C’è chi vede le parole come semplici etichette che appiccichiamo alle cose, in modo da inventariare il mondo e comunicarcelo, chi invece vede le parole traboccanti di valori intrinseci, sia semantici che simbolici[1]. Anche se è forse riduttivo affermare che le parole sono nient’altro che arbitrii condivisi, com’è anche esagerato sostenere che trabocchino di potenza propria, fino al punto da creare realtà[2], è però innegabile che parole e cose siano intrecciate indissolubilmente perché pensiamo, necessariamente, per mezzo delle parole[3]; va da sé che il linguaggio plasmando il pensiero, producendo concetto, circoscrive e determina la visione che abbiamo delle cose, in effetti sembra che linguaggi diversi procurino visioni del mondo differenti, come anche una Weltanschauung ingenera un proprio linguaggio[4].
Senza linguaggio non potremmo vivere, nondimeno il linguaggio esercita su tutti noi un potere costante costringendoci a dire, dunque a pensare, nei limiti della sua circoscrizione e specifico funzionamento. Se ci è precluso prescindere dal suo potere come possiamo vedere il mondo per ciò che realmente è? Ci sono modi per pensare e vedere le cose senza articolarle linguisticamente trasformandole in metafore[5]? Come possiamo raggiungere un punto di vista fuori e oltre il linguaggio? Forse è proprio per giungere a questa libertà che ad un certo punto moriamo.
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1 Le due differenti concezioni sono state descritte e indagate già nel Cratilo, dialogo di Platone, IV secolo a.C..
2 Heidegger arriva ad affermare che il linguaggio è il luogo che rende ontologicamente possibile la realtà stessa del mondo: “Solo dov'è linguaggio vi è mondo”.
3 Tesi sostenuta da non pochi filosofi: “La nostra capacità di pensiero è limitata dalle parole che conosciamo”; “pensiamo limitatamente alle parole che possediamo” e via dicendo.
4 Chi interessato alla tematica può approfondire le teorie del linguista e filosofo Wilhelm von Humboldt.
5 Problematica affrontata dal giovane Nietzsche, nel suo breve saggio “Su verità e menzogna in senso extramorale”.