Nell’ultima edizione, la VI, del FESTIVAL DELLA FILOSOFIA D’A-MARE di fine aprile a Castellamare del Golfo (Trapani), il filosofo Orlando Franceschelli ha affrontato la tematica-problematica “Natura umana, biotecnologie e poteri economico-politici”, che provo a condensare liberamente e commentare in scioltezza.
Homo faber ha modificato radicalmente i connotati del mondo apportando modifiche territoriali, strutturali e climatiche, operando una così potente e onnipervadente trasformazione da determinare un’inaspettata epoca geologica: l’antropocene. La scienza e la tecnica hanno indubbiamente aiutato enormemente la civiltà ma nel contempo la minacciano. Di quali nuovi strumenti necessitiamo per decifrare e affrontare queste nuove sfide? Siamo già attrezzati, e da tempo, se socraticamente sappiamo “condurre l’indagine ancora meglio, sul modo per cui bisogna vivere”, in questo solco socratico sorge spontanea una domanda (La domanda) logica ed etica: “ Tecnologia: per fare cosa?”
La Problematica è evidentemente nuova ma ha radici antiche. Come non rammentare l’incipit di Genesi, quando Dio disse: «Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e dòmini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra», snodo operativo di tale concezione la troviamo nel tardo medioevo quando Bacone, Prometeo 2.0, prese il fuoco agli dei senza necessità di rubarlo perché autorizzato dal Dio giudaico-cristiano. Ed eccoci ora qui con Dio che è morto e noi col fuoco in mano, poderosi i vantaggi nondimeno i possibili scenari da incubo.
Grazie alle biotecnologie la vita organica dei singoli durerà di più e meglio e forse colonizzeremo altri pianeti se nel nostro le cose si metteranno male. Ma se così sarà (lo sarà?), sarà per tutti o solo per qualcuno? Le tecnologie sono progredite ma la natura umana è sempre la stessa. Non pochi gli indizi profetizzano masse di schiavi che edificheranno, spezzandosi la schiena e lo spirito, piramidi a beneficio di élite di sacerdoti detentori del biopotere, novelli san Pietro con in mano le chiavi del Regno. Il problema non risiede, dunque, nella scienza e neppure nella tecnologia ma nell’uso che ne facciamo:
«Beato chi possiede l'apprendimento della ricerca, non slanciandosi a danneggiare i suoi concittadini né a compiere azioni ingiuste, ma contemplando l'ordine infinito della natura immortale, come si è formato, in che modo; a persone così non si accosterà mai la pratica di azioni turpi.» (Euripide, frammento 910)[1].
Gli astrofisici sentenziano che il mondo sicuramente finirà e di Homo sapiens non rimarrà segno, tutto sommato un motivo in più per non pestarci in piedi nel tempo che ci è dato. Sono e saranno le scelte etiche e politiche che determinano e determineranno il mondo, il progresso della scienza e delle tecnologie, di per sé neutre[2], amplificano e catalizzano nel bene e nel male le conseguenze delle nostre opzioni etiche. Tutto dipende dal nostro personale scegliere per la volontà di potenza così da sopraffare i nostri simili o per l’amore che ne cura le ferite, ed è cruciale implementare una pedagogia che dimostri la ragionevolezza e il vantaggio di volere e sapere curare, fino al coraggio di affrontare la tragicità del dolore irredento, della sofferenza del giusto e dell'innocente.
Concludo con una mia annotazione. Osservando la nostra civiltà con il metro e i tempi degli astrofisici, consideravo che, dato che di Homo sapiens non rimarrà segno, risulta irrilevante sia la volontà di potenza che schiaccia l’altro, sia l’amore per il prossimo e che una pedagogia che qui poggia insegnerebbe che la vita non ha alcun senso. Nel frattempo (qualche miliardo di anni) è comunque conveniente implementare narrazioni (la religione è una di queste, la Costituzione italiana anche) preferibilmente non bislacche, che resistano alla gloria dell’inorganico. Se senso non c’è lo costruiremo noi con correlate pedagogie.
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1 Improbabile che Rotblat, lo scienziato che rifiutò di collaborare nel progetto nucleare Manhattan, conoscesse l’antico frammento di Euripide, ma dopo Hiroshima lo riaffermò con precisione: “Ricordatevi della vostra umanità, e dimenticate il resto.”
2 Per alcuni versi anche scienze e tecnologie sono prodotti culturali, quindi non neutri: «I fatti non ci sono, bensì solo interpretazioni» (Nietzsche); «I fatti sono carichi di teoria» (Popper); «Così come un popolo sceglie i propri governanti, la teoria conferisce autorità all’osservazione, affinché governi la giustificazione delle teorie» (P. Kosso). Tuttavia tra le tante storie che implementiamo per comprendere il mondo naturale le scienze e le tecnologie permangono tra le più affidabili ed efficienti.