Anacoluto e dintorni
Montaigne spiega che i suoi Saggi procedono “a salti e sgambetti” (Essais, III, 9). La forma letteraria discontinua, mobile, disordinata, incoerente, fluttuante, o coincisa al massimo, all’opposto del dimostrare, esortare, prescrivere, moralizzare, disciplinare, formare, vuole esprimere l'infinita, movimentata, complessità e diversità del mondo e di ognuno di noi.
Nello squilibrare il lettore lo eccita a riempire i buchi e a ricostruire l’assetto (stabilità) dello scritto; coautore che completa, elabora e crea in proprio il significato di ciò che legge. Va da sé, che il risultato del processo non condurrà a un significato univoco, standardizzabile, definitivo.
Eterno ritorno
Quand’ero giovane ottemperavo precetti preteschi santificando le feste e evitando atti impuri; obblighi e divieti finivano suppergiù così.
Oggi che frequento filosofi sono pacifista e nonviolento, vegetariano e un po' vegano, mi impongo di raccattare bottiglie di birra gettate sulla pubblica via, mi costringo a votare alle politiche, mi obbligo a imparare una nuova parola al giorno, mi vaccino a raffica e se incontro qualcuno che diserta lo scomunico all'istante, mi impegno a leggere un nuovo libro al mese sopportando pazientemente gli autori molesti, firmo gli appelli di Amnesty e se scrivo a più persone metto sempre lo schwa.
Quelli del giardino
Sono pochi i momenti epifanici in una esistenza, a me ne sono capitati soltanto quattro quando immerso nella natura mi scordavo un po' di me.
Forse è raro che a un io gagliardo e traboccante accada un'apparizione, una manifestazione, un'improvvisa rivelazione, più probabile che capiti a un io pacato, circoscritto, ridotto.
Orizzontale, verticale, diagonale
Basta leggere gli editoriali dei quotidiani per constatare che più la conoscenza si estende e più tende a diventare superficiale; muovendoci in orizzontale sacrifichiamo il verticale e viceversa.
Forse nasciamo con una portata di conoscenza delimitata, o forse più adatta per spaziare obliqui, in diagonale.
Giusto un po’
Francamente non ho mai compreso cosa sia il Sé (quello con la maiuscola); non so se, e quanto, sia davvero possibile percepire e pensare il mondo in una sorta di terza persona superiore, o addirittura impersonalmente.
Però non male provare a relativizzare un po’ se stessi, quel giusto per percepire e pensare ancora il mondo senza però rimanerne impegolati.
Snodi e annodi
Stabilito che il mondo non possiamo intenderlo indipendentemente dal nostro pensiero e non possiamo conoscerlo al di fuori del nostro percepire, gran parte della filosofia moderna conclude che il mondo (ci) è inconoscibile “in sé”.
L’umanità se ne impipa della cosa piuttosto convinta che il mondo possiamo invece conoscerlo per ciò che realmente è, come se possedessimo il potere di bypassarci per carpirlo in presa diretta.
Alcuni filosofi lo chiamano realismo ingenuo ma forse è saggezza popolare.
Manco mezzo minuto
Basta stare anche solo mezzo minuto nella semplice consapevolezza di essere[1], per constatare che trascendiamo la nostra biografia.
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1 Non d’essere questo e quello (genere, età, ruoli, ecc.), ma permanere nella pura consapevolezza di essere priva di predicati: l’Io Sono espresso nella rivelazione biblica e anche nei Veda. E’ uno stato molto potente ma così vicino che risulta difficile sperimentarlo.
Credenze simmetriche
Quanto si somigliano le lapidarie sentenze dell’assodata finitudine d’ogni cosa nell’irrefutabile assenza di senso e quella del “Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, Creatore del cielo e della terra”.
Specularmente apparentate nel metodo e nello stile (un po' margiasso nel presumere di sapere tutto), come se generate da identica matrice.
Teatro dell’assenza
Può anche essere che ciò che chiamiamo io sia nient’altro che una credenza o una convenzione, che sia sprovvisto di unità e identità propria, che non sperimenti alcunché ma che sia invece prodotto delle esperienze:
“fasci o collezioni di differenti percezioni che si susseguono con una inconcepibile rapidità, in un perpetuo flusso e movimento”, perché “la mente è una specie di teatro, dove le diverse percezioni fanno la loro apparizione, passano e ripassano, scivolano e si mescolano con un’infinita varietà di atteggiamenti”, come sosteneva Hume.
Ma come è mai possibile che questo teatro senza regista, che questo indeterminato flusso di percezioni di nessuno, sia consapevole della propria struttura, al punto da poterla dettagliare con tanta precisione come ha fatto Hume? Non appena affermi d’essere nessuno sei subito qualcuno.
Lavoro
Il filosofo mentre snoda l’antinomia, l’idraulico intanto che stura lo scarico, l’asceta impegnato nello staccarsi dal mondo, il chirurgo intento a riattaccare la mano amputata.
La soddisfazione accade quando, tutti intenti a un fine, ci dimentichiamo di noi stessi.