Sembra che l’io dei preistorici coincidesse col noi del gruppo di appartenenza. Un livello evolutivo pre-personale e pre-individuale, stile girasoli che ruotano necessariamente assieme. Anima di gruppo che lo studioso delle religioni Lévy-Bruhl definiva con la formula "participation mystique". In seguito con la concezione filosofica e poi cristiana di anima personale e immortale, l’io acquisì sempre più consistenza e autonomia differenziandosi dal tutto e dal gruppo.
Due osservazioni, la prima è che le spiritualità che tendono a una rarefazione dell'io e a una impersonale fusione nell'oceano del sommo Uno -dal neoplatonismo, all'induismo fino alla New Age- sono probabilmente attivate da una latente nostalgia per quel primigenio livello. La seconda per annotare come nel cristianesimo, specie nel monachesimo, si sia realizzata una sinergica coabitazione -non so se geniale o diabolica- dei due livelli evolutivi, quello culturale dell’individuo e quello naturale-ancestrale dell’appartenenza al gruppo. Infatti per la dottrina cattolica l’anima individuale trova realizzazione annegando nell’anima di gruppo dell’istituzione ecclesiastica: “Come infatti il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo.” (San Paolo, prima lettera ai Corinzi). Artefatto, sì, dottrinale e culturale che, però, poggia su poderose dinamiche ancestrali che ci costituiscono; non a caso il modello si è rivelato fortunato sia per diffusione che per durata.
Strascichi e aspetti di questo annegamento individuale in un noi collettivo salvifico lo troviamo negli apparati gerarchizzati - dalla Polizia di Stato alle multinazionali- e ovunque la personale realizzazione si attui appartenendo e obbedendo. Dopotutto anche il conformarsi alle mode del momento attinge da quella preistorica potentissima radice.