I castori fanno dighe, le rane gracidano e noi facciamo parole che dicono il mondo, ma dai oggi, dai domani, le parole sono diventate tanto autonome e presuntuose da surrogare il mondo e persino trascenderlo[1].
Però in questo accumulo culturale e un po’ feticistico[2], di tanto in tanto irrompono nel nostro corpo impressioni prime in presa diretta, lì la grazia di non avere parole, di non trovare le parole, di rimanere senza parole, ci emancipa finalmente dal regime dell’umano linguaggio[3].
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1 Vedi religioni del Libro.
2 In quanto sposta la meta dalla realtà naturale a un suo artefatto sostitutivo, il nome invece della cosa proprio come le mutande invece della donna.
3 Oltre a questo mio contraddittorio utilizzo del linguaggio per liberarmi dal suo regime, c’è il genio del poeta che trascende la parola con le parole, come ci riesca nessuno lo sa.