A pagina 233 del saggio sulla spiritualità filosofica «Mosaici di Saggezze» di Augusto Cavadi - chiedo scusa al lettore se sono ripetitivo, ma questo è il libro che da qualche tempo rumino con piacere - incontriamo pagine sul «Distacco dalla mera razionalità» che toccano i punti forse più estremi, sicuramente più rischiosi, della filosofia: distacco e rinunzia dalle idee non solo degli altri e proprie ma «in quanto tali». Da una parte Cavadi dice i limiti del dogma illuministico: uomo che poggiando sulla logica si percepisce libero dall’angoscia e luce del mondo, senza riconoscere che in questa presuntuosa antropocentrica smisuranza «la terra interamente illuminata [dall’umana ragione] splende all’insegna di trionfale sventura» (Horkheimer e Adorno). L’Autore apprezza la diagnosi ma nel contempo prende pacata distanza dalla terapia d’emancipazione che Horkheimer e Adorno offrono valutandola nebulosa. Osserva che i due autori - e con loro numerosi altri filosofi - constatano l’evidenza che «il pensiero, quando pensa sino in fondo, riesce a pensare anche la propria limitatezza» e lì si fermano. Impasse irrisolvibile? Cavadi indica, procedendo coi piedi di piombo, la possibilità di oltrepassare la filosofia per mezzo della filosofia stessa. Come? E’ possibile immergersi filosoficamente nel solco e nelle tecniche delle tradizioni mistiche? Cavadi precisa che se con mistica intendiamo «isolamento solipsistico» (annoto che possono anche verificarsi isolamenti solipsistici collettivi con l’io di gruppo, come nella mistica nazista) tale approccio è valutato dall’Autore estraneo alla filosofia, se invece intendiamo con mistica la «ricerca di modi altri di entrare in contatto con l’Essere quale per noi accessibile nei, attraverso e oltre i fenomeni» è filosofia, sebbene al di là di come comunemente intesa, beninteso se delineata da vigile e razionale procedere così da non prendere lucciole per lanterne nell’incantesimo di «intellettuali autismi».
E qui domando cosa s’intende per “Essere” con la “E” maiuscola? E cosa significa procedere, di fatto, oltre i fenomeni? Alla prima domanda Cavadi, come nei bei film, lascia il finale aperto. Alla seconda risponde invitando a non separare spirito (volontà, libertà, amore) da pensiero, a non dividere la ragione dall’irrazionale, in quanto l’irrazionale compenetra con emozioni, fantasie, sogni e molto altro ancora che sfugge alla pura logica, la ragione stessa. Come dargli torto visto che perlomeno il cinquanta per cento dell’arte - pensiamo a esempio ad un film di Tarkovskij - è frutto di tale compenetrazione. Approccio capace di oltrepassare il mero empirismo per addentrarsi oltre in territori altri, abile nel dire attraverso «metafore-parole, simboli-parole». Integro osservando che anche qui, come prima ricordava Cavadi, occorre individuare insidiosi autismi intellettuali monitorando, di volta, in volta, quanto in tale approccio ci sia di pre-personale (incistamenti del bebè nell’adulto) e di trans-personale (mistico santo, però anche maturo e sano), onde evitare equivoci: la psicoanalisi insegna di madri e padri magari disgraziati che non di rado occhieggiano oltre il Velo di Maya in paradisiache o infernali apparizioni. Ricordo di un esercizio proposto in un corso di scrittura autobiografica: ci avevano invitato a scrivere l’ “indicibile” ed ero rimasto con la penna in mano e il foglio bianco, su una trentina di partecipanti solo due avevano scritto, poi un po' imbarazzati avevano letto le loro righe: due stringati resoconti mal scritti d’esperienze psicotiche avute nell’adolescenza. Se non si è Rainer Maria Rilke forse opportuno stare alla larga da quei territori, aveva ragione l’Odissea:
«Le Sirene sedendo in un bel prato/ mandano un canto dalle argute labbra
Che attira il passegger/ ma non lontano
D’ossa e di umani putrefatti corpi/ e di pelli marcite
Un monte s’alza
Tu veloce oltrepassa.»
Da giovane mi soffermavo invece di lasciar perdere e ventenne, siccome ognuno ha Le Sirene che si merita, suonavo ogni sabato il campanello del monastero brianzolo della Bernaga, quello delle monache Romite Ambrosiane, quelle di clausura stretta. Avrei potuto anche essere un serial killer ma le monache si fidavano a scatola chiusa, aprivano il portone e mi facevano entrare nella cappella, lì senza che nessuno mi rompesse i coglioni cercavo in ginocchio il distacco dalla mera razionalità, però nello stare in silenzio mi sentivo un deficiente allora meditavo sulle sacre scritture e il senso del vivere proprio come altri milioni di persone, però in quell’ambiente ieratico mi sentivo spiritualmente fighissimo. Anni dopo credevo di aver cambiato radicalmente rotta, ma invece frequentavo gli stessi territori partecipando a cerimonie con nativi americani incontrati per caso. Con loro ingurgitavo nottetempo piante psicotrope attorno a un fuoco. Quando il mix di Peyote e Ayahuasca andava in circolo il corpo vomitava, lo sciamano spiegava che succedeva perché il corpo si purificava: “La medicina va a limpiar todo el cuerpo”. Nella notte non consideravo che il vomito era procurato dalla tossicità della pianta, davo fede alle parole dello sciamano e mi sentivo davvero bene perché avevo un picco di consapevolezza: mi sentivo parte della natura e degli altri presenti come se fossimo un corpo solo, stato che senza il bisogno di ingurgitare sostanze psicoattive è frequentato e descritto dai filosofi del naturalismo, concezione che negli ultimi tempi hanno denominato “eco-appartenenza”. A sostanza smaltita il picco finiva e mi ricordavo ancora il mio nome e tutti i nomi che un qualche Creatore aveva forse inventato per differenziare le cose così da divertirsi a giudicarle, però se alzavo troppo il gomito la mescalina restava in circolo anche un paio di giorni. La cerimonia iniziava la sera e terminava all’alba, così dopo una doccia aprivo l’erboristeria; mi sembrava di sapere le richieste dei clienti in anticipo, così mettevo sul banco i rimedi prima che mi venissero richiesti, quasi sempre quelli giusti o almeno mi sembrava. Insoddisfatto avevo intrapreso percorsi “vedantini”, quelli dell’Advaita della lontana e ancestrale India che attaccavano frontalmente l’io invitando a dissolverlo nell'impersonalità universale fin da vivi.
Solo in seguito mi è accaduto un fattuale cambio di prospettiva e rotta, da una parte grazie alla lettura di Freud, dall’altra per l’invito alla misura proveniente dalla grecità classica. Ho così appurato che, almeno per me, tale desiderio mistico di sperimentare un metafisico oltre era in parte prodotto e sostenuto da una semplice e terrena sensazione di mancanza risalente all’infanzia poi esaltata ed espansa a teoria universale, anche grazie a rappresentanti del nichilismo filosofico e dei loro cugini esponenti dell'esistenzialismo, eccellenti anabolizzanti al riguardo. Di fatto si trattava di personale circoscritto buco non di immensa voragine metafisica, faccenda agilmente risolvibile senza necessità di viaggi nelle alte sfere. Dall’altra, grazie ai greci, l’individuare in me tratti mica tanto sani d’inconsapevole e un po’ narcisistica smisuratezza, impotenti presupposte onnipotenze che il mito di Icaro ben esprime. Così mi ero attivato nell’individuarli e circoscriverli onorando e utilizzando l’unico capitale di cui dispongo e del quale disponiamo: l’io pensante. Capitale determinato eppure mezzo di produzione e correlata soddisfazione senza riserve e restrizioni. «Io sono io e la mia circostanza e se non salvo questa non salvo neppure me.» [1] «Non possiamo sapere, né congetturare di che cosa sia capace la natura umana messa in circostanze favorevoli.» [2]
Consapevole che la filosofia è tutt’altro, lontano da voler interpretare il mondo col mio metro e di inglobare gli altri nella circoscritta biografia individuale considero che, mistica o non mistica, è cosa buona e giusta partire da, e poggiare su, questo miracolo di un io che pensa, anche perché omessolo se godi alla grande dissolto nelle alte sfere manco lo sai.
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[1] José Ortega y Gasset , Meditazioni del Chisciotte.
[2] Sintesi di un brano dello Zibaldone da G.B. Contri, Una Logica chiamata uomo, Sic Edizioni.