BLOG DI BRUNO VERGANI

Radiografie appese a un filo, condivisione di un percorso artistico

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Approvo

 

Alle regionali mi hanno calorosamente consigliato di votare un tizio, ho guardato la foto e ho deciso rapido di non votarlo non solo perché non so chi sia, cosa abbia fatto e cosa intenda fare, ma anche perché la sua faccia non mi piace. Si dice che dopo i quarant’anni ognuno ha la faccia che si merita e quello lì non si merita la mia preferenza. Irragionevole ma lecito. E i simboli? Le bandiere? Significano davvero quello che comunicano se accade che Il crocifisso viene oggi impugnato a mo’ di martello da dare in testa all’extracomunitario?Il simbolo è quanto evoca o rappresenta, per convenzione o per naturale associazione di idee, un concetto astratto, una condizione, una situazione, una realtà più vasta.Impossibile pesare duecento grammi di "Libertà" o prendere una manciata di "Italia", quindi una statua e il tricolore compiono la magia di rendere agilmente tangibili concetti astratti.La comunicazione attraverso i simboli è un linguaggio antico e naturale di immediata comunicazione perché, rispetto ai consueti mezzi di informazione, rompe le barriere semplificando l’interpretazione e la memorizzazione dei messaggi.Il simbolo nella sua iconicità, puo essere facilmente rapportato al significato rappresentato e collegato ad esso sia istintivamente che per deduzione logica, favorendo una correlazione tra la realtà oggettiva e la sua rappresentazione, tuttavia realtà complesse e profonde potrebbero generare per processo sintetico simbologie criptiche.Il simbolo partitico esprime funzione SINTATTICA ovvero la relazione ad altri simboli, funzione utilizzata prevalentemente per comunicare alleanze partitiche. Funzione PRAGMATICA, cioè gli scopi ed l'utilizzo del simbolo. Queste finalità valgono anche per la segnaletica stradale o per il marketing pubblicitario, ma un simbolo di partito dovrebbe esprimere una funzione ben più importante di un "divieto di sosta" o di un marchio commerciale.Un simbolo di partito dovrebbe comunicare contenuti ideali, progettuali e programmatici, svolgendo una funzione SEMANTICA, ovvero la relazione al significato che esprime.E' opportuno ricordare che la capacità d'elaborare simboli semanticamente forti non è, di per sé, qualificante. I simboli, per loro stessa natura, non sono dialettici: servono per affermare, testimoniare e non per dialogare e confrontarsi. Non a caso le ideologie sanguinarie e dittatoriali sono storicamente caratterizzate da una sistematica saturazione semantica, allegorica e liturgica. Nel nazismo il partito si trasforma, attraverso discorsi e cerimoniali che diventano atti di fede, in una vera e propria immagine simbolica venerata dalle masse. Hitler organizzò la sua vita pubblica, e persino quella privata, intorno a se stesso come a un simbolo vivente. Tornando al presente sembra che la tendenza di alcuni partiti politici italiani nella realizzazione dei propri simboli, abbia una attenzione prevalentemente pragmatica, al pari della pubblicità di una scatola di pomodori pelati. Il fatto non è nuovo, quando in Italia il numero degli analfabeti era rilevante, si elaborava un simbolo chiaro, semplice ed inequivocabile, che per impatto elementare fosse ricordato con certezza nell'isolamento della cabina elettorale. La falce e martello, il sole nascente, lo scudo crociato. Segni si pragmatici ma nel contempo intrisi di significato: la classe lavoratrice, l'avvenire, la fede. Oggi nonostante i cittadini italiani analfabeti siano in via di estinzione, l'attenzione alla funzione pratica del simbolo si è immotivatamente rinvigorita ma frequentemente, a differenza del recente passato, con carenza di significati.Sembra che i partiti nell'elaborare i propri simboli abbiano difficoltà nel concepire una propria autonomia nel comunicare significati propri atti ad essere trasmessi dalle immagini. Vengono proposti simboli che rappresentano concetti assolutamente condivisibili ma vaghi: famiglia, religione, patria, liberismo, pace, solidarietà. Sembra latiti una precisa cultura politica, sembra non importare da dove arrivi e cosa cosa abbia fatto un candidato negli ultimi vent'anni, ciò che importa è come appare nella fotografia stampata nell'ultimo manifesto elettorale. Una politica televisiva e mediale. Se manca cultura politica i simboli si impoveriscono, e sembra che la cultura politica italiana tenda ad involversi in sottoculture incapaci di esprimersi semanticamente.Una cultura a differenza delle sottoculture non si contenta più di ciò che vede, vuole andare al di là, penetrare il mistero delle cose, comprenderne il significato profondo e misterioso. Gli artisti sono stanchi di descrivere bei tramonti e mari tempestosi e sono attratti dalle misteriose analogie o associazioni di idee che la mente umana elabora ogni momento ad ogni nuova sensazione. Un segno, un colore non interessa più in se stesso, ma in quanto evoca in chi lo vede un ricordo, un sentimento, un'idea. Nella sinestesia (dal greco syn, "insieme" e aisthánestai, "percepire") si attua un procedimento retorico che consiste nell'associare, all'interno di un'unica immagine, sostantivi e aggettivi appartenenti a sfere sensoriali diverse, che in un rapporto di reciproche interferenze danno origine a un'immagine vividamente inedita.Per le sottoculture politiche non esistendo più motivazioni ideali capaci di tradursi in emblemi, in forti elementi simbolici, si utilizza come surrogato l'asfittica immagine della faccia del candidato, un segno banale, sovente senza storia.Immagine diffusa e quindi omologante nella simbologia partitica è il tricolore, ambiguamente presente da destra a sinistra. Il bianco, rosso e verde viene utilizzato per esprimere concezioni esistenziali, sociali, politiche e programmatiche agli antipodi. Viceversa concezioni e programmi di partiti assolutamente sovrapponibili sono artificiosamente differenziati con nomi di facciata e simbologie graficamente e cromaticamente diverse.I partiti politici fatti da uomini reali, ma tenuti insieme da interessi e motivazioni ideali non possono fare a meno di identificarsi, unirsi, riconoscersi ed esprimersi in simboli.i simboli tradizionalmente vengano creati non dagli individui, ma dai popoli. Grazie ai simboli, ai miti e alla poesia, noi ricordiamo il principio e la fine, cioè ricordiamo la nostra identità, chi siamo. I simboli mantengono, conservano la nostra identità e memoria storica, quindi un gruppo politico senza un simbolo che lo caratterizzi e rappresenti non esiste o se esiste non resiste.L'indagine semantica sui simboli dei partiti politici può essere parametro di verifica per valutare se e quanto è in atto una decomposizione semantica e se e quanto dipenda dal vuoto, dallo smarrimento, dall'ignoranza e confusione della politica italiana.Quando un medico osserva nell’emocromo di un paziente che i linfociti sono alti sa che può essere in atto una infezione virale. Il paziente lo ignora ma il medico, grazie all'osservazione di un parametro specifico, lo sa. Analogamente il simbolo partitico può essere utilizzato come parametro diagnostico per determinare la salute di un partito politico.Attraverso l’analisi semantica del simbolo è possible diagnosticare l'eventuale positività a due gravi patologie:il vuotoil totalitarismoOsserviamo di simboli nelle sedi dei partiti, da destra a sinistra, nelle associazioni e nei sindacati. Analizziamo simboli delle insegne, nei documenti, nei manifesti e nelle bandiere.L'insegna e i manifesti sono veicoli sicuramente pragmatici del simbolo, visto che il primo serve a identificare la sede del partito, il secondo a pubblicizzare uomini e progetti. Le bandiere sono invece più interessanti perché pura semantica; non "servono" a nulla se non ad esprimere significati. L'indagine semantica dovrà dunque privilegiare, le bandiere per ricercare e palesare vuoti e significati, che forse gli stessi esponenti o militanti di partito ignorano. Bruno Vergani

Pubblicato in Filosofia di strada
Lunedì, 22 Marzo 2010 11:33

Chiesa e pedofilia

 

Il Papa negli ultimi giorni ha scritto ai cattolici d’Irlanda sugli abusi sessuali perpetrati a minori, ai sacerdoti coinvolti dice: "Dovete rispondere di ciò che avete fatto davanti a Dio onnipotente, come davanti a tribunali debitamente costituiti". Singolare che un mero richiamo al rispetto basilare del vivere comune sia stato percepito, nella Chiesa e non solo, come una svolta radicale. Se l’ovvio è stato avvertito come cambiamento quasi epocale c’è da chiedersi: com’è stata intesa fino ad oggi la giustizia per la Chiesa cattolica, come si è declinata e come si applicata? Più precisamente, il diritto nella Chiesa ha qualcosa in comune con quello della nostra civiltà o è roba dell’altro mondo?Non sono un esperto di diritto canonico ho però seguito, mio malgrado, le peripezie d’un parente che ha avuto a che fare con “leggi dell’altro mondo”; un anno dopo il matrimonio in Chiesa la moglie lo ha mollato e lui, dopo qualche anno, ha incontrato un’altra donna che voleva risposare in Chiesa. Siccome è vietato si è rivolto a un tribunale ecclesiastico dove i prelati, per trentamila euro, hanno viaggiato a ritroso nel tempo per aggiustare la faccenda. Sono andati nel passato e lì hanno annullato all’origine il primo matrimonio; annullare significa una cosa ben diversa dal cancellare; vuol dire letteralmente che sono entrati in un segmento di tempo passato per estrarre chirurgicamente quello specifico evento per farlo sparire e così, siccome il matrimonio andato storto non è mai accaduto, al mio parente è stato concesso di (ri)sposarsi in chiesa. La dissolvenza sempiterna del matrimonio storicamente accaduto fa si che i figli nati da quel matrimonio non siano mai nati anche se esistono; nessun gioco di prestigio, la teologia cattolica romana spiega: Dio ha preso un corpo che oggi vive nella storia grazie alla presenza della Chiesa, che pur realtà umana e istituzionale è nel contempo divina ed eterna. La Chiesa quindi parlerebbe, giudicherebbe e agirebbe col suo Magistero in nome e con i poteri di Dio stesso. Finché queste credenze, questi giochi di prestigio metafisici non si espandono coinvolgendo la società intera poco male, ma se nostro figlio viene violentato da un sacerdote e la Chiesa con il sacramento della penitenza (confessione) non solo perdona il prete pedofilo ma, indifferente alla vittima e alla giustizia sociale, lo purifica in un sol colpo e a tal livello che l’abuso non solo viene cancellato ma non è mai accaduto e la faccenda, in quanto metafisicamente risolta, finisce lì coperta ai mortali con omissioni, insabbiamenti, reticenze, connivenze e complicità è gravissimo, non solo per la vittima e i suoi familiari, ma per tutti noi perché la ferità rimane socialmente aperta. Non si passa col rosso anche se sei di fretta perché in missione per conto di Dio, questo modo anarchico di pensare e specialmente di fare è pericoloso. Molto pericoloso. Consente di bypassare con assoluta disinvoltura le norme che tutti noi ci siamo dati in nome di una autorità umano/divina che giudica e interpreta autoreferenzialmente il mondo. Che cosa sia il diritto in assoluto non lo sappiamo; problema aperto e ginepraio inestricabile, ma per fortuna nel nostro vivere quotidiano le cose sono sufficientemente definite: se parcheggi dove è vietato potresti prendere una multa e se rubi condannato ad una pena. Regole e norme codificate e condivise luogo della nostra identificazione sociale e politica, rimedio per lenire almeno un po’ le ferite e ricomporre il vivere insieme. Sembra che anche il Papa apprezzi e si stia lentamente adeguando.Bruno Vergani

Pubblicato in Sacro&Profano
Giovedì, 18 Marzo 2010 16:21

La sana malattia

 

l’identica situazione, lo stesso luogo, il medesimo contesto possono essere percepiti e vissuti in modi molto differenti. Ieri sera due mie amiche sono state invitate ad una festa in maschera; oggi le ho sentite prima una e poi l’altra: la prima era entusiasta e divertita, l’altra invece non si è travestita, non ha ballato e si è annoiata, poi questa mattina al risveglio ha scritto dei versi, che su mia insistenza mi ha comunicato:“Osservo gli altri divertirsi. Nel dimenarsi in allegra libertà s' illudono d' esorcizzare la morte in semplicità. Nel farlo tutti insieme non si accorgono di mentire. Un po' invidio il puerile stratagemma, l'anestetico per bambini, ma non giudico loro e neppure la mia diversità: quel sottrarsi almeno un poco così da poter vedere”.Sommariamente possiamo ripartire le persone in due categorie: gli estroversi e gli introversi. Sembra che i primi siano l’ottanta per cento della popolazione. E’ agevole riconoscerli: oltre a divertirsi alle feste in maschera parlano costantemente al cellulare, il mondo è loro, fanno il buono e cattivo tempo imponendo il loro modo di essere come parametro della normalità. L'introverso invece è un individuo riflessivo, critico e creativo. Lì in un angolo prima osserva, poi giudica in profondità e inventa soluzioni, poi forse le mette in pratica, nel frattempo gli altri hanno già reagito e lui rimane indietro, sempre perdente. La settimana scorsa sono andato all'ufficio anagrafe, una impiegata parlava al telefono. Volume della voce alto, ben vestita, perfettamente inserita nel contesto sociale conversava disinvolta, probabilmente con la sorella, riguardo la pasta condita col pesto che doveva cucinare; il tema verteva con passione sul dilemma di utilizzare le penne rigate in sostituzione delle trenette esaurite al supermercato. Nell'aspettare il mio turno osservavo sugli scaffali impolverati i volumi delle morti e un signore anziano in coda con me mi ha guardato negli occhi, poi indicandomi l’impiegata che blaterava ha commentato a bassa voce: “ Anche lei finirà in una di quelle cartelle, in un trafiletto con la sua data di nascita e di morte”. Ammirato dell’anziano e divertito per la sentenza sono andato a prendermi un caffè al bar della piazza. Solo. L'ho gustato con calma proustiana e nel farlo mi sono istantaneamente reso conto che simpatizzo per gli introversi. Quando ho chiesto il conto del caffè una persona seduta nel bar, della quale ignoro il nome, mi ha salutato con calore e ha pagato per me, ma il barista ha prontamente rifiutato offrendomelo lui. Anche quel barista, a me assolutamente estraneo, stranamente mi conosce. Chissà perché la gente mi vuole bene. Probabilmente a questo mondo c’è posto per tutti, introversi ed estroversi, ma purtroppo per l’introverso il vedere le cose “per quello che sono” invece che “di come sono per la maggioranza”, lo mette fuori gioco. Il paradosso è questo: gli artisti, gli scrittori e le persone creative in genere (generalizzando gli introversi) sono allo stesso tempo psicologicamente "più malati" sono cioè al di sopra della media in un'ampia gamma di misurazioni psicopatologiche e nel contempo psicologicamente "più sani" in quanto “si caratterizzano per tassi molto elevati di fiducia in se stessi e di forza dell'Io” (Jamison, 1993).Se Fernando Pessoa, uno dei poeti più rappresentativi del XX secolo, venisse oggi letto da un individuo estroverso, digiuno di quei testi e ignorante dell’autore, come reagirebbe? E uno psicoterapeuta cosa diagnosticherebbe? "Non sono niente. Non sarò mai niente. Non posso voler essere niente. A parte ciò, ho in me tutti i sogni del mondo"."...ho capito, con una illuminazione segreta, di non essere nessuno. Nessuno, assolutamente nessuno".“Questa è una giornata nella quale mi pesa, come un ingresso in carcere, la monotonia di tutto” Stessa cosa per Borges... e chi è quest’altro povero diavolo che ha perso il senso del Sè?:"Sono quest'albero. Albero, nuvole; domani libro e vento: il libro che leggo, il vento che bevo. Tutto fuori vagabondo. Muoio ogni attimo, io, e rinasco di nuovo e senza ricordi: vivo e intero, non più in me, ma in ogni cosa fuori". E’ Pirandello nelle pagine finali di "Uno, nessuno, centomila" Introversi e estroversi, ognuno ha il suo orientamento forse scritto nel DNA. Tuttavia la superiorità numerica e l’agire rapido, perché non non riflessivo, permette agli estroversi di dominare la vita pubblica. Forse tale predominio è una perdita per tutti perché non possiamo escludere che gli introversi sono la minoranza nella popolazione normale, ma la maggioranza nella popolazione dotata.Bruno Vergani

Immagine: drawing di Paolo Polli "Lo spettro del tempo" per gentile concessione dell'Autore

Pubblicato in Frammenti Autobiografici
Sabato, 13 Marzo 2010 18:02

Caso Englaro

 

Recentemente sono stato a Milano, dodici ore di treno. Nello scompartimento due ragazzi marocchini. Ho preso iniziativa e si dialogava serenamente. Vista la confidenza ho chiesto: “Sono stato in Marocco e all’ingresso delle moschee ho visto dei cartelli con scritto: vietato l’ingresso ai non musulmani”, con tono rispettoso, ho aggiunto “Invece qui in Italia, anche i non cristiani possono entrare nelle chiese”. I ragazzi si sono irrigiditi. Lungo silenzio, poi uno sbotta: “Nel Corano c’è scritto che tu non puoi entrare nella moschea perché non sei musulmano”. Io rispondo, ma perché? e lui “Perché sta scritto!” E mi ha citato il versetto. Poi fino a Milano mi hanno tenuto il broncio. L’illusione di possedere la verità ultima in modo definitivo e assoluto (integralismo e fondamentalismo) genera, nei gruppi e nel singolo, giganti con i piedi d’argilla. Una pseudoidentità prefabbricata incapace di abbracciare e di confrontarsi con l’esistenza che produce illusione di pienezza, ma che invece, perché basata sul falso, è fragile e vuota. Per potere stare in piedi la pseudoidentità integralista ha bisogno di trovare ragioni per autosostenersi, tra queste il nemico da combattere. Grazie ad una fantomatica minaccia proveniente dall’esterno la pseudoidentità riesce ad autosostenersi; si autocrea, prende senso, motivo e vigore. Non è peculiarità di una minoranza islamica; la possiamo incontrare in in certo laicismo miope e intransigente e anche nelle altre religioni monoteistiche, cristianesimo incluso. Il “caso Englaro” insegna. Un padre, una madre, una figlia in coma da più di 16 anni. Situazione intangibile, dove per qualsiasi persona ragionevole e a maggior ragione per un cristiano l’unico intervento adeguato poteva essere rispetto, intima vicinanza e silenzio. Come è potuto accadere, da parte di un certo cattolicesimo e non solo, tanta invadenza, tanta distorsione, tanta violenza con giudizi così grossolani quanto ingiustificati e inspiegabili, assolutamente incongrui a quello che di fatto accadeva? Come e perché un padre che nell’amare sua figlia nel modo che solo la loro intimità poteva contemplare è stato giudicato assassino, punto d’origine e grimaldello di catastrofi planetarie inenarrabili?Il fondamentalismo integralista è un pallone vuoto che può rimanere gonfio solo grazie all’aria continuamente soffiata da pseudopericoli imminenti, da pseudominacce incombenti. Il fondamentalista per riempire il vuoto su cui poggia si percepisce come il bambino olandese con il dito nel buco della diga, lì vigilante 24 ore su 24 a difesa dell’umanità. Sempre pronto alla mobilitazione generale immerso nel suo egoriferimento ipertrofico e monomaniacale. Vede la sua casa e allucinato la immagina bruciare, incendiata dai nemici. Non può mai rilassarsi rimarrebbe faccia a faccia con il vuoto delle sue credenze che lui e i suoi amici seguono. Identificato con il gruppo di appartenenza e con il suo pseudoideale, come il cane con l’osso tra i denti, non può mai mollare. Solo Appartenendo al gruppo e lottando per difenderlo può esistere altrimenti il nulla. Da qui le sue apprensioni ingiustificate, il suo sospetto sistematico. Divisione certa tra buoni e cattivi. Pensiero fragile che per resistere prende rigida forma nell’assoluta convinzione di essere nel giusto. Pregiudizio in una intensità d'attenzione sempre prevenuta e continua, mai libera, mai ironica, mai autoironica. Stretto nel suo gruppo con iperintenzionalità cerca ogni indizio che possa confermare le sue credenze minacciate dal nemico, talmente sicuro della sua visione da non conoscere discernimento riesce a trascurare contraddizioni evidenti del suo pensiero e del come stanno per davvero le cose. Sempre sconvolto da potenziali elementi inaspettati che lo possano sorprendere. Per lui tutto ha uno scopo preciso. Non fa nulla per gioco. Mai spontaneo, ipervigilante indaga ciò che lo circonda come un militare in missione speciale, con gli occhi fuori dalle orbite e la faccia tesa. Effettua un monitoraggio serrato e riesce sempre ad interpretare in persone innocue e distese un nemico, che accuserà di tremende responsabilità con nefaste conseguenze eterne. Con urgenza e argomenti stringenti butterà addosso al diverso tutta la patologia che ha dentro. Solo così è spiegabile la lapidazione di un padre, proprio nel suo momento estremo, da parte di alcuni “cristiani”.Bruno Vergani

Pubblicato in Sacro&Profano
Martedì, 09 Marzo 2010 20:32

Il panino

 

Milano, anni ’70. Pausa pranzo ad un giornata dei novizi dei Memores domini*. Non c’è il ristorante così si mangia al sacco. Don Giussani, in piedi nel piazzale, scarta il suo panino con dentro il prosciutto crudo. Intorno a lui duecento futuri Memores. Osservo che nessuno si avvicina al capo. Passano i minuti e mi chiedo: “Perché è lì solo in mezzo al piazzale col panino in mano? Adesso vado lì io”, ma una forza interiore mi paralizza. Uno strano timore. Penso che nessuno si avvicina perché avvertono lo stesso insuperabile blocco che sento io. Come me hanno timore, come me non osano. Si formano dei gruppetti di novizi, parlano tra loro a bassa voce, indifferenti al sommo capo rimasto lì da solo col suo panino sempre più corto. Situazione irreale, intorno a lui un cerchio vuoto, come quello che si disegna con le strisce gialle intorno ai macchinari pericolosi e lui lì in mezzo. Si rientra e riprende la lezione, nessuno dei novizi si è accorto che è stato lì tutto il tempo solo come un cane, ma lui si. Prende la parola e dopo cinque minuti il suo discorso vira sul tema dell’estraneità e di botto dice: “Come quella che avete voi con me!”. Se avessi avuto il coraggio dalla platea avrei alzato la mano per dirgli: “Era quanto più desideravo poter mangiare vicino a lei il mio panino con la mortadella, ma una forza dal profondo me lo ha impedito. E’ forse per timor di Dio che lei è rimasto solo, non per estraneità e indifferenza. Non avevo ancora vent’anni e per fortuna sono stato zitto. Oggi senza alzare la mano gli avrei risposto che ognuno ha quello che si merita, Kant però gli avrebbe argomentato meglio: “Dopo averli in un primo tempo istupiditi come fossero animali domestici e aver accuratamente impedito che queste placide creature osassero muovere un passo fuori dal girello da bambini in cui le hanno imprigionate, in un secondo tempo descrivono ad esse il pericolo che le minaccia qualora tentassero di camminare da sole. Ora, tale pericolo non è poi così grande, poiché, a prezzo di qualche caduta, essi alla fine imparerebbero a camminare: ma un esempio di questo tipo provoca comunque spavento e, di solito, distoglie da ogni ulteriore tentativo. E' dunque difficile per il singolo uomo tirarsi fuori dalla minorità, che per lui è diventata come una seconda natura. E' giunto perfino ad amarla, e di fatto è realmente incapace di servirsi della propria intelligenza, non essendogli mai stato consentito di metterla alla prova. Precetti e formule, questi strumenti meccanici di un uso razionale, o piuttosto di un abuso, delle sue disposizioni naturali, sono i ceppi di una permanente minorità. Se pure qualcuno riuscisse a liberarsi, non farebbe che un salto malsicuro anche sopra il fossato più stretto, non essendo allenato a camminare in libertà. Quindi solo pochi sono riusciti, lavorando sul proprio spirito a districarsi dalla minorità camminando, al contempo, con passo sicuro. “ Kant, Beantwortung der Frage: Was is Aufklaerung? in "Berlinische Monatsschrift"Bruno Vergani *Gruppo monastico di Comunione e Liberazione, in quegli anni era denominato “Gruppo Adulto”

Immagine: agosto 2009 prova aperta monologo teatrale "Memorie di un ex monaco" di e con Bruno Vergani regia di Vincenzo Todesco

Pubblicato in Frammenti Autobiografici
Lunedì, 08 Marzo 2010 19:18

Domani si vedrà

 

Di vita ce n’è una sola ed è questa sulla terra. Così dicono i miei amici atei mentre si danno da fare. Invece chi, come me, ha avuto un imprinting cattolico, anche se oggi non pratica religione alcuna sotto sotto pensa e vive come se di vite a disposizione ne avesse tante. Come se esistesse un dopo, un tempo che verrà, un domani dove i conti in sospeso, l’incompiuto personale e sociale potranno in qualche maniera misteriosa compiersi. Come se esistesse un posto e un tempo a venire dove realizzeremo gli amori pensati e non vissuti, ogni desiderio, dove incontreremo le risposte non trovate e gli ideali traditi saranno guariti e ricomposti.Questo atteggiamento di fondo, seppur inconsapevole, tende nel quotidiano a far procrastinare le scelte, a rallentare i percorsi, a non prendersi la paternità dell’azione, a non cercare soluzioni rapide e concrete. Un vivere il tempo come se il senso non è tutto qui e adesso porta a delegare, ci anestetizza e intiepidisce. Quando sarà, dove sarà, come sarà questa realizzazione cosmica? Non lo sappiamo tuttavia, come dentro un incantesimo tendiamo a comportarci come se accadrà. Questa atteggiamento di fondo si esprime talvolta come rassegnazione; con la mancanza di giudizi fortemente critici sulla situazione storica, con disimpegno e qualunquismo per la trasformazione del mondo. Talvolta con lo stato d'animo di chi è vagamente fiducioso negli avvenimenti futuri di cui, pur non conoscendo i contorni precisi e le esatte possibilità di riuscita, per motivi misteriosi rimane un po’ ottimista: il classico “speriamo” .L'escatologia (dal greco éskhatos=ultimo) è, nelle religioni, il pensiero che riconosce il destino ultimo degli uomini e dell’universo. Per quanto suesposto l'escatologia non è una disciplina astratta, in quanto le aspettative ultime dell'uomo determinano inevitabilmente il comportamento presente e quotidiano. Dall’aprire un conto corrente, all’acquisto di un prodotto, all’educazione di figli, al scegliere un partito che ci rappresenti. Speranza cristiana: virtù soprannaturale che si esprime come tensione astratta per aprire varchi di fiducia illusori. Un atteggiamento dell’animo, uno slancio che accarezza il sogno di continuare nel tempo, che veste il domani per sfuggire all’agguato della morte, ma che invece di fatto ci rende davvero poco virtuosi.Bruno Vergani

Immagine: "Città ideale d’oro" di Paolo Polli. Per gentile concessione dell'autore

Pubblicato in Frammenti Autobiografici
Mercoledì, 03 Marzo 2010 19:22

Figli di un Dio minore

 

Perché mi ritrovo a cercar risposta al perché sono? Perché ho un istinto d’eternità pur sapendo che dovrò morire? Ci sarebbe la possibilità di non pensarci affatto a queste faccende, come del resto fanno tutti gli altri animali. Non sarebbe poi male uno stato di semplicità assoluta, diretta e fresca, tanto estrema che non conosce. Senza necessità alcuna di linguaggio, ne di realizzare Dio, ne di santificarsi e neppure di auto realizzarsi. Uno stato naturale dell’essere che forse gli uomini primitivi vivevano. Perché invece mi ritrovo condannato a cercare qualche altra cosa, perché mio malgrado inseguo istanze di liberazione, di cambiamento, di conoscenza ad oltranza e di realizzazione? Posso intuire questa pace animalesca, questa nostalgia di utero caldo ed umido, di uomo primitivo prima del peccato originale con la pupilla tersa perché inconsapevole di se stesso. Appena intuisco quello stato ne distruggo la spontaneità, lo traduco in cultura, nei termini delle miei particolari suggestioni e nel contesto del loro background. Ho nostalgia per quello stato di unità dove non hai la necessità di chiederti se l’universo è impersonale, aprogettuale e irresponsabile oppure personale, capace di intenzionalità e responsabilità. Buttar via tutto, per essere il figlio della donna sterile, immacolata concezione che non necessita di epistemologie. Forse se Dio fosse madre saremmo spontaneità, ma siccome è anche padre siamo intelletto, condannati a non separarci dalla cultura, ad essere prodotto della cultura, condannati ad un continuo movimento che ci spinge a cercare qualche cosa di diverso dallo stato naturale e perfetto in cui siamo. Meccanicamente occupati a cercare una cosa che forse non c’è. Bruno Vergani

Pubblicato in Pensieri Improvvisi
Venerdì, 26 Febbraio 2010 18:37

Deriva tribale

 

Leggo da più parti che la politica, le scelte partitiche, la prassi e gli obiettivi di Comunione e Liberazione sono determinati dalla ricerca di potere; gentaglia cinica disposta a tutto per raggiungere il potere ed esercitarlo a proprio vantaggio. il giudizio è banale. Chi conosce CL sa che la stragrande maggioranza di loro sono persone oneste e intelligenti che con abnegazione rischiano in proprio per promuovere la società, partendo da chi ha più bisogno. Non escludo che con loro si mimetizzati qualche mandrillo che cavalca l’onda bramoso di potere personale, ma sono una minoranza. La domanda è dunque questa: come e perché persone che che seguono lealmente Cristo fatto uomo nella Chiesa, desiderosi di promuovere l’umanità, che osservano precetti e tradizione divina dal libro della genesi all’apocalisse di San Giovanni, di fatto poi perseguono politiche, prassi e alleanze partitiche agli antipodi del vangelo? Perché disinvolti glissano se un proprio membro ruba, o fa carte false e invece lo considerano immorale se pur onestissimo si permette di contestare le scelte partitiche del movimento, o cambia sponda politica? Risulta evidente che per gli appartenenti a Comunione e Liberazione l’essere morali non è il comportarsi rettamente e onestamente ma un altra cosa. Cosa? Che etica perseguono? Conosco, quindi enucleo in sintesi l’etica politica ciellina. Punto di partenza è l’uomo; le sue necessità ontologiche, spirituali e pratiche, ideali e corporali. Da qui l’urgenza di trovare direzione, senso e assoluta realizzazione in una consapevolezza integrale: il senso religioso, questo è il valore e da qui i valori. Il potere è morale se permettere e sostiene tale umano desiderio altrimenti si riduce ad un pre-potente, ideologico ed anonimo, quindi disumano, desiderio di consenso di massa. L’urgenza che quindi avvertono i ciellini è che il potere sia innanzitutto al servizio di questo senso religioso integrale che coinciderebbe con la completa realizzazione umana. Questo è il valore politico degli appartenenti a CL e francamente, in linea teoretica, lo condivido perché pensiero dignitoso e giusto specialmente quando constato l’anestesia della libertà di coscienza procurata, oggi più che mai, dal potere attraverso i media. Non abbiamo quindi a che fare con faccendieri spregiudicati, ma con pensiero giusto e corretto? Con gente che lotta contro il potere e l’omologazione? Che intende rispondere alle domande cruciali del nostro esistere censurate dai poteri forti? Ma allora come è possibile che partendo da questi presupposti condivisibili donne vicine a CL scrivano, con taglio di genere (proprio in quanto donne), una lettera aperta a Berlusconi per comunicargli stima e ammirazione assoluta? La lettera aperta a cui mi riferisco è un po’ datata, tuttavia mette i brividi al cuore e all’intelligenza, per chi ne avesse il fegato la può leggere alla fine di questo post*. Veniamo al punto. Per un appartenente a CL chi è oggi Gesù Cristo? Dov’è? Nella Chiesa? Non proprio; Cristo è concettualmente, teoricamente nella Chiesa, ma di fatto è e si esprime in quel pezzo di Chiesa che il ciellino ha incontrato: Cl stessa; non mi risulta che Formigoni abbia come riferimento il "suo" Arcivescovo Tettamanzi e obbedisca a lui, tutt’altro. Capita talvolta che l’autorità ecclesiastica sia vicina alla sensibilità del movimento come gli ultimi due Papi, in tal caso la dimensione ecclesiologica del movimento si espande. Gesù Cristo si esprimerebbe quindi nelle autorità del movimento, coinciderebbe con l’autorità del movimento, tutto il resto è giudicato astrazione ideologica; bibbia, vangelo, etica inclusi. In questa teologia tribale il senso della cose e della vita, la morale, la cosa pubblica non sono temi da perseguire, da decifrare con imparzialità e confronto con tutto e tutti in quanto si presume di possedere, perché prescelti dal destino, il significato ultimo di tutto e di tutti in maniera integrale e indiscutibile: la presenza di Cristo che vive nella storia attraverso la loro compagnia. Cristo coincide con loro. La verità coincide con loro, il senso della storia pure, il bene pubblico anche. Qui sta l’equivoco, qui sta la patologia si chiama fondamentalismo e integralismo. Quindi Se per un cristiano non tribale la morale è l’adesione a Cristo seguendo il vangelo, confrontandosi con tutti gli uomini di buona volontà in un percorso umile, quindi intelligente, che tiene conto della correttezza e onestà personale e giudica nel merito fatti e scelte, per l’identità tribale ciellina significa invece obbedire con tutto il proprio essere all’autorità che lo guida. Punto. Più obbediscono e più si sentono nel giusto perché appartenenti a una realtà umana che pur nella storia la trascende e giudica, avanguardia e modello del bene di tutti. Quindi puoi essere competente, onesto, integerrimo ma se non obbedisci alla compagnia sei considerato all’interno di CL falso e amorale anche se ti comporti come Teresa di Calcutta. Se invece sei un condannato, indagato, imputato e rinviato a giudizio perché ladro o corruttore, o sei puttaniere ma, in qualche modo, favorisci la compagnia sacramentale alla quale appartieni obbedendo alla linea partitica e alla dottrina sociale indicata sei morale. E’ evidente che all’interno di CL chi è un minimo sensibile avverte che c’è qualcosa che non va, ma siccome è stato programmato all’obbedienza invece di dissentire, per far quadrare il cerchio, reagisce stringendosi ancor più nel gruppo, affidandosi ai capi per farsi incessantemente guidare attraverso incontri, momenti e riti autoreferenziali nel tentativo di sostenere l’inumana fatica del dover continuamente ricapitolare la società alle soggettive credenze tribali. Il sistema di supporto dato dal gruppo è tanto stringente e sofisticato da riuscire a far credere a chi è dentro davvero di tutto, così seguono Cristo e votano cani e porci. Una infinita fragilità che diventa arroganza. Non possono funzionare in modo diverso, così sono stati programmati da cattivi maestri. Le autorità cielline nelle alleanze partitiche, indifferenti ai principi evangelici e a direttive etiche sceglieranno semplicemente chi darà maggior spazio e potere decisionale alla loro teologia tribale e agli uomini che la rappresentano. Per ottenere un occhio di riguardo alla scuola cattolica da parte dello Stato, un po’ di attenzione alla famiglia tradizionale e normative che vietino di morire in pace indifferenti al progetto sociale dei compagni di viaggio faranno alleanza con politiche egoiste, individualiste corporative, edonistiche, ciniche, anarcocapitalistiche, campanilistiche, corrotte e razziste, insomma antievangeliche, poi daranno indicazioni di voto al gregge dei subalterni e la macchina elettorale ciellina si metterà in moto. Bruno Vergani *Le donne votano Berlusconi. Con una lettera spiegano perchè Con una lettera aperta inviata a Silvio Berlusconi centinaia di casalinghe, operarie, imprenditrici italiane spiegano perchè il 9-10 aprile voteranno la CDL: «La preferiamo per sostenere la forza positiva, libera e laboriosa del nostro popolo, per difenrdere la vita, il valore della famiglia, l'alleanza uomo-donna, la libertà di educare i nostri figli.» Numerose sono già le adesioni all'appello, aderisci anche tu! Egregio Signor Presidente, siamo un gruppo di donne quotidianamente impegnate nel mondo del lavoro, dell'educazione e della famiglia. Non facendo parte di nessuna élite intellettuale, televisiva e giornalistica, al fondo maschile, se non maschilista, anche quando mette la gonna, ed essendoci stancate dell'immagine distorta che di noi viene sempre data, ci rivolgiamo a Lei, che con noi condivide la passione per la battaglia, e le vogliamo dire con chiarezza che è vero, difficilmente lasceremmo famiglia e lavoro, cose che facciamo molto bene e con passione, per entrare nel mondo politico. Dovremmo rinunciare a molto di ciò che ci costituisce, ma non si sa mai, riusciamo in cose che paiono impossibili! Non siamo una quota rosa e non siamo l'apparenza senza senso che la tv rappresenta di noi. Siamo donne, siamo madri, siamo lavoratrici, siamo 'signore', come dice Lei. Siamo del popolo, e se il far politica è occuparsi del bene comune, noi lo facciamo vivendo negli ambienti in cui siamo con inventiva, passione e creatività. Abbiamo fatto nascere e lavoriamo per opere sociali, scuole, associazioni, cooperative; gestiamo aziende, siamo insegnanti, operaie, artigiane, impiegate, medici, casalinghe. Ci occupiamo di figli e nonni, malati e nipoti, soprattutto educhiamo nuovi uomini. Affrontiamo l'avventura della realtà, nella normalità delle sue sfide, tessendo quello che oggi la politica sembra aver dimenticato: i rapporti tra e con la gente. Sappiamo di essere il cardine di ciò che dà spessore e connessione alla nostra società: la famiglia; siamo preoccupate per essa e per il mondo in cui stanno crescendo i nostri figli. La nostra non è la lamentazione di chi vorrebbe il futuro garantito o il diritto ad un lavoro sicuro, senza assunzione di responsabilità che comporterebbe rischi e fatica. Sappiamo bene che mancanza di ideali e cultura dell'effimero generano inconsistenza e fragilità soprattutto nei giovani, ma anche negli adulti e in chi ha posizioni di responsabilità e portano a uno svilimento e indebolimento della famiglia che, da origine del vivere comune, viene ridotta a essere sterile in tutti i sensi, dal fatto che non si fanno più figli al suo ritirarsi tra quattro mura di solitudine. E lì, dove le famiglie si ritirano, che cosa succede? Vogliamo ricordarlo con un esempio: quando le mamme con i bambini hanno iniziato ad abbandonare i giardinetti delle nostre città, sono pian piano arrivati gli spacciatori. Dove la famiglia arretra, lo spazio viene occupato dalla devianza, dalla stranezza che diventa normalità; quando la famiglie ci sono, sono presenti, e fra esse si creano, legami, solidarietà, cooperazione, nasce un nuovo bene, una nuova prosperità per tutti gli uomini. Questo la politica dovrebbe sostenere, in questo Le diamo atto di aver cominciato a lavorare, (avendo per esempio introdotto la possibilità di destinare il 5 per mille della propria dichiarazione dei redditi al settore no-profit, alle associazioni a scopo sociale, fondazioni, onlus) a differenza dei Suoi avversari che vorrebbero uno Stato che gestisce in prima persona la felicità di tutti, 'dalla culla alla bara'. La nostra preoccupazione non è dunque per un futuro ipotetico, né per ciò che manca, ma è per il presente, perché noi e i nostri figli possiamo affrontare la vita oggi, come sempre hanno fatto le generazioni prima di noi: non solo un privilegio per pochi, ma un compito e una responsabilità per tutti. Per questo, consapevoli della Sua insistenza sul valore della famiglia tradizionale, (specificazione necessaria per distinguerla da altri patti che il Suo avversario politico e la corte dei miracoli che l'accompagna vorrebbero legalizzare), della Sua costante valorizzazione dell'intraprendenza e del lavoro come positiva capacità di costruzione, e visto il Suo impegno per l'educazione e il mondo della scuola, ci rivolgiamo a Lei, che vediamo propositivo e positivo di fronte all'immagine petulante, lamentosa, moralista e negativa dei Suoi avversari, perché con più decisione ed efficacia - sindacati permettendo - renda politicamente praticabile ciò che ci sta a cuore. Fondamentalmente, l'affermazione della centralità della famiglia - riconoscendone il ruolo decisivo nell'educazione della persona, e quindi di un popolo - non solo a parole ma con leggi che la favoriscano: reali agevolazioni fiscali, libertà di scelta della scuola, statale o non statale che sia, con lo stesso trattamento economico; difesa della vita fin dal suo concepimento, contro ogni tipo di manipolazione; poi, il sostegno all'intraprendenza e al rischio nel mondo del lavoro, in modo tale che i nostri figli crescano con l'idea di poter costruire, creare qualcosa di positivo, innovativo e duraturo per il mondo; tutela e valorizzazione del patrimonio di bellezza cultura e arte che la nostra tradizione ci ha consegnato, frutto della coscienza di un popolo che sapeva perché vivere, gioire e anche morire, e che noi amiamo e sentiamo il compito di tramandare. Coscienti dell'importanza del voto alle prossime elezioni, nelle quali si giocherà una diversa concezione di persona e popolo, ci impegniamo a votarLa e sostenerLa a patto che possa far Sue con più forza e decisione le nostre richieste, sperando che anche quanti sono demotivati e forse un po' delusi, e ne incontriamo molti, possano vedere in Lei e nella Sua coalizione l'unica possibilità, politicamente parlando, di costruzione libera e positiva, oggi. Questo patto vogliamo stipularlo con Lei e non col prof. Prodi: la sua campagna fatta di 'serietà' e 'sacrifici' non ci piace, ci intristisce e ci fa un po' spavento. E noi signore lo lasciamo volentieri perdere. 'La bellezza salverà il mondo'. Con stima Le promotrici: Giovanna Belardinelli, Luisa Chiesa, M. Grazia Fertoli, Barbara Piscina, M. Cristina Sculco, Cristina Turati, Annalena Valenti, Annunciata Viganò

Immagini: Titanic di Paolo Polli. Per gentile concessione dell'autore

Pubblicato in Sacro&Profano
Martedì, 02 Febbraio 2010 00:28

Per comprendere il pensiero dell'altro

 

Per comprendere il pensiero di un altro faccio così: opero inevitabilmente una soggettiva costruzione di significato su quanto espresso dall’altro a partire da ciò che sono io; dal pensiero di cui dispongo e di cui sono capace.Da lì definisco proprietà e relazioni che costruisco con azione organizzante, così sistemizzo l’altrui pensiero per renderlo compatibile (comprensibile) al mio in un processo di costruzione dei significati. Se il processo lo esegue anche il mittente la comprensione è facilitata. Utilizzando miei costrutti, verità inventate parziali e soggettive, non posso conoscere appieno il pensiero dell’altro ma solo la mia interpretazione. Non è il massimo ma non so altre modalità di comprensione e di comunicazione; ignoro la possibilità di un sapere che non dipenda dal soggetto che conosce. Il processo di ascolto e comprensione dell’altro è talvolta faticoso. Molto faticoso. Troppo faticoso. Se capita; visto che, in ogni caso, la nostra comprensione del pensiero dell’altro è parziale ed incerta; se proprio non reggiamo lo sforzo del processo suesposto, e l’altro non si da una mossa per venirci incontro possiamo sentenziare rapidi sul pensiero altrui, ad esempio con un: “Suona falso come una campana a tre chilometri di distanza”. E’ lecito farlo, non a posteriori ma anche a priori, beninteso dopo aver ascoltato o letto per almeno due minuti. Non è pregiudizio, non è disonesto e neppure peccato, anzi è virtuoso mandare rapidi a fanc... l’oratore o lo scrivente ma solo se presenti almeno tre delle seguenti condizioni:quando lo scrivente o l’oratore pontifica ieratico verità che presume assolute;quando parla degli uomini e di Dio con vocaboli che ci procurano uno stato d’animo simile a quando, nostro malgrado, dobbiamo leggere per intero un contratto di polizza assicurativa fideiussoria;quando nello scrivere si attarda in sintassi misteriose, gerghi e lingue immaginarie, prestiti linguistici e per attacco di claustrofobia per una lingua inadeguata alla potenza del suo pensiero, spacca e nel contempo riunisce (poteva lasciarle com’erano) tutte le parole con un trattino per farne emergere la Parola, il Verbo, evocato dall’antica etimologia che solo lui può far risorgere per elargircela; quando eccede con personali neologismi, che per interpretarli devi studiare tutti i suoi scritti degli ultimi decenni;quando recita;quando, se è in vita, lavora sistematicamente in progress così che quanto ha detto la settimana scorsa non vale più oggi però pretende tu lo conosca;quando, se dopo averlo ascoltato o letto, ti imbatti con uno che soffre e senti nel profondo che quello che ti ha comunicato nulla centra, nulla dice, nulla spiega, nulla aiuta in quell’accadimento. Bruno Vergani

Pubblicato in Pensieri Improvvisi

 

Riflessioni sul Senso della Vita di Ivo Nardi Non porsi domande sul senso della vita significa rinunciare alla possibilità di comprendere pienamente la nostra esistenza. Una risposta non esiste solo quando non è possibile formulare la domanda. Riflessioni.it è il luogo ideale per fermarsi e riflettere sul senso della vita e lo faremo attraverso le risposte che persone di cultura hanno dato a dieci domande da me formulate. Buona lettura. Ivo Nardi Interviste sul Senso della Vita 15) Le risposte di Bruno Vergani - Erborista da più di trent'anni. Ex membro dei Memores Domini, il gruppo monastico di Comunione e Liberazione. Scrive e fa teatro. http://www.riflessioni.it/senso-della-vita/bruno-vergani.htm 14) Le risposte di Gianluca Magi - Uno dei massimi orientalisti italiani, fondatore e direttore della Scuola Superiore di Filosofia Orientale e Comparativa di Rimini, docente di Storia e filosofia della religione indiana all'Università di Urbino. Scrittore di successo, tra le sue pubblicazioni, il longseller I 36 stratagemmi; Il dito e la luna; La Via dell’Umorismo.13) Le risposte di Isabella di Soragna - Scrittrice, traduttrice, ricercatrice delle similitudini tra le varie scienze moderne, dalla fisica quantica alle neuro-scienze, dall’astrologia transpersonale alle mistiche di oriente ed occidente, dallo sciamanesimo di varie culture alla medicina cinese, per trovare il nucleo che immancabilmente le riunisce tutte in un unico centro.12) Le risposte di Silvano Agosti - Regista, scrittore, poeta. Il suo cinema Azzurro Scipioni, nel quartiere Prati di Roma, è un punto di riferimento per il cinema d’arte e per quello impegnato.11) Le risposte di Giovanni Domma - Maestro Massone, esoterista, erborista, appassionato di informatica, la sua poliedrica personalità richiama alla memoria gli Umanisti del Rinascimento.10) Le risposte di Robert Bauval - Autore di fama internazionale, appassionato di egittologia, deve la sua notorietà al best seller "Il mistero di Orione" scritto con Adrian Gilbert nel 1994.09) Le risposte di Aldo Strisciullo - Autore della rubrica "Riflessioni sul Sufismo".08) Le risposte di Parabhakti das - Responsabile di Villa Vrindavana, sede toscana dell'ISKCON "Associazione Internazionale per la Coscienza di Krishna" meglio conosciuta come "Movimento Hare Krishna".07) Le risposte di Elena Frasca Odorizzi - Autrice della rubrica "Riflessioni sull'Alchimia".06) Le risposte di Luigi Pruneti - Docente, saggista, esoterista e Sovrano Gran Commendatore Gran Maestro della Gran Loggia d'Italia degli Antichi Liberi Accettati Muratori, Obbedienza di Piazza del Gesù Palazzo Vitelleschi.05) Le risposte di Luciano Peccarisi - Autore della rubrica "Riflessioni sulla Mente".04) Le risposte di Gabriele Mandel Khàn - Docente universitario, scrittore, pittore, psicologo, vicario generale per l’Italia della Confraternita Sufi Jerrahi-Halveti.03) Le risposte di Giacomo Bo - Autore della rubrica "Salute e alimentazione naturale".02) Le risposte di Alberto Viotto - Autore della rubrica "Riflessioni sulle Scienze".01) Le risposte di Daniele Mansuino - Autore della rubrica "Riflessioni sull'Esoterismo". Prossimamente interviste a: - Paola Giovetti, scrittrice e giornalista, ha pubblicato una trentina di saggi su tematiche esoteriche e spirituali. Ha partecipato a programmi radiofonici e televisivi e collabora a testate nazionali (periodici Rizzoli, il mensile Astra e il settimanale Visto) e al mensile "Il Giornale dei Misteri". E' redattrice di "Luce e Ombra", la più antica rivista italiana di parapsicologia. - Lama Paljin Tulku Rinpoce infaticabile propugnatore del Buddhismo e promotore di numerose iniziative umanitarie in Ladakh, India, Nepal , Etiopia, Perù.

Pubblicato in Frammenti Autobiografici

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