro di tutti gli abitanti della casa condotto dal capo casa che ci riprendeva sbraitando. Chissà, in buona fede immaginava che la verità fosse direttamente proporzionale al volume della voce, ma per quanto fosse fitta la rete delle regole non aderiva mai perfettamente alla realtà, all'immediatezza della vita, alla complessità delle cose, alle soggettive sensibilità, allora il priore nel tentativo di far quadrare il cerchio urlava così forte che, la mattina dopo, i vicini di casa mi chiedevano preoccupati cosa fosse successo. Mica potevo dirgli che quando la ragione non accetta la categoria della possibilità, del diverso, diventa violenta. Per lavare i panni sporchi in casa avrei potuto riferire ai vicini che le urla del giovedì erano l'eco del paradiso, comunque nonostante la mia omertà col tempo si sono abituati. Le preghiere in recto tono erano quelle della Liturgia delle Ore. La liturgia sono i tempi della Chiesa, simili alle stagioni che si ripetono ciclicamente ogni anno, così ogni giorno hai una preghiera diversa e sempre attuale. All'interno della casa c'era poi una regola di massima: parlare sottovoce e solo per un motivo adeguato, indicazione che rimpiango e che mi piacerebbe entrasse nel codice civile. Per favorire il clima di silenzio la televisione all'interno della casa monastero era giustamente bandita. Non si parlava molto della questione escatologica, della fine del mondo e dell'uomo, della resurrezione della carne, dell'ultimo giorno, perché erano cose che si davano per scontate. Era roba del grande popolo della Chiesa, non da avanguardia monastica. Per di più noi eravamo di liturgia ambrosiana, si della diocesi di Milano, la più grande del mondo, insomma il meglio del meglio.
La resurrezione dei morti è proprio l'ABC, Roba che credono oltre due miliardi di persone al mondo. Cose da duemila anni ovvie. E chi non sa che all'ultimo giorno risorgeremo col corpo di carne e vivremo per sempre. Non dico che è roba da quelli che vanno a messa solo alla domenica, è roba da addirittura da cattolici non praticanti. Sono temi così indubitabili che tutto l'occidente li festeggia con le vacanze di Pasqua. Tutto l'occidente si ferma per celebrare la memoria del Dio incarnato che muore e risorge, poi sale al cielo tipo Apollo 13 e all'ultimo giorno farà rivivere i nostri corpi mortali per sempre. E' per questo che nel cristianesimo cattolico romano, la religione più materialistica del mondo, si conservano con cura e devozione corpi morti mummificati. Si conservano con più cura dei leader rivoluzionari cadaveri nei mausolei sovietici. Laringi, lingue, prepuzi, cuori, denti premolari od ossa, appartenuti a chi si è distinto nel seguire senza riserve i precetti e ha obbedito alla tradizione della Chiesa. Quei resti apparentemente mortali sono lì ricordarci che un giorno i nostri corpi si riassembleranno per ritornare in vita nella forma originaria senza mai più corrompersi. Forse per questo è preferibile, secondo la Chiesa, interrare i cadaveri piuttosto che bruciarli come invece fanno gli induisti o come auspicano alcuni urbanisti occidentali constatato il poco spazio nei cimiteri. Chissà forse è meglio non cremare perché poi alla resurrezione dei corpi il processo di riassemblamento delle ceneri potrebbe risultare particolarmente complesso, lento o incompleto. Non lo so. So che non mi dispiace andare al cimitero e sapere che in quel posto preciso ci sono i corpi dei miei genitori. Chissà forse mi andrebbe anche bene averli inceneriti dentro un vaso, messi lì sopra la mensola del soggiorno.
Rivelazione. Ecco la parola. Tu non capisci, sei confuso e smarrito, non sai neppure se è meglio avere i genitori morti sotto terra o inceneriti in un vaso e Dio ti diventa contemporaneo grazie alla sua Chiesa e ti rivela tutto. Dio nella Chiesa diventa fisico, entra nella materia. Mistica oggettiva dunque e non soggettiva. Il punto di partenza è l'esperienza della fede come realtà storica. Elemento disturbante per il cristiano cattolico, la religione più materialista al mondo, è l'avere una personale propensione alla spiritualità. Errore la ricerca del fascino mistico in aree rarefatte. Ti potrebbe anche apparire la Madonna ma sarebbe certamente il diavolo, auto contemplazioni ero-mistiche, puerili proiezioni fantastiche se non accadesse nella materialità, nella corporeità, nell'obbedienza all'avvenimento Chiesa. Fuorviante partire dalla soggettività di chi fa l'esperienza. Insidioso e sconsigliato un rapporto con il divino che, partendo dalla soggettività di chi fa una tale esperienza, finirebbe per distrarre l'attenzione dall'oggettività dell'avvenimento ecclesiastico e dalle connesse verità dogmatiche e alla conseguente obbedienza alla gerarchia, al capo casa che ti cacciava il pollice nell'occhio, in quanto una conoscenza personal-esperienziale risulta meno "oggettiva", dunque meno "scientifica" e meno affidabile, di un sistema concettuale oggettivamente elaborato a partire dal contenuto della Rivelazione e della tradizione. Chiaro? Se non è chiaro il teologo Hans Urs von Balthasar lo spiegava benissimo, quando contestava Francesco di Sales, Giovanni della Croce e Teresa d'Avila. Non lo sapevo che i teologi contestavano i santi.
Sono si santi, ma santi strani perché rappresentanti di una mistica soggettiva. Il teologo diceva: "Seppure la dottrina di questi santi non sia minimamente in contraddizione con la teologia dogmatica -sono pur dottori della Chiesa - nondimeno è vero che primariamente essa è meno mistica in servizio dell'elemento oggettivo, che non mistica soggettiva dell'esperienza e degli stati di spirito. In Giovanni della Croce il vero e proprio oggetto delle descrizioni sono gli stati e, parlando grossolanamente, proprio dallo stato viene desunta la realtà oggettiva che in esso si rivela. La mistica spagnola qui si trova distante da quella della Bibbia..."
Santi da evitare. Lì non capivo molto. Nutrivo qualche dubbio. Diffidare di santi così importanti, su cui si è pronunciata la tradizione con appellativi teologicamente inequivocabili, mi induceva a non banalizzare argomenti di tanto livello. Il teologo offendeva. Qui si tratta di non ledere il sentimento religioso di chi crede; di non permettere che si possa offendere impunemente chicchessia. Se queste cose le avrebbe proferite uno normale invece del teologo di fama le autorità ecclesiastiche sarebbero intervenute. Roba da codice penale. Ma tutto sommato nelle sacre scritture notavo che l'agire divino talvolta appare selvaggio, sregolato, pericoloso per l'uomo e addirittura per Dio stesso; i suoi attributi a volte sono in flagrante contraddizione: egli è paterno e vendicativo, giusto e misericordioso, eloquente e silenzioso, presente e assente, rivelato e nascosto. Cose indecifrabili se si utilizzano alternative secche e binarie come usano gli scienziati. Il comprendere le cose di Dio, la teologia, è un'arte misteriosa e complessa che conosce bene solo il demonio. E che quindi il teologo contestasse i santi significava che era un buon teologo.
E poi il Vecchio capiva subito dalla mia faccia diciottenne se avevo qualche dubbio. Lui ti leggeva dentro ed io avevo un po' di timore. Agli esercizi spirituali aveva detto:
"Coi mesi e con gli anni, imparerete; se si segue: tutti quelli che sono venuti e a un certo punto hanno detto: "Sì, lei avrà anche ragione, ma io sono stufo, vado via", non hanno più imparato. Chi è rimasto ha imparato. E' terribile questa cosa: chi sta impara, diventa se stesso; chi non sta perde se stesso".
E a me non piaceva non essere me stesso.
E continuava come uno schiacciasassi;
"Così, quando vi diciamo le nostre parole, che anche a noi sono state dette come sono dette a voi, ricordiamo i tempi in cui anche per noi queste parole erano come dei sassi che ci venivano buttati in faccia; non li penetravamo né ci penetravano. Ma la misericordia del Signore sta proprio nella pazienza con cui ripete nel tempo le cose, ci fa ripetere nel tempo le cose... Allora, qual è la prima conseguenza di quello che sto dicendo? Non ci si deve meravigliare se non si capisce, ma guai a colui che, non comprendendo, pianta lì, e dice "Non capisco", guai! E' finita per Lui, è un rifiuto che sarà sempre senza frutto. Tutti quelli che se ne sono andati, hanno perso tutto, non hanno più capito niente, tant'è che a un certo punto tanti ritornano. Uno di voi, se andasse via, non capirebbe più niente. All'infuori di Cristo insomma, non val la pena vivere, nel senso letterale del termine; tutto diventa gioco politico come la giustizia di oggi, tutto diventa violenza come la politica di oggi: il contrario di quello che dovrebbe essere! E il rimedio a questo non è certo quello di parlare di morale e di valori, ma è quello di creare, di mostrare a tutti, di far vedere a tutti che una compagnia fatta perché si è incontrato Cristo, una compagnia che si crea perché si è incontrata della gente che ha incontrato Cristo, fa realizzare quello che tutta la politica, tutta la cultura e tutto il resto non valgono a farci vivere".
Meglio non piantare lì. Sconveniente dubitare.
Monaci, ma che lavorano come tutti. Un tipo di vita molto più complesso e faticoso che non la vita di un monastero normale. Niente di romantico, niente di bucolico, ma una vocazione di dedizione totale a Dio vivendo nel mondo.
Fattori portanti: la contemplazione, intesa come memoria continua di Cristo e la missione, cioè la passione a portare l'annuncio cristiano nella vita di tutti gli uomini.
L'annuncio consisteva nel rendere partecipi alla Chiesa chi si incontrava. La missione era l'impegno nell'ambiente sociale, nella politica e nelle istituzioni a partire dalle indicazioni del Magistero ecclesiastico. No al divorzio. Punire penalmente una donna che abortisce. No al marxismo. No al preservativo. Si alla scuola cattolica sovvenzionata dallo Stato e così via. Quando arrivavano le indicazioni dall'autorità si obbediva nel sostenerle e divulgarle ad oltranza senza grado di dubbio e senza rispetto per la ragioni altrui. Non si considerava se era saggio vietare l'uso del preservativo nel terzo mondo, od era opportuno sanzionare penalmente una donna che abortiva. In quegli anni non esistevano tecniche medicali di rianimazione come le attuali, tanto sofisticate da differire il momento della morte, così potevi congedarti senza chiedere il permesso al vescovo. Che strano che i credenti dell'al di là fanno di tutto per procrastinarci l'andata. Misteri della fede. In ogni caso non si rifletteva ma si obbediva, in quanto la dottrina sociale dell'autorità ecclesiastica era la volontà di Dio stesso. E Dio ne sapeva sicuramente di più della mia piccola mente. Un prete sinistroide aveva comunicato al suo vescovo, che sul divorzio, tutto sommato, era ragionevole che lo stato non lo vietasse e che i cittadini potessero divorziare per poi risposarsi. Aveva quindi problemi di coscienza nel conservare una legge che vietava il divorzio anche ai non cattolici, rapido il vescovo lo ha redarguito ricordandogli che, in quanto gli aveva promesso obbedienza, la sua coscienza era lui. Quindi si obbediva cercando di far proprie le ragioni di fondo che motivavano le indicazioni della Chiesa e se le ragioni non si trovavano si obbediva lo stesso, utilizzando stratagemmi retorici e ogni mezzo disponibile per modificare la società alle direttive avute.
Dei laici che vivono una esistenza totalmente immersa nel mondo e che si impegnano alla missione vivendo il proprio lavoro nel mondo come il luogo della memoria di Cristo, traducendolo, cioè, in offerta. Offerta è il riconoscere che ciò che accade, tutto ciò che accade, è la volontà di Dio. E' Lui il regista occulto e se gli obbedisci hai il vantaggio di non assumerti la paternità dell'azione e vivere in pace. Non cade foglia che Dio non voglia. Conformandoti alla lettera a questo principio è la migliore difesa e salvaguardia ai potenziali errori che potresti commettere. Siamo in missione per conto di Dio e così, nell'offerta, diventi coraggioso e rischi di brutto senza timore di fare brutta figura, perché se qualcosa va storta la colpa è del Mandante.
Una vita di perfezione cristiana praticando i consigli evangelici sintetizzabili nelle categorie in cui, nella tradizione, la Chiesa riassume l'imitazione di Cristo. L'obbedienza, nel senso che lo sforzo spirituale, la vita ascetica, sono autenticate da una sequela alla gerarchia ecclesiastica. La povertà, come distacco da un possesso individuale del denaro e delle cose. La verginità, come rinuncia alla famiglia per una dedizione anche formalmente più totale a Cristo. Una struttura affettiva e ormonale dell'altro mondo. Una vita comune in case il cui scopo, sostenuto dal clima di silenzio, dalla comune preghiera e dalla condivisione fraterna, è l'edificazione vicendevole nella memoria in vista della missione. Innanzitutto la missione, perché mi insegnavano che il mondo umano non ha bisogno di nient'altro che del popolo nuovo, che eravamo noi, di quella compagnia che è il flusso di vita che percorre il deserto del mondo.
Ai miei tempi eravamo in quattrocento, con qualche femmina in più rispetto ai maschi, presenti solo in Italia. Adesso sono migliaia, con qualche femmina in più rispetto ai maschi, presenti in 31 nazioni. Migliaia che obbediscono.
Il Vecchio citava Pasolini per spiegare l'obbedienza.
"I giovani uno li educa col suo essere, non coi suoi discorsi".
Poi spiegava:
"L'autorità è il luogo dove il nesso tra le esigenze del cuore e la risposta data da Cristo è più limpido e più semplice, più pacifico. L'autorità è un essere, non una sorgente di discorso. Anche il discorso è parte della consistenza dell'essere, ma soltanto come riflesso. Insomma, l'autorità è una persona vedendo la quale uno vede che quel che dice Cristo corrisponde al cuore. Da questo il popolo è guidato. Il problema allora è seguire. ...l'avvenimento per cui l'io mio viene investito e reso diverso da questo rapporto - è seguita dalla parola libertà, genera libertà: l'essere figlio è la libertà.
Non c'è rapporto con chi è autorità se non si sente scoppiare la propria libertà in coscienza personale e in responsabilità personale."
Scoppiare la propria libertà, per quello obbedivo. Eh si. Obbedivo per essere libero. Obbedivo per essere me stesso.
Memorie di un ex monaco fine parte quarta
memorie di un ex monaco parte quinta
CASTITA' E VERGINITA'
Per essere monaco non devi vivere il sesso, in quanto secondo l'interpretazione della Chiesa, Cristo non ha conosciuto carnalmente femmina alcuna, quindi chi lo segue che lo imiti. Vietato vivere secondo il piacere nostro, secondo l'istinto, secondo natura. Non per masochismo ma per un possesso più vero, più totale e completo. Rinunciare per avere di più. Così mi insegnavano. Alzarsi al mattino e ricordarsi che tutta la giornata è di un Altro, accettarlo e offrire tutto, questa è la libertà. La libertà è l'adesione all'Essere, cioè il riconoscimento che Dio è tutto in tutto. Allora non toccando la femmina tu potevi unirti davvero con lei, in quanto in questo apparente distacco contattavi invece il suo essere più profondo, la sua essenza, il suo destino. Quando mi veniva voglia di unirmi materialmente ad una donna escogitavo quindi dei sistemi per resistere. Sistemi sofisticati, non grossolani come la sublimazione dell'eros. Di grande aiuto era il sentirmi un po' superiore ai decreti biologici. Più forte della natura. In Sicilia dicono "cumannari e' megghiu i futtiri". Comandare meglio di scopare. Si. L'orgoglio riempie assai, anche solo nel comandare a se stessi. Poi mi facevo aiutare dalle parole del Vecchio, che spiegava del giudizio di valore. Della libertà e gioia nel vivere l'Avvenimento Cristo nella Chiesa come più importante di me. Il Vecchio raramente parlava direttamente e tecnicamente della castità fisica. Si parlava di verginità, che era una cosa più ampia e profonda, accettata la quale la questione della voglia di scopare manco si poneva più. Manco si osava pensarla.
Nella casa eravamo tutti ammalati, sempre ammalati, nonostante l'età media non superiore ai trent'anni. Io che ero il più giovane ero anche il più grave: rene sinistro infetto e pieno di calcoli. Febbri altissime. Sistematici ricoveri in ospedale. Il confratello più anziano, emorroidi prolassate e calcoli alla cistifellea. Un altro era sordo con sinusite cronica. L'altro ulcera perforata. Il meno grave soffriva di stipsi intestinale, quando riusciva ad evacuare produceva un materiale di dimensioni enormi e durissimo che richiedeva l'intervento dell'idraulico per smontare il water e far passare l'escremento pietrificato nella fogna. E tutti con malesseri speciali a livello di sistema nervoso. La chiamavamo la malattia del frate. E' una sindrome speciale piuttosto complessa un po' simile alla meno pausa. Il medico della mutua era sempre lì. Una volta ha detto che in quella casa c'era qualcosa di strano, in quanto mediamente i suoi quattrocento pazienti, seppur più anziani di noi, stavano statisticamente meglio.
Ci si ricordava che l'avvenimento del cristianesimo, l'avvenimento di Cristo nel mondo è una adorata semplificazione di tutto. In effetti basta obbedire. Se si comincia a voler spiegare, a motivare tutto si complica. Se sulla castità l'autorità dice: sii casto per imitare Cristo. Tu lo fai e basta. Puoi non farcela ad obbedire ma almeno la faccenda è chiara e semplice. Per fortuna era quasi sempre così, ma purtroppo sulla castità il Vecchio eccezionalmente dava indicazioni di metodo dettagliate. Insegnava che per emanciparsi dal sacrificio della carne occorre che "Mistero e segno coincidono". Cosa vuol dire? Il segno dovrebbe essere la femmina che ti vien da desiderare e il mistero è l'avvenimento Cristo-Chiesa. Che coincidono vuol dire che non bisogna scappare dalla femmina che ti attrae, ma monitorare e percepire con attenzione il desiderio di lei, mettersi lì in uno "star per" ma senza farlo, e poi utilizzare il turbamento che ne deriva per vivere con totalità il mistero.
Io ci ho provato, prima a capirlo e poi a farlo, e a distanza di trent'anni non mi son ancora ripreso dallo scompenso. Sarebbe stato meglio sempre obbedire senza pensarci troppo sopra.
Ma chi garantisce che colui al quale obbedisco è nella verità? Se si obbedisce direttamente a Dio stesso e non a un uomo che lo rappresenta, il problema non si pone neppure, in quanto è Lui in persona che garantisce per se stesso, il catechismo spiega bene:
"L'uomo, sostenuto dalla grazia divina, risponde con l'obbedienza della fede, che è affidarsi pienamente a Dio e accogliere la sua Verità, in quanto garantita da Lui, che è la Verità stessa". Un po' autoreferenziale ma chiaro.
Ma se Dio entra nella storia attraverso la sua Chiesa fatta di uomini, la garanzia che l'autorità umana alla quale obbedisco è Dio stesso da chi è data? E' data dall'appartenenza alla tradizione ecclesiastica, cioè dal constatare che colui al quale obbedisco in quanto suo subalterno, poi lui obbedisca ad un suo superiore. E' un meccanismo gerarchico dove i subalterni obbediscono ai loro superiori, mai viceversa, e in cima sopra di tutti c'è il Papa, che è l'infallibile vicario di Cristo, quello addobbato con l'ermellino che si vede tutti i giorni al telegiornale. Però non è come nei militari, perché nella Chiesa colui che comanda, di fatto, serve nel comandare. La gerarchia sembra piramidale ma è solo apparenza, di fatto l'autorità ecclesiastica non intende influire sul comportamento altrui influenzandone le opinioni, le decisioni, le azioni. E' solo un'impressione in quanto per misteriosi meccanismi la Chiesa è un corpo solo, un corpo fisico sociale, cioè un popolo e anche un corpo mistico, un solo immenso organismo psicofisico. Se il cervello comanda una mano mica la mano si sente subalterna. Dunque non importa se fai il becchino o il governatore della regione, se sei l'ultimo novizio arrivato o l'abate, se hai vent'anni o ottanta, se sei virtuoso o porco. Importa che obbedisci. Così, per connessione organica alla Chiesa, tutti diventano uno ed importanti allo stesso modo, pertanto le autorità nel comandare servono. La chiesa è una corporazione, un corpo mistico interconnesso, dove i limiti di uno procurano un danno a tutto il sistema, così come le virtù del singolo portano meriti al gruppo. Il singolo uomo, semplice elemento insignificante, prende vita in quanto cellula della corporazione. Un'anima collettiva, di gruppo, come le api e le formiche.
Nella gerarchia sono escluse le donne, in quanto Dio si è incarnato uomo, così le femmine della Chiesa, per il fatto che chi comanda serve, hanno il vantaggio nell'obbedire sempre a tutti di non servire mai nessuno.
Dio è entrato nella storia attraverso una donna veicolo della sua incarnazione. Una donna speciale in quanto Lei all'inizio dei tempi, a differenza di me, non ha mai danneggiato il cosmo. Si dice senza peccato originale. Essere nati senza peccato originale si chiama Immacolata Concezione, che vuol dire che lei è stata l'unica donna che non ha mai peccato prima di nascere. A dire il vero neppure dopo, ma questo lo ha fatto anche qualche santo. Mai ha necessitato del sacramento dell'acqua purificatrice e neppure dell'armadio. E' un evento davvero importante tant'è che in occidente, quando si ricorda quel giorno facciamo tutti festa e non si va a lavorare. Ma non è tutto, oltre a non avere il peccato originale, lei è rimasta incinta e ha partorito vergine, in quanto Dio può fare tutto quello che vuole. Non ha conosciuto uomo e poi ha partorito un Dio incarnato. Vergine nel concepimento, Vergine nel parto, Vergine incinta, Vergine madre. Il recente compendio del catechismo spiega in più punti:
"Significa che la Vergine Maria ha concepito il Figlio eterno nel suo grembo per opera dello Spirito Santo e senza la collaborazione di uomo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te» le ha detto l'Angelo nell' Annunciazione."
Che strano modo di dire... senza collaborazione di uomo...
E poi:
"Gesù è stato concepito nel grembo della Vergine per la sola potenza dello Spirito Santo, senza intervento dell'uomo."
Senza intervento dell'uomo... Mi sembra più chiaro.
Senza collaborazione o senza intervento? Dovrei approfondire. C'è una specifica branca della teologia che sicuramente chiarisce, si chiama mariologia.
In ogni caso il fatto che lei è la "Madre di Dio", che è una cosa che più di così non si può, meglio di così davvero non si può, non ha procurato nessuna autorità specifica alle donne nella Chiesa. La logica dice che l'analogia Cristo-Papa dovrebbe estendersi a Madonna-Papessa, ma la tradizione dice che non è così. Meglio fidarsi di una tradizione millenaria seguita da miliardi di persone piuttosto che personali sillogismi. Madonna-Papessa peraltro suona male. Papessa vicaria della Madonna, ma dai...
Sono passati trent'anni da quando una mattina ho fatto le valigie se me ne sono andato dalla casa monastero e ieri pomeriggio, alla ricerca del tempo perduto, tre ore di sesso. Stanotte quattro. Stamani tre. In diciannove ore due pause. Una per nutrirci. L'altra, avvinghiati nel dormiveglia, per recuperare le forze. Enumero, come quando ci si confessa nell'armadio, il resoconto di mistica oggettiva. Mistica come esperienza diretta, che non necessita di spiegazioni, di parole, di argomentazioni. Convince da sé e in sé. Convince direttamente senza necessità di supporti esterni, senza ricorso a metafore, a procedimenti dimostrativi, a indicazioni metodologiche, a tradizioni, a giudizi di valore. Quel giudizio di valore che mi era stato indicato di vivere ogni istante: Cristo-Chiesa costitutivo di ogni cosa, di ogni incontro. Di una nuvola, di uno sguardo, di un tavolo, di una minestra che non puoi più vedere in presa diretta per quello che sono, perché ci devi scorgere dentro il Cristo-Chiesa che gli fa girare gli elettroni e si glorifica, si manifesta, nel priore brianzolo. Miope. Alto. Con grandi labbra. Ed io lì in mezzo tra materia e priore, surriscaldato, allerta, vigile per scorgere dentro il volto effimero delle cose questa strana cosa del Dio-istituzione, come in un film con l'audio doppiato sempre fuori sincrono. Il labirinto mortale dell'obbedienza vuol dire trovarsi davanti ad un tramonto e negarsi di vederlo per quello che è per interpretarlo nella memoria, appiccicandoci dentro quella strana cosa: Cristo incarnato nella Chiesa. Senza mai pace per la bizzarra urgenza, che chiamavamo ascesi, di vivere in questo mondo come fuori di esso. Per questa ricerca di realtà, che ti fa credere che ciò che contatti in spontaneità è falso e che ci sia sempre qualcosa di più significativo di quello che vedi e fai. L'inseguimento di questa cosa, che non esiste per nulla, ti procura un priapismo neuronale. Un limbo nevrotico. Una erezione prolungata e dolorosa, senza eccitazione né eiaculazione. Praticare la consapevolezza del giudizio costante che niente è fuori di Cristo, vivere sistematicamente questo attrito a livello cosciente e poi, vista l'insistenza, anche a livello incosciente può portarti davvero nei guai. Puoi salvarti dalla pazzia solo se lo fai un part time, superficialmente, per modo di dire. Se lo fai davvero impazzisci. Ho avuto l'impressione che nelle avanguardie monastiche, gli ambienti dove si praticano queste cose, i più equilibrati e sereni sono quelli che, seppur con inutile contrizione, non prendono la faccenda sul serio e tradiscono almeno un po'.
Forse una esperienza più necessita di essere spiegata e supportata meno è vera. Può darsi che morire, compreso quello che forse succede dopo è una esperienza così semplice, diretta, naturale, spontanea e innata come il nutrirsi, dormire, fare all'amore. Un amico medico mi ha confidato che, in trent'anni di professione, non ha mai visto morire un prete serenamente. Forse si tratta di coincidenza, come quando si vince alla lotteria e al mio amico chirurgo sono capitati casualmente solo e sempre religiosi di quel tipo. Non lo so. Ricordo una sera un prete anziano solo nel suo soggiorno. Nascosto sotto il tavolo un bottiglione di vino rosso di infima qualità lì pronto a consolarlo un po'. Ho visto anche donne e uomini sensibili, intelligenti, coraggiosi. Profondamente umani. Cercavano un senso, rischiavano se stessi per lenire il dolore di tutti. Cercavano Dio e così hanno abbracciato il sacro nell'unico modo che conoscevano, nella forma che i luoghi e i tempi dei quali erano figli offrivano e così, pur convinti dell'opposto, con la loro umanità hanno nobilitato la divina istituzione. Se da oltre duemila anni una moltitudine d'esseri umani hanno scelto di imitare, attraverso la Chiesa, un Dio incarnato, rinunciando al sesso, alla paternità, alla maternità, alla libertà e alla vita stessa un motivo ci deve pur essere. Lo hanno fatto per essere di più, per qualcosa di più. Per i più ingenui sacrificando l'al di qua per l'al di là, quindi è presumibile che, in punto di morte, un minimo dubbio sull'esistenza dell'al di là gli abbia procurato qualche scocciatura. Poco consola morire con fede assoluta nell'infinita onnipotenza di Dio, senza capire perché mai l'abbia usata per davvero. Avrebbe potuto, almeno una volta, mutare un suino in un fiore o resuscitarci l'amico morto. Forse quelli che che grazie ad un'umanità matura e ad una teologia pragmatica illuminata, hanno vissuto l'imitazione del Dio incarnato, non come rinuncia ma come appartenenza, qui e ora, ad un popolo vivo, hanno avuto davvero il centuplo quaggiù e forse la vita eterna e quindi hanno vissuto e sono morti sereni. Forse il centuplo quaggiù è il capo casa che ti schiaccia gli occhi la mattina e dopo un paio d'ore l'essere attratto da una donna e rinunciarvi attraverso il giudizio di valore, per utilizzare il conseguente turbamento come energia per abbracciare con più forza quella donna, non fisicamente ma nella sua essenza immortale, nel suo destino e in questo processo aderire con tutta la propria umanità al mistero di Dio incarnato nell'obbedienza alla sua Chiesa. Forse il centuplo quaggiù è aprire un conto in Svizzera nome in codice "Paiolo" ed io non l'ho capito. Non lo so. So che non mi sono fermato a guardare il vino, ma l' ho bevuto tutto. Era amaro con un retrogusto di aceto. Se non fossi andato via per tempo da quella casa monastero sarei morto, perché a forza di mortificarti puoi morire davvero.
Sono andato via d'istinto animale, come quando non riesci a stare fermo per una colica renale. In effetti per anni non mi ero accorto che stavo male e lì lì per superare la soglia della sopportazione. La sofferenza, che provavo da tempo, era diventata un habitus inerente alla vocazione. Soffrire cronicamente era un inevitabile effetto collaterale divenuto familiare. Nessuno aveva avuto il presagio, neppure io, che di colpo il mio corpo con quello che c'è dentro se ne sarebbe andato dalla casa monastero. Per trovare me stesso obbedivo a dio, attraverso delle persone che lo rappresentavano, dentro un gioco di regole che siccome avevo accettato non potevo poi contestare nei colloqui privati con i superiori. Mica potevo dire al priore: "Faccio fatica e mi sento morire a fare questa vita, forse non è vero che voi rappresentate Dio". E' come se professionista al torneo di scacchi muovi inopinatamente il pedone con le mosse del cavallo e poi t'aspetti conferma. Eravamo dentro convenzioni che non ammettevano pluralismo di comportamenti. Nessuno insegnava o permetteva di esprimere l'angoscia in parole. Il dolore personale lo si poteva esternare solo nel del rito canalizzandolo nella liturgia, nelle leggi condivise e difese da regole ferree di comportamento. Quindi nei colloqui con il capo casa, visti i presupposti, avvertivo come insulto all'intelligenza contestare le regole o manifestare disagio, se le cose non funzionavano era solo colpa mia.
Memorie di un ex monaco fine parte quinta
memorie di un ex monaco parte sesta
IL VECCHIO
A volte incontravo a tu per tu il Vecchio. Gli facevo da autista per accompagnarlo all'aeroporto. In missione per conto di Dio guidavo sportivo e veloce come a lui piaceva. Per lenire il timore dello stare al suo cospetto, oltre ad allietarlo infrangendo il codice stradale, proferivo bizzarri racconti e battute argute che l'abate sembrava apprezzare. Lui in cambio mi parlava della memoria di Dio ed io folgorato dal fascino delle parole e dal tono cavernoso della sua voce entravo in uno stato di coscienza alterata e mentre sgommavo di brutto le case grigie della città pulsavano di vita. Mi sentivo uno nel tutto, esperienza che dopo anni ho riprovato con il peyote. Tornando dall'aeroporto l'effetto euforizzante già regrediva e il mio rapporto personale con il sommo capo finiva lì. Nulla di personale potevo riferirgli, tutto era già stato detto, definito, deciso e accettato e dentro quella condivisione stereotipata un certo numero di possibilità di azione erano assolutamente escluse.
Ero accettato e ascoltato unicamente se rimanevo assolutamente incollato alle convenzioni e alla sensibilità di chi aveva deciso le regole e così mi preparavo al meglio per conformarmi, poi sparavo la domanda giusta, quella che fa centro. La domanda all'altezza. La domanda adeguata. La domanda perfetta, quella che contiene già la risposta conforme, così loro mi approvavano ed io, per un paio di minuti, mi sentivo uno con l'anima speciale degno di stima d'amore.
Non c'era spazio per il mondo dei sentimenti onesti, per i pareri, gli stati d'animo, le voglie, le opinioni, il confronto. La regola è un patto, un meccanismo imposto dal gruppo e la sua violazione è inammissibile. Ma, anche se le regole non permettono eccezioni e la posta in gioco è la vita eterna, ogni giocatore mantiene sempre la libertà di partecipare al gioco o abbandonarlo in qualunque momento e ho abbandonato.
Andato via una mattina. A freddo. Rapido. Senza preavviso. Dopo una notte un po' insonne dove, tirando onestamente le somme, ho concluso che la Chiesa e forse anche Dio erano una invenzione umana, una cattiva idea. Il Vecchio, subito informato dell'evasione, mi ha telefonato mentre facevo le valigie indicandomi di raggiungerlo immediatamente, perché non potevo andare via senza aver parlato con lui. Mi ha fatto presente, preoccupato per me ed in perfetta coerenza con se stesso, che senza il suo beneplacito nel congedarmi dal gruppo monastico non sarei più stato tranquillo nel rapporto con Dio. Potevo anche andarmene ma, per il mio equilibrio, solo nell'obbedienza. Gli ho risposto che non sarei andato da lui ma, se tanto ci teneva, poteva venire lui da me. Così il Vecchio, che era uno con l'intelligenza rapida, ha subito compreso che non riconoscendo l'autorità che lui rappresentava non credevo più né a lui e -in perfetta coerenza con me stesso e la nostra storia- né al suo dio, così ognuno è andato avanti per la sua strada. E' stato facile andarmene. Solo un certo sconcerto per la spiazzante meraviglia nel constatare quanto fosse potente la facoltà di essere libero, di dire personalmente no a duemila anni di tradizione, di teologia e di potere, senza che nessuno potesse far nulla per impedirmelo. Se l'evasione fosse avvenuta nel medioevo, invece che negli anni '70, forse una qualche complicazione in più l'avrei avuta. Invece il destino mi ha dato una mano, forse un qualche demone mi ha protetto così pur orfano di alterità assolute ho continuato ad essere. Anche il poter dire si a tutto il resto mi ha procurato un transitorio disagio. Ventiquattro ore di agorafobia. Il non dover più obbedire a Dio attraverso quelle facce mi metteva davanti ad una potente percezione di essere, di vita, a spazi immensi da far girare la testa e forse sarebbe stato utile un periodo di noviziato aconfessionale per tornar gradualmente ad essere me stesso.
Sono stato catturato perché ero giovane, ingenuo, sensibile, alla ricerca di una presenza che mi potesse accogliere così come ero, con la mia personalità e le sue espressioni. Il plagio è avvenuto perché soffrivo e il mio bisogno di senso era estremo. Ho casualmente saputo che esiste lo "sbattezzo", pratica legale che permette di formalizzare l'abbandono della religione cristiana, mediante annotazione nei registri parrocchiali. Ne farei subito istanza se, quanto ho vissuto, fosse faccenda meramente formale, se non fossi impregnato di quella cattiva idea, se non avessi dentro bimbi che pregano Gesù Bambino prima di addormentarsi, che si sentono inadeguati e in colpa, che festeggiano con i genitori il Natale, che preparano il presepe e vengono amorevolmente protetti dall'angelo custode perché sono buoni, fedeli e sempre obbedienti. I bravi bambini mi circolano nelle vene, se mi fanno l'emocromo li vedono. Ovunque andiamo ci portiamo dentro tutto, così nel sonno profondo ho centrifugato in alcol le autorità ecclesiastiche e fatto evaporato il solvente ne ho bevuto la quintessenza: un un prete brianzolo di sessant'anni, fisicamente brutto, sbrigativo nei modi, efficiente ed efficace nel fare e nell'imporsi. E ora alberga prigioniero dentro di me, nel cranio, cuore e polmoni. Siccome è un tipo attivo e non ha niente da fare passa il tempo a sentenziare che non ce la farò mai, che sono inferiore, che devo vergognarmi di esistere e che l'unica possibilità per essere è obbedirgli. A volte sembra che l'incantesimo svanisca, ma invece, sotto, è sempre lì. Siccome il figuro non demorde ho deciso di sottopormi ad una auto operazione chirurgica per estrarlo dal mio corpo. Sono le ore 10 e 15. Oggi 4 novembre alle ore 16 mi auto opero. Mercoledì 5 novembre. Il figuro è stato estratto.
Chissà perché ho obbedito per tanti anni. Però una cosa mi piaceva. La compassione. Aiutare gli altri. Così quando ho incontrato una ragazza che aveva bisogno di aiuto l'ho sposata. Dopo quindici anni, quando si è ripresa, mi ha massacrato. Ex monaco. Ex marito. Mio figlio vive da tempo lontano. Anche mia figlia è partita e mille chilometri ci separano. Nel salire sul treno piangeva ed io ero triste e felice insieme. Sapevamo che da quel momento saremmo stati meno prossimi per sempre. I giochi sono fatti, la natura mi ha usato per procreare un maschio e una femmina come la datura in autunno che senza ridere né piangere sparge i semi intorno.
Continuo a fumare i toscani extravecchi. Per sapere le ultime notizie non leggo più l'Apocalisse ma guardo il telegiornale e di tanto in tanto vado ancora in ospedale a farmi togliere i calcoli che si formano in un rene. Ho scelto un ospedale dei preti. Nel nosocomio ecclesiastico operano i migliori urologi della regione. Prima di operarmi mi addormentano. L'anestesia comporta due vantaggi. Non ti fa sentire il dolore e ti fa provare in anticipo com'è morire, così familiarizzi con l'evento, che è così: la coscienza inizia a ritirarsi il nome che porti e il ruolo che svolgi li avverti rarefatti e poi spariscono. Ti abbandonano rapidi tutti gli affetti ed ogni amore. Per ultimo, quando stai per morire, ogni idea sparisce anche Dio e il sacro. Un istante prima di essere morto ti vien perfettamente chiaro che tutta la questione si riduce a "sono" oppure "non sono". Quando il "sono" si attiva tutto esiste, quando si ritrae nulla esiste. Tutto qui, però se sei fortunato e ti capita un anestesista specializzando che non ha la mano e per paura di sbagliare ti somministra l'anestetico gradualmente, la simulazione dell'evento raggiunge i massimi livelli. Per più volte potrai osservare la coscienza che va e che viene in un istante, come quando si accende e spegne la lampadina del soggiorno. Quando si spegne, vedi che con te si dissolve l'intero universo. Quando si accende, prima torni tu e immediatamente dopo di te tutto quanto. E' dunque l'universo che esiste grazie a te e non il contrario. Tale chiarezza ti lascia indifferente, anche la morte ti lascia indifferente. Davvero semplice, se si riuscisse a spiegarlo all'asilo le religioni smetterebbero di colpo come i temporali estivi. Anche i deboli imparerebbero, senza inutili complicazioni, ad affrontare il proprio pezzettino di nulla e forse il mondo sarebbe migliore senza i partiti di Dio. Poi quando finalmente il giovane dottore becca il dosaggio la coscienza cessa di essere attiva, la mente si ferma e, come una pietra, non sai che sei. E lì non mi ricordo più. A ripensarci adesso l'avvenimento del non esserci più è un po' scocciante, ma al momento avevo avuto l'impressione che non era poi così male.
Mia cugina per alleviare la sofferenza per la tragica e prematura morte del figlio si è comprata un registratore. Si siede in una stanza silenziosa, appoggia sulle gambe il minuscolo registratore, schiaccia record e pensa al figlio. Poi riavvolge il nastro e ascolta. Una volta, in mezzo ai rumori di fondo, è convinta di aver sentito dall'oltretomba il suo Paolino. Me l'ha fatto sentire anche a me. Un cigolio gracchiante in rapida successione: "so' praoolììì- praoolììì". Così la madre lenisce il suo dolore e io non saprei consolarla più di quel gracchiare, ma il parroco del nostro quartiere, uno stimato teologo, invece lo sa. Dopo aver fatto presente a mia cugina quanto sia ridicolo, umiliante, irrispettoso e delirante equivocare l'anima di suo figlio con un rumore, la esorta ad abbandonare quelle pratiche superstiziose per recuperare la fede nel Signore risorto che farà resuscitare i morti. Cita sicuro il catechismo cattolico:
"La risurrezione della carne significa che, dopo la morte, non ci sarà soltanto la vita dell'anima immortale, ma che anche i nostri corpi mortali riprenderanno vita. Il come avverrà supera le possibilità della nostra immaginazione e del nostro intelletto; è accessibile solo nella fede."
Assisto alla scena. Mia cugina rimane in silenzio. Penso, strana posizione quella del parroco, non mi sembra mica tanto diversa che del mettersi con fede sulle ginocchia un minuscolo registratore e credere, al di là di ogni ragionevole immaginazione, che il figlio morto ci parli dentro.
Però al teologo non glie lo dico, perché quelli che accendono il registratore per sentire i morti sono pochi, invece quelli che credono alla cosa del parroco sono un paio di miliardi, poi magari qualcuno si offende.
Un paio di miliardi contando i praticanti che non sanno cosa praticano, quelli che non praticano ma che gli piaceva il Papa polacco ignorando completamente la sua dottrina. Quelli che praticano perché tanto credere in Dio non costa niente e i non praticanti, che non ho mai capito di preciso cosa sono: "atei cristiani", "cristiani per il socialismo", vegetariani carnivori che fanno bizzarri giochi di prestigio per conseguire conoscenza senza partecipare all'esperienza. E poi ci sono quelli che sono credenti ma non accettano dottrina e indicazione dell'istituzione ecclesiastica. Potrebbero dimenticarla l'istituzione e seguire in pace il loro Dio obbedendo alla propria coscienza, ma siccome per antichi condizionamenti gli risulta inconcepibile essere credenti senza essere cattolici, rimangono a lottare per una chiesa più aperta e moderna. Si cercano tra loro e poi uniti presentano istanze al Dio eterno che irrompe nella storia come se avessero a che fare con un consiglio comunale e poi si meravigliano per i suoi eterni e indiscutibili "no" e così rompono i coglioni ai prelati, agli atei e forse anche a Dio. Comprensibile il diniego della Chiesa, l'apertura non è un valore assoluto, se fa freddo mica apri la finestra. Gay che, non bastandogli la sfiga d'essere nati omosessuali in Italia, per non farsi mancare niente scelgono e vogliono anche essere cattolici. Poi quelli che ripetono: "Eh, non ci sono più valori" e per adempiere il precetto vanno a messa la domenica mattina, perché così si usa, spettatori non paganti di uno spettacolo che non capiscono e che se Dio esistesse davvero ordinerebbe al ministro celebrante di interrompere il rito per mandarli a cagare. Poi quelli che mettono la corona del rosario sullo specchietto retrovisore dell'autovettura che forse porta bene, quelli che non ci credono ma si sposano in chiesa, quelli che chiamano il prete in fin di vita perché non si sa mai, quelli che mentre grattano il biglietto del gratta e vinci chiedono fortuna al dio antropomorfo e che le autorità ecclesiastiche accettano, così poi sono contente quando l'Eurispes sentenzia che gli italiani sono quasi tutti cattolici.
Anch'io dovrei giocare al gratta e vinci, forse per un momento mi sentirei immortale. Ancora meglio se mentre gratto credessi in Dio. Un Dio un po' antropomorfo, il Dio o Iddio, uno e trino nello stesso tempo, che ha creato prima l'universo e poi noi. Invece di bere il vino annacquato ho voluto fare sul serio e forse ho alzato troppo il gomito, ma mi sarebbe piaciuto se Dio fosse esistito per davvero e avesse preso iniziativa mostrandosi. Il non senso si sarebbe trasformato in preghiera, per questo la liturgia dice:
"O Signore, guarda il tuo popolo sfinito nella sua debolezza mortale".
Sarei sempre in una brutta situazione, ma almeno avrei qualcuno a cui dirlo.
Ogni credenza è espressione del bisogno di sicurezza, di punti fermi di fronte all'evidente precarietà ed assurdità dell'esistenza. Ricerca di senso al dolore. Sarebbe consolante sapere che i bambini sono anime eterne che devono soffrire per ancestrali malefatte scritte su un libro mastro che un ragioniere celeste contabilizza, così se trova l'anima di un infante in debito, le propina una madre bastarda, una poliomielite, oppure la fa nascere in Liberia, in modo che con la sofferenza del pargolo i conti si pareggino e il cosmo rimanga in equilibrio. Sì, sarebbe consolante saperci creati e immortali. Si potrebbe anche accettare di nascere in Liberia da madre bastarda e affetti da poliomielite, così da saldare il conto in un colpo solo. Ma se il ragioniere non esiste?
Ho creduto come quel padre ateo che chiedeva la grazia per il figlio morente. Lì solo nella cappella dell'ospedale. In ginocchio che supplica un Qualcuno fissando la statua della madonna, quella con le lucine accese intorno alla testa. Anch'io, disperato come lui, nel supplicare l'Oltre che non vedevo ho abbracciato la statuina che vedevo. Trascorsi di gioventù. Di solito questi peccati si fanno al tramonto dell'esistenza. La morte sempre più imminente aumenta il senso di insicurezza e il credere in un Dio che possa abbracciare e redimere la fragilità, anestetizza un po' la paura. Io invece queste credenze le avevo già da ragazzo.
Perché mi ritrovo condannato a cercar da sempre risposta a chi sono, al perché sono e al senso del dolore? Perché ho un istinto d'eternità pur sapendo che dovrò morire? Ci sarebbe la possibilità di non pensarci affatto a queste faccende, come del resto fanno tutti gli altri animali. I gatti sono felici, io invece no. So di essere. Una misteriosa malattia. Chissà, forse avevano ragione i testi sacri; per trovarmi in questa condizione una ancestrale malefatta l'avrò pur combinata. Però, a differenza degli altri animali posso anestetizzare il ricordo dell'epilogo distraendomi nel dandomi da fare. Progettualità. Obiettivi da raggiungere. Speranze. Fede assoluta nel divenire. Adesso non l'ho ancora fatto ma tra un po'... E dentro quel "tra un po'" potrei tirare avanti. Se mi annoio mentre aspetto potrei ingurgitare piante psicotrope. A giusti dosaggi guariscono la noia, neutralizzano la paura e colorano le cose. Ma, per evitare complicazioni, è preferibile rimanere sul lecito: tre boccali di birra fredda al dì, quattro sigari un paio di speranze e tanta televisione.
Memorie di un ex monaco fine parte sesta
EPILOGO
Gesù disse ai dodici: volete andarvene anche voi? E Simone Pietro gli rispose: Signore, da chi ce ne andremo? Tu hai parole di vita eterna.
Forse Pietro e anche il Vecchio non avevano tutti i torti, se non hai risposte più che congrue alla voglia di Dio, se non hai alternative all'avidità d'eterno meglio non andar via da chi te la offre. Me ne sono andato, ma adesso che Dio è morto la mia comprensione non è migliorata. Tutto sommato era ragionevole avere fede. Perché ho distrutto l'antico e affidabile ponte per l'inaccessibile? Si fa fatica senza Dio. Richiede volontà non avere fede. Mi sono caricato sulle spalle l'universo e devo pure dargli un senso. Però di alternative per alleggerirmi ne avrei ancora, in Italia le sigle religiose che garantiscono vita eterna più il centuplo quaggiù sono centinaia, le trovi quasi tutte ne "L'Enciclopedia delle Religioni in Italia". Qualcuna la potrei provare perché non mi consola la nozione che, in qualche modo, esistevo nell'essenza dei miei genitori e che, in qualche modo, continuerò ad esistere in quella dei figli. Devo morire. Presto morirò. Un mese, tre anni o al massimo trenta come sentenziano le più ottimistiche aspettative di vita per me e i coetanei che vivono dalle mie parti. Poco consola un qualche gene immortale che salta meccanicamente dal mio corpo a quelli dei figli e nipoti indifferente ai cadaveri che lascia alle spalle. Serve un qualcosa che possa per davvero trasformare lo sgomento dell'epilogo nella possibilità reale di una beatitudine eterna.
La natura segue un suo funzionamento e si autoperpetua. Gli esseri viventi nascono e muoiono e la natura va avanti ed io faccio parte del funzionamento, l'ho saputo dopo la nascita e lo dimenticherò dopo la morte, ma che lo sappia o no alla natura non interessa, però grazie a un un qualche Signore forse riuscirei ad emanciparmi dalla faccenda. Infinite possibilità di scelta non è libertà. Libertà è abbracciare una esperienza. Forse è conveniente seguire una sola religione ed essergli fedele costi quel che costi, così il tempo che passa non è più nemico ma occasione per crescere verso il paradiso. Potrei aderire al Metodismo o al Presbiterialismo. Grazie al mio nuovo Signore non mi scioglierò più nella terra mangiato dai lombrichi per diventare cibo per altri animali. Metodista o presbiteriano? Può darsi che aderire all'Esercito della Salvezza garantisca una migliore consolazione alla finitudine umana. Non è escluso che, pur consapevole della sua illusorietà, possa trovare l'esperienza esaltante. Se non mi cacciano il dito nell'occhio troppo forte potrei anche provare. Si, l'Esercito della Salvezza quelli con sede sede in Irlanda, ma che sicuramente ci sono anche in Italia. Potrei provarci anche se l'esperienza fosse in disaccordo con la verità.
Se le stranezze, se la fatica, se la mortificazione dell'obbedire al priore miope, alto, con grandi labbra mi avesse fatto sentire più sereno di fronte al destino, di fronte alla morte avrei perseverato. Se quell'esperienza avesse, in qualche modo, riempito il nulla che mi accompagna e che mi attende avrei continuato ad accettare acriticamente tutte le assurdità che comportava. Avrei seguito i 73 testi canonici anche se fossero stati 108. Sarei disposto a qualsiasi cosa se ci fosse risposta al nulla, potrei mettermi il dito indice nell'orecchio destro mentre ballo la tarantella se così facendo il Destino si svelasse. Potrei fare il monaco certosino di clausura, monaco erborista, quello che ha il il permesso dall'abate di uscire dal convento all'alba per andare a raccogliere le piante, così nascosto nel bosco parlerei col diavolo. Potrei diventare cristiano copto o masturbarmi in pubblico pur di non morire. Obbedirei a sciamani della Siberia. Ma invece non so che fare. So che ci ho provato a vivere l'eterno nella forma che i luoghi e i tempi dei quali sono figlio mi offrivano ed è andata storta. Adesso non c'è via d'uscita: o accetto la condizione che a breve non ci sarò più o credo come veri assunti e concetti raccontati da altri, così da poter fingere d'essere eterno. Talvolta la coscienza si identifica con i suoi contenuti e quello che si crede in qualche modo crea una realtà e nell'insistere a confidare in una fede potrei dimenticarmi che sto simulando e crederci davvero. Mi è sembrato di capire che anche il Papa consiglia chi non crede in Dio di vivere come se Dio esistesse, anche un professore americano del Minnesota insegna che se sei triste ma fai la faccia sorridente diventi felice. Se insisti a far finta e non demordi dopo un po' diventa vero.
Adesso provo a vivere "come se". Mi metto in posa con la faccia che ride. Uno, due, tre -mi sento triste ma continuo a fare la faccia che ride- quattro... Adesso basta, fanculo, aveva ragione Schopenhauer, mi sorge da dentro un orrore per l'essere, di cui sono l' espressione e il fenomeno, per la volontà di vivere, per il nocciolo e l'essenza di quel mondo riconosciuto pieno di dolore, ma mica posso scendere dal treno in corsa di questo esistere. E allora? E adesso? Potrei cessare ogni iniziativa e starmene in quiete. Senza sete di esistenza e senza sete di estinzione per affidare alla natura o a un Dio la mia volontà e rimanere fermo. In attesa. Se nessuno risponde potrei rincontrare Gesù Cristo direttamente, fuori da ogni mediazione, tradizione e istituzione. Potrei studiare le scritture per discernere ciò che Gesù avrebbe detto per davvero da quanto hanno forse inventato e scritto gli evangelisti e poi i padri della chiesa. Forse iddio senza la cappa teologica e sprovvisto del magistero ecclesiastico diventa più simpatico. Ma poi che me ne faccio di quella storia se il protagonista non c'è più da duemila anni? Cosa me ne faccio di quel ricordo, di quella fantasia che non è presenza? Meglio buttarmi sull'extracristiano.
Potrei darmi alla lotta di classe. Rileggermi con assoluta devozione Marx forse funziona. Negli anni '70 ho avuto l'occasione di incontrare degli dei con corpo fisico: quattro giovani certi che tutto si potesse tenere a bada: dolore, senso del vivere, destino. Appartenevano alla chiesa del laicismo militante, del teismo alla rovescia. Rispondevano con un "porco dio" a qualsiasi quesito esistenziale e guardavano con rabbia l'irrazionale nevrosi di quegli umanoidi, a loro antropologicamente subalterni che cercavano consolazione, a quanto non capivano di questo esistere, con la fede in Dio. Uno di quelli lì per difendere la classe proletaria ha sparato ad una persona per bene. Li ho cercati dopo trent'anni, tre sono diventati devoti di Shiva e l'assassino, dopo la purificazione nell'armadio, è entrato nel movimento ecclesiale al quale appartenevo.
Meglio buttarmi sull'extracristiano ma nel contempo emanciparmi dall'io europeo. Se non si sa se Dio c'è o non c'è, una buona soluzione è diventare buddisti. Insegnano che eliminando ogni desiderio sarò libero dalla sofferenza. Beh posso applicarlo da solo ‘sto sillogismo d'intelligenza strepitosa, senza rasarmi a zero e attardarmi in criptici mantra. Gruppi spiritualisti della new age americana? Quelli che garantiscono che quando muori poi rinasci in un altro corpo e se li paghi puoi pure, grazie all'ipnosi, andare a vedere chi eri prima. Si riuniscono in lussuose sale e discutono con gravità di questioni futili. Mistica esotica? India, pellegrinaggi Sufi, incontri con sciamani americani, per vedere salernitani e bergamaschi vestiti da sadu indù che interpretano il Vedanta alla luce del vangelo per pontificare ieratici metafisiche idiote. Commistioni dilettantesche di astrusi sincretismi, drammi liturgici così macchinosi da far impallidire il capo cerimoniere del Vaticano. Buddisti bretoni piuttosto seriosi. Insulsi drammi borghesi con annoiati figli di papà che rinnegano il calendario gregoriano per abbracciare quello Maya. Gente che sa tutto e che crede in tutto. Chissà, forse più ci si allontana dalla fede tradizionale e più si diventa creduloni. E mentre mi affanno per trovare una soluzione il tempo passa: meno 24 giorni, meno 23... 21... 20... 19... Questa è esattamente la mia condizione e mi invento di tutto per dimenticarmi dei numeri che inesorabili vanno allo zero, che si può chiamare nulla per dargli un po' di fascino, ma che si chiama morte. Siccome ho poco più di cinquant'anni potrei ragionevolmente contare: 2.255.663... 2.255.662... 2.255.661... ma se mi faccio calcolare l'età biologica col il nuovo metodo, quello che arriva direttamente dagli Usa, quello con l'esame del sangue, del capello e della saliva e poi ingurgito vitamine, smetto di fumare i toscani extravecchi e faccio palestra potrei prendere un po' di tempo. Forse meglio recitare un salmo che farmi fare l'esame della saliva dagli americani e poi non è escluso che per una nascosta stenosi della giugulare il conteggio sia 633... 632... 631... e le vitamine servirebbero a poco, oppure 25...24...23... per un autotreno polacco carico di acciaio che, tra un paio di settimane, sbanderà sulla provinciale proprio mentre transiterò io. Così finirò per un giorno, protagonista assoluto, in un trafiletto sul quotidiano locale. La mia cruenta entrata nell'assoluto sarà agilmente svilita dalla pubblicazione della foto dell'auto appiattita col lenzuolo sopra per coprire la salma e il mondo continuerà senza di me. Dal regno dei vivi qualcuno, dal barbiere, darà una occhiata al trafiletto. Per un paio di secondi si sentirà moderatamente addolorato e molto curioso, poi assolutamente eterno: l'oscena immagine della mia scarpa sull'asfalto confermerà allo spettatore la sua immortalità. Ed è davvero triste la prospettiva se non c'è nemmeno il diavolo a farmi compagnia, se non mi intrattengo adorando e bestemmiando dio. E' per questo che li tiro in ballo, è per questo che li chiamo. Forse anche nella storia degli uomini è andata più o meno così e le antiche cattedrali come l'orribile chiesa di cemento armato in periferia, rimedi palliativi al malato terminale, incutono un po' di tenerezza per quell'umano tentativo di rendere più sopportabile l'agonia e di lenire la finitudine. Se avessi un motivo per cui morire avrei la giustificazione adeguata al vivere. Nel seguire la Chiesa non ho trovato risposta. Nell'essermene andato non ho trovato risposta. Nel tenere il broncio a dio non ho trovato risposta, nell'ascoltare il diavolo neppure e così sono rimasto solo di fronte all'incommensurabile. Forse la sofferenza dell'umanità è il carburante che fa funzionare Dio, che così arde ed esiste. Per emanciparmi dalla sgradevole condizione di essere carburante per un orco è forse opportuno utilizzare strategie moderne e invece che a Dio obbedire alla ragione. Illuminarmi nell'idolatrare la razionalità. Fermarmi all'esatto, alla verità di quanto si può comprendere, spiegare, dimostrare e riprodurre obbedendo ai dogmi della tecno-scienza. Talvolta i documentari di Piero Angela tengono a bada l'immenso e il nulla al pari di una giaculatoria. La sera stravaccato sul divano ipnotizzato dal documentario sui neuroni e le sinapsi per una mezz'ora me ne frego dell'inaccessibile. Dura poco ma funziona quasi sempre. Per anestetizzare lo sgomento per l'ignoto potrei usare una volta la fede ed un altra la razionalità. Per far prima le potrei usare anche insieme. Tutte e due circoscrivono l'incommensurabile. Addomesticano l'oltre. Forse affermare o negare Dio sono le due facce dell'unica moneta che ho. Ma, chissà perché, anche se non ho risposta continuo ad essere. Alla vita non glie ne frega niente del nulla, di Dio, della fede e della ragione ed io adesso sono vivo. Io sono. Non so cos'è l'essere, tuttavia sono. Spontaneamente sono, così senza averlo chiesto, senza meritarmelo, senza comprenderlo. Questo senso di essere è arrivato, non so come, non so perché. Da bambino un giorno ho percepito che ero e la sensazione mi ha poi accompagnato; monaco o non monaco, sposato o single, bambino o uomo, credente o no. Sempre lì, non è mai mutata. E' l'unico capitale che ho. E' l'unico problema che ho. Forse hanno ragione i maestri Vedici della lontana India, Dio ha a che fare con ‘sta cosa, con questa misteriosa sensazione d'essere. Forse come i gatti si "è" senza alcun motivo, lo si capisce guardandoli negli occhi che, a lungo termine, se ne fregano di sé stessi e così non hanno padroni. Potrei funzionare con l'io detronizzato. Funzionamento che non chiede e non risponde, come quando digerisco in tutta spontaneità le orecchiette con le rape senza conoscere l'abc della gastroenterologia. Come quando da una goccia di sperma, essenza di una bistecca e una mela mangiata da mio padre, sono diventato feto e poi spontaneamente uomo. Chissà? Sicuramente la vita che sono in qualche modo continuerà ritornando mela e poi inorganico. Cenere di magnesio e zolfo. Ed io? Cadavere che arde sulla sponda del Gange consapevole che anche le pietre "sono", anche se non lo sanno, come quando nel sonno profondo mi dimentico di essere. Insomma, una esistenza asettica, senza attaccamenti, senza amori, priva di storia. D'altronde gli antichi testi sanscriti una qualche ragione ce l'avranno pure nel diffidare di biografie dove sappiamo in anticipo l'ultima parola: the end. Se mi identifico col mio nome sono già fottuto. Non posso escludere che la vita che è in me nel trasformarsi dei suoi elementi sia presumibilmente eterna, ma a che mi serve essere eterno se sono mortale? Potrei comunque provare a fare l'induista, a ricordarmi la correlazione del piacere col dolore ed ad evitare il piacere per non soffrire. Vivere in presa diretta l'istante, omettendo per quanto possibile la personalità. Con l'io rarefatto, senza memoria come un uomo delle caverne, come una mucca che ignora l'humor, che non ha cultura e storia, che non ama. Condannato a rasentare l'inorganico da vivo. Emotivamente mummificato per essere eterno. Non ce la faccio a tirare avanti così. Avrebbero poco glamour pire di salme che ardono sulla sponda sinistra del Ticino. Come italiano ho l'impellente urgenza di avere un creatore. Potrei cavarmela optando per una entità superiore non ben definita, preferibilmente buona, non troppo esigente, un po' simpatica, che conceda di praticare il sesso senza sentimento e che non si incarni in istituzioni. Ma così facendo sarebbe palese che quel dio assomiglierebbe troppo alla mia faccia da mortale e quindi non mi libererebbe dai guai. Solo una alterità assoluta mi toglierebbe per davvero dai pasticci, è la ragione che lo ritiene assolutamente necessario. Urge il colpo di mano risolutivo, la mossa geniale. Necessito di un Dio che prenda iniziativa. Un qualCosa da me assolutamente diverso, quindi eterno e affidabile, ma nel contempo dentro la materia e la carne così che possa salvarmi col mio nome e cognome. Un anfibio, con una zampa nell'eterno e l'altra nella finitudine. Se la chiesa cattolica non esistesse bisognerebbe inventarla. E' la risposta ottimale. Forse avevo incontrato la donna giusta. La bella signora con tutti i crismi che mi ha fatto innamorare. Forse con lei avevo trovato un senso. Avevo compreso chi ero. Potrebbe tornare quella primavera? Potrei ritornare ragazzo a cinquant'anni? C'è qualcuno che risponde? Forse se nella regola avessero scritto:
"A tutti i priori: Dio comunica che è vietato introdurre il dito nell'occhio ai novizi" forse sarei ancora lì. Se non mi fossi coinvolto più del necessario forse staremmo ancora insieme. Dovevo limitarmi a visitare la signora con l'intelletto, la volontà, e l' emozione, ma lei era una esigente, voleva tutto, così ho valicato il confine. Ho dormito nel suo letto e ho scoperto che aveva l'alito fetido. Non poteva funzionare. E' questione di fisiologica intolleranza a sostanze organiche, di pelle.
Sono mortale? Sono immortale? E' il diavolo che mi sussurra: "Sei immortale" e così continuo a farmi domande. Quanti anni ho? Mi hanno assicurato che sono nato in un giorno preciso. Che ora ho cinquant'anni. Ma forse non è mai successo nulla. Un fremito nel vuoto.
fine