BLOG DI BRUNO VERGANI

Radiografie appese a un filo, condivisione di un percorso artistico

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Lunedì, 12 Ottobre 2015 11:50

Mosaici di saggezze

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Al «Credi in Dio?» - Domanda che dalle nostre parti sovente contiene il sottotesto: «Sei cattolico o ateo?» - Rispondo: «Con Lui ho un flirt complicato», come merita una domanda mal posta nel suo implicito imporre e costringere ad un dualistico aut aut tra fideismo e ideologismo, fra teismo e nichilismo. Il saggio Mosaici di saggezze, Filosofia come nuova antichissima spiritualità, (Diogene Multimedia, Bologna 2015, pp. 357), del filosofo Augusto Cavadi analizza e spiega il perché di questo erroneo imperversante approccio e indica ragionevoli e praticabili alternative di emancipazione da tale miope, asfittico, provincialismo. L’opera, oltre all’inequivocabile taglio filosofico pluralistico-aconfessionale sintetizzato nel titolo, affronta con taglio ritengo inedito la complessa, anzi ciclopica, questione spirituale della, e nella, filosofia. Prefazione di Orlando Franceschelli, esponente valoroso del naturalismo filosofico, uomo di pensiero abile - più del cane antidroga dell’aeroporto con l’hashish - nel subodorare, identificare, estrarre e smantellare, tracce occulte anche infinitesimali di clericalismi e integralismi religiosi, come pure ideologicamente areligiosi, dunque, in qualche modo confessionali. Presenza che chiarisce e rassicura, dalle prime pagine, del taglio filosofico e laico di un libro sulla spiritualità e “spirituale”; spirito evidentemente inteso come entità che si rivela ed esprime - non in antagonismo con materia, corpo e Natura - come moto personale e universale di pensiero, sentimento e volontà, alla ricerca del vero, del bello, del giusto, suggerendo «cammini ragionevoli per abitare, con serenità e se possibile con allegria, il groviglio delle nostre esistenze.»
Quello che subito colpisce del saggio - oltre al piacevole disorientamento procurato dell’oggetto libro in sé con copertina, grafica e impaginazione, evocanti un corposo catalogo dell’Ikea - è la profusione di citazioni che strutturano buona parte dell’opera, oltre a quasi mille note purtroppo non a piè di pagina, ma tutte da meritarsi con continue aperture e chiusure del volume in quanto poste alla fine. Citazioni tanto copiose che nei primi capitoli il lettore si sentirà un po’ spiazzato perché apparentemente orfano dell’Autore, del suo peculiare stile, di quel “tu” con il quale interloquire; un iniziale effetto collage che nel prosieguo della lettura apparirà, via via, sempre più familiare e piacevole, una sorta di progressiva messa a fuoco che vedrà dal collage prendere forma, coerente col titolo dell'opera, eleganti mosaici. Si potrebbe ritenere che tale metodo derivi principalmente dalla pluridecennale esperienza professionale di insegnante di filosofia dell’Autore: probabilmente vero ma sicuramente parziale. Il punto è che Cavadi se ne impipa del personale protagonismo e correlati sfoggi d’erudizione: nel percorso sullo spirituale, esso stesso spirituale, sviluppato nel saggio, suo e dei tanti dei quali riporta citazioni - trattati con pari rispetto da Patti Smith (la cantante) a Kant, seppur con differenti valutazioni - sceglie di porsi come discreto regista e comprimario. Nello svolgersi del libro affiora intermittente una vera e propria storia della filosofia, beninteso storia spirituale, fresca e accattivante perché compenetrata dal percorso autobiografico dell’Autore che giunto a maturità rendiconta un’articolata testimonianza del suo vissuto e della personale ricerca: testamento a babbo vivo che dona al lettore eredità universale proficua e nel contempo impegnativa in quanto percorso di lavoro e di vita «intrinsecamente interminabile».
In merito alla citatologia digredisco annotando che sovente imperversa in donne e uomini di pensiero e azione caratterizzati da approccio clericale o esasperatamente ideologico, altrimenti accademico specializzato settorialmente oltremisura; soggetti che ripetono ossessivamente solo e sempre gli stessi - di solito non più di un paio - autori e testi “sacri” di riferimento, citatologia che Costanzo Preve giudicava, ritengo puntualmente, «parente povera della filosofia». Nel saggio di Cavadi invece, agli antipodi da quanto sentenziato da Preve, le citazioni irrompono eterogenee e universali e nel contempo legate da un fil rouge che le articola razionalmente e esteticamente. Questo peculiare dire di Cavadi “a modo suo e a modo loro” stimola una fluttuante, libera e pluralistica espansione di pensiero nel lettore. Citazioni disparate scelte, criticamente analizzate e vagliate dall’Autore che preciso esprime, quando lo ritiene necessario, puntuali distinguo oltre a individuare, talora con motivata durezza e avulso da hegeliane interpretazioni di sacralità della storia, eventuali limiti, rischi di derive e plateali dannosità. Un pluralismo irriducibile e impenitente ma non buonista. Ricordo che in un vangelo apocrifo si narra degli apostoli che attraversando i campi s’imbatterono in una carcassa di cane in putrefazione e san Pietro, che stava davanti, disse: «Maestro, scostati», ma Gesù, al contrario, andò avanti e fermandosi a un passo dal cane esclamò: «Che denti bianchi!» [1]. Cavadi a differenza di quanto qui narrato di Gesù dice la carogna, ma uguale a lui i denti bianchi è sempre abile nel coglierli.

Nei primi capitoli vengono analizzati natura e scopi della filosofia, la peculiare matrice spirituale, i proficui motivi per cui filosofare e esposte altre e differenti matrici spirituali : orientale, New Age, psicologica, l’opera è ricca di citazioni spiazzanti, su questa ultima matrice psicologica emerge come e quanto Freud fosse più spirituale di Jung. Il saggio sbroglia il complesso rapporto storico della filosofia e delle spiritualità a matrice filosofica con la spiritualità in genere, e quella delle religioni rivelate e istituzionalizzate, dinamiche d’antagonismo e di reciproche contaminazioni e compenetrazioni talvolta proficue, come anche deleterie. Qui il saggio con semplicità espositiva diventa complesso com’è complessa la tematica affrontata: dalle notorie tematiche di Agostino che cristianizza il platonismo platonizzando così il cristianesimo e Tommaso che segue percorso simile con l’aristotelismo, a passaggi minori poco conosciuti e sorprendenti come, ad esempio, il copyright “Esercizi Spirituali” e correlate pratiche tutte della filosofia greca classica, solo in seguito “rubate” e fatte proprie dal cattolicesimo. In questo sbrogliamento oltre a circostanziare talune evidenti arroganze dei monoteismi storici e connessi monopoli spirituali, come pure di alcune ideologie, sono ben analizzate e denunciate le responsabilità della filosofia medesima nel suo avere soventemente abdicato, in sterili intellettualismi, alla sua vocazione spirituale; vocazione universale di indagine al significato e fine dell’esserci, dell’Altro, della Natura, della finitudine, della sofferenza, della soddisfazione personale e collettiva e correlate prassi di vita. Territori che se lasciati vuoti dalla filosofia vengono inevitabilmente, come accade nei processi della fisica, colmati e colonizzati da chi si trova da quelle parti. Il prestante invito e la testimonianza di Cavadi per una filosofia capace di spiritualità pensata e vissuta non cade nell’equivoco del massimalismo, coerente al suo pluralismo invita ad una spiritualità anche «oltre la filosofia per mezzo della filosofia». Descrive inoltre «come fra parentesi» differenti modelli di spiritualità “laica” alternativi alla filosofia stessa: letteratura; musica - “leggera” inclusa -; pittura; ricerca storica e artistica; scienze “dure”, fino alla gastronomia e allo sport.
Il saggio espone costellazioni di filosofi moderni e postmoderni dove Cavadi sceglie, per evidenti esigenze di condensazione, una ventina di gemme che si sono distinte per lo specifico e diretto contributo ad una filosofia spirituale, talora loro malgrado - come Feuerbach o Fichte - dove l’Autore individua, enuclea e palesa la peculiare spiritualità in modo convincente. Capitoli davvero preziosi per chi, non filosofo di professione come il sottoscritto, desidera apprendere agilmente snodi cruciali della spiritualità filosofica moderna e postmoderna.

La seconda parte del libro dedicata allo sviluppo e all’applicazione pratica dettagliata le «Linee essenziali di una spiritualità filosofica». Veri e propri esercizi spirituali laici, dove lo stile di scrittura si fa ancora più diretto e fruibile, s’incrementano le annotazioni autobiografiche e diminuiscono, in parte, le citazioni che appaiono forse più valorose per la loro immediatezza e incisività. Indicazioni di metodo pratiche mai moralistiche, ma frutto e nel contempo pianta del corretto filosofare. Docilità critica alla lezione delle scienze, presenza a sé e agli altri, capacità di auto umorismo, accettazione della propria finitudine, saggia gestione delle critiche altrui, equilibrio negli stili di vita, distacco, gratitudine… Percorso pratico di saggezza, dunque, di soddisfazione. Il libro si congeda poeticamente con una commovente (muoversi insieme) poesia di David Maria Turoldo e chiude con un “Dossier Operativo”: non poteva finire che così questo percorso spirituale, dossier che non indica eventuali nebulose ipotesi di lavoro future, ma rendiconta e invita a quanto Cavadi è stato abile a implementare e imprendere da decenni, percorso ben anticipato nella prefazione di Franceschelli. Momenti pratici e precisi di spiritualità operativa e comunitaria: Vacanze, Week - end e cenette filosofiche, Domeniche di chi non ha chiesa, seminari di teologia critica, celebrazioni comunitarie.  

Nell’intero libro un solo motivo di personale titubanza, inizialmente nebuloso, mi è stato chiarito grazie a una decina di citazioni con approccio e taglio mistico che l’Autore riporta di Marco Vannini: non solo non  mi sono piaciute, ma, nonostante i distinguo e le precisazioni di Cavadi, non le condivido nel merito percependole cubetti del mosaico un po’ fuori posto. Citazioni purtroppo serie (quanto sarebbe qui utile un po’ di umorismo Zen con la consapevolezza di un Thomas More), che estrapolo e condenso attento a non distorcerle: “fondo dell’anima”; “personale anima abile nel raggiungere sublimità al di sopra della natura” - qui l’arguto Franceschelli nella prefazione, nonostante l’inequivocabile effluvio di sostanza stupefacente, ha amichevolmente glissato; “La grazia è senza perché […] appare come l’universale, ove non è più l’io”;  “magica forza” dove Vannini si trova specularmente d’accordo con Hegel - per speculare intendo come si diceva negli anni ’70 degli opposti “ismi” che s’incontrano, a riguardo mi tornano alla mente i desaparecidos dei regimi argentino e cileno, dove i militari hanno ucciso spietati migliaia di cittadini moderati e estranei al conflitto, ma sovente graziavano i reali e diretti nemici organizzati e armati: si sa, tra militari ci si può anche intendere. Un approccio mistico indifferente a qualsiasi «conoscenza della conoscenza» (Morin), contiguo all’occultismo favorente totalitarismi - su questo Cavadi in altri passaggi ha colto puntualmente potenziali rischi di derive autoritarie - in quanto più poggiato sull’emozione che sul cosciente e razionale pensiero. Forse esagero ma non possiamo escludere che l’ineffabile è tale non perché sublime ma perché non contiene nulla. Se contiene, dice e dice bene e bello (a pagina 126 un illuminante Wittgenstein risolve la problematica), ma sul nulla può attecchire di tutto: un individuo che afferma un potente, impersonale, soprannaturale profondo dell’anima potrebbe alzarsi una mattina e, coerente con sè stesso, pontificare al mondo senza alcun perché che tale forza, per azione di una gratuita universale potenza magica, è lui medesimo. E’ accaduto nei totalitarismi e correlati olocausti, accade ai piccoli guru nelle derive New Age. Appare dunque necessario integrare con un’accurata analisi la relazione tra l’umano pensiero e il sacro e viceversa. Sacro evidentemente prodotto dal pensiero del soggetto fin dai primordi, eppure tarlo potenzialmente esautorante e il soggetto e il pensiero, sia in versione annichilente che di ebbra esaltazione. Relazione del pensiero col sacro; della razionalità con l’emozione; del plausibile con l’occulto paradisiaco o infernale che sia, per la quale ritengo proficuo permanga, affermando il primato della ragione produttrice di sano, e tutto sommato anche di santo, una consapevole e dialettica dicotomia.  
Consapevole d’aver voluto recensire il saggio con la congruità che merita ma, per evidenti limiti di personali competenze, di non esserci riuscito, termino un po’ migliore grato all’Autore e a tutti i suoi amici di percorso.

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[1] Cfr. R. Dunkerley - a cura di -, The Unwritten Gospel. Ana and Agrapha of Jesus, Allend and Unwin Ltd, London 1925, p. 84.

Ultima modifica il Mercoledì, 11 Novembre 2015 11:16

3 commenti

  • Link al commento Augusto Cavadi Lunedì, 12 Ottobre 2015 12:53 inviato da Augusto Cavadi

    Bruno carissimo, questa volta oltre a farmi pensare e sorridere (come di solito) mi hai anche 'commosso'. Grazie per l'intelligente attenzione alle mie pagine di cui hai colto l'essenziale. E grazie per le notazioni critiche che mi aiuteranno ad andare ancora più a fondo.

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  • Link al commento Bruno Vergani Lunedì, 12 Ottobre 2015 18:44 inviato da Bruno Vergani

    Caro Augusto,
    mi ha davvero "preso", lo centellinerò e tenterò di viverlo a oltranza.

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  • Link al commento Bruno Vergani Martedì, 20 Ottobre 2015 11:26 inviato da Bruno Vergani

    Riguardo il sacro - prodotto dal pensiero del soggetto fin dai primordi, eppure entità separata e assoluta - non escludo abbia anche sostenuto e ancora favorisca l’umana realizzazione. In tal caso, siccome non lo so, chiedo: quando e come è storicamente e personalmente accaduto e ancora accade? Riguardo invece le implicite potenzialità esautoranti prodotte dal sacro, sia in versione annichilente che d’ebbra esaltazione del soggetto e del pensiero, lo so grazie a precisi ricordi autobiografici, quando tempo fa frequentavo ambiente religioso dove si soleva ripetere con faccia infervorata: “Io sono una merda (annichilimento) ma Dio mi ama (esaltazione)”.
    Dopo anni ho letto al riguardo commento di psicoanalista che prendeva netta distanza da un Dio coprofilo.

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