Le conferenze sono agilmente trascrivibili e le lezioni condensabili in bigini, ma se si vuole raccontare l’ultima edizione del FESTIVAL DELLA FILOSOFIA D’A-MARE di fine aprile, svoltosi a Castellamare del Golfo (Trapani), non si ha dove posare il capo. Tutto poggiava sul dialogo filosofico e il dialogo come il pesce è meglio mangiarlo fresco in presa diretta.
Le quattro giornate sono state architettate in una proficua sinergia di relazioni di filosofi seguite, a caldo, da gruppi di lavoro dei con-filosofanti, partecipanti non filosofi di professione come me, che indagano e pensano autorizzandosi da sé, moderati maieuticamente da altri filosofi. Gruppi di lavoro nei quali i filosofi che avevano precedentemente relazionato stimolando la tematica, partecipavano come semplici con-filosofanti mischiati ai partecipanti. Situazione rara, forse unica nel panorama dei festival filosofici, dove i filosofi relatori il più delle volte si limitano, poco laicamente, a pontificare ieratici dal palco senza interagire con i partecipanti.
Evitando il surgelato della trasmissione in differita provo a scrivere in libertà frammenti del mio diario spirituale di partecipante, una sorta di stream of consciousness che il Festival mi ha attivato, riportando mie comprensioni ed elaborazioni che potrebbero scostarsi dall’originale quanto si discosta, per dirla alla Montaigne, il miele prodotto dalle api dal nettare dei fiori che bottinano.
In questo articolo dirò della tematica affrontata dal filosofo Alberto Giovanni Biuso, notevole per contenuti ed esposizione, argomento “La passione amorosa”, stiamo parlando dell’innamoramento estremo; se è innamoramento è estremo altrimenti è un’altra cosa. Nella passione amorosa irrompono elementi e moti naturali (corpo, leggi di riproduzione) nelle dinamiche culturali (storia, civiltà). Tale irrompere pur favorendo relazioni intraspecifiche le perturba alla radice, la passione amorosa è avvenimento anarchico ed eversivo del socialmente costituito che il potere sociale istituito guerreggia. Come l’angoscia di piombare nel baratro del nulla è risolta kierkegaardianamente dall’inserzione dell'eternità nel tempo operata da Cristo, nell’innamoramento accade esattamente l’opposto: l’irrompere del dio sconvolge il risolto e apre baratri. Nell’abbandonarci all’Altro si svolge un “dramma ermeneutico”, nell’innamoramento l’Altro non è più un individuo con la sua biografia ma entità sacra, separata, irraggiungibile nella sua assolutezza. Per comprendere i territori estremi e tragici che provo ad indicare ognuno può attingere dalla propria esperienza esistenziale, per maggior chiarezza invito a rammentare “I dolori del giovane Werther” del primo Goethe, per chi non lo conoscesse può, in subordine, leggere il testo della canzone “Pugni chiusi” quella dei Ribelli che, rischiando certamente la grossolanità ma favorendo forse la comprensibilità della tematica, riporto:
«Occhi spenti nel buio del mondo
per chi è di pietra come me […]
Perduto per sempre! Non ha più ragione la vita.
La mia salvezza sei tu […] Pugni chiusi non ho più speranze
in me c'è la notte più nera […]
Io come un albero nudo senza te
senza foglie e radici ormai […];
Mi manchi come quando cerco Dio
il dolore è forte come un lungo addio […]
E l’assenza di te è un vuoto dentro me […]
In ogni lacrima tu sarai per non dimenticarti mai.
E mi manchi, amore mio così tanto che ogni giorno muoio anch’io […]
Grido il bisogno di te perché non c’è più vita in me.»
Nell’innamoramento L’Altro ci sconvolge, proiettandoci in una “utopia temporale” un “Sempre” dove amore e morte, freudianamente, si fondono. Ricordo lo psicoanalista Giacomo Contri che aveva implementato la puntuale definizione di “Cielo Infernale”. L’Altro, unico e assoluto, è oggetto ermeneutico dal quale ci rimbalzano addosso le immense forze che gli proiettiamo sopra: “dramma della solitudine”.
Annoto l’importanza di affrontare il dramma dei femminicidi evitando impotenti moralismi, consapevoli dei territori che Biuso additava, così da essere, per quanto possibile, attrezzati nel decifrarli e allenati nel transitarli. Sulla falsariga della lettera di Paolo agli Efesini bonificata dagli effluvi gnostici, si potrebbe qui affermare:
«La nostra battaglia infatti non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro gli spiriti che abitano nelle regioni celesti».
Nei successivi gruppi di lavoro dei con-filosofanti sulla tematica si è perlopiù virato verso l’affermazione degli aspetti positivi dell’amore, inclusi gli amori amicali e quelli agapici. Divagazioni lecite per i non filosofi di professione quanto è stato lecito, anzi doveroso, per Biuso il suo dire senza digredire. Plausibile che nei con-filosofanti e nei filosofi moderatori si sia attivata una sorta di legittima difesa, quella consigliata nel Libro Dodicesimo dell’Odissea:
«Le Sirene sedendo in un bel prato,
Mandano un canto dalle argute labbra,
Che alletta il passeggier: ma non lontano
D'ossa d'umani putrefatti corpi
E di pelli marcite, un monte s'alza.
Tu veloce oltrepassa».