Sossio Giametta, che è davvero un piacere leggere, ci ricorda che pensatori del calibro di Spinoza, Schopenhauer e Voltaire, consideravano il libero arbitrio una mera credenza, di fatto inesistente[1]. Osservo che incardinando l’individuo umano nel meccanicistico funzionamento di una natura sprovvista di creatore il libero arbitrio diventa un’anomalia, un intruso, un nodo: se nel funzionamento cosmico ogni accadere è procurato da una causa specifica, quale sarebbe mai la causa della libertà di scegliere? La libertà non ha causa, un bel problema. Da cosa proverrebbe, dunque, questa strana sovranità avulsa dal funzionamento cosmico di causa ed effetto? O ammettiamo un Dio caratterizzato dal libero arbitrio che lo infonde nelle sue creature -ci sarebbe da chiedersi perché in alcune (Homo) lo infonderebbe di più e in altre (Plantae) di meno, comunque problemi Suoi-, oppure accettiamo che una sorta di Dio sia l’uomo stesso, ammettendo nell’individuo un nucleo soprannaturale, o comunque anarchico rispetto al funzionamento della natura, testimoniato dall’incausato, miracoloso, potere di scegliere.
Ci si trova in un ginepraio se riconosciamo la realtà del libero arbitrio ma precludiamo la possibilità di un Dio creatore, o di un qualcosa che gli assomiglia. Schopenhauer, che non ammette il Creatore, per uscire dal cul-de-sac prova a dimostrare che il libero arbitrio non esiste. Per Schopenhauer quelli che pensano grossolanamente (ad esempio il sottoscritto) si illudono, al netto di cause di forza maggiore, di essere liberi di scegliere perché constatano, empiricamente, la possibilità di scegliere tra differenti opzioni per l’elementare motivo che lo vogliono loro. Per Schopenhauer credono, sbagliandosi, che la personale volontà sia libera da ogni causa; dinamica invece inammissibile visto che qualsiasi evento che accade in questo mondo una causa ce l’ha sempre e l’uomo è un fenomeno naturale che non differisce dagli altri. Per Schopenhauer una precisa causa che attiva e determina la scelta individuale prefissandola c’è sempre, ma l’individuo non la coglie e non cogliendola ha la sensazione, errata, di esercitare una libera scelta. Nel nostro volere siamo davvero liberi di volere ciò che vogliamo? Per Schopenhauer non lo siamo nel senso che una cosa è «la libertà di fare quello che si vuole [ma tutt’altra cosa] è la libertà di volere o non volere quello che si vuole, che invece, secondo Schopenhauer e vari altri filosofi, non esiste.» (Giametta).
Per Schopenhauer la libertà di volere o non volere quello che si vuole è determinata dalle condizioni ma ancor di più, e totalmente, dal carattere individuale: scegli di volere o non volere quello che vuoi non perché sei libero ma perché sei tu. Arzigogolato? Un po’ sì. Grazie a queste parole finalmente sradicata la credenza nel libero arbitrio? Mica tanto. Banale? Per niente, perché anche se limitati dal nostro pensiero grossolano permaniamo perplessi, va riconosciuto a Schopenhauer che la sua visione è stimolante e insieme pacificante[2]. In fondo è il primato della vocazione, di quella ghianda peculiare che nel suo svilupparsi ci ha fatto quello che già eravamo. Nel comandamento diventa te stesso non c’è fatalismo e neppure stasi.
Le perplessità però crescono se espandiamo la visione schopenhaueriana dell’inesistenza del libero arbitrio a tutta la società: se le cose stanno come sostiene consegue che il mondo è perfetto proprio così com’è, e manco potrebbe essere diverso. Per il diritto le cose si complicano ulteriormente: permane sì una sorta di imputabilità personale, ma non per il reato commesso, ma perché sei tu (che l’ha necessariamente commesso).
Ma se tutto ha una causa -ricordiamoci che Schopenhauer si muove in questo solco aristotelico per demolire il libero arbitrio, quindi deve coerentemente mantenerlo fino alla conclusione- quale sarebbe la causa del carattere personale e, dunque, del conseguente prefissato scegliere. Per Schopenhauer è una sorta di emanazione della Volontà naturale che pervade gli individui, ma il motivo per cui questa emanazione si distribuisca in differente grado e qualità, per cui tu sei così e quell’altro cosà, è per il filoso un mistero (vedi noumeno e dintorni). In fin dei conti il pensiero raffinato alza l'asticella rispetto a quello grossolano, ma poi al pari di questo non riesce a saltarla.
Per come la vedo Schopenhauer afferma una verità ma parziale. Vero che c’è DNA e potremmo aggiungere anche l’inconscio che non ci fa essere padroni a casa nostra, ma la vocazione non è riducibile a questo: anzi riguardo l’inconscio ognuno ha un po’ quello che si merita. L’Affermare consapevolmente scelgo così perché sono io non può ridursi a una logica binaria che vede o totale e necessaria fissità o assoluta libertà, plausibile che agiscano entrambe e non è neppure escluso che siano la stessa cosa.
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1 Sossio Giametta, I PAZZI DI DIO, CROCE, HEIDEGGER, SCHOPENHAUER, NIETZSCHE E ALTRI, saggi e recensioni, La Città del Sole.
2 Nei Saggi - Libro I, Capitolo LVII « Dell’Età » - Montaigne cita un modo di dire della Francia del 500: « Se la spina non punge quando nasce, è difficile che punga mai. ». Montaigne puntualizza:
«Quanto a me, penso che a vent’anni i nostri animi si siano ormai sviluppati quanto devono esserlo, e promettano quanto potranno. Mai un animo che non abbia dato a quell’età testimonianza ben evidente della sua forza, ne dètte la prova in seguito. Le qualità e le virtù naturali mostrano entro quel termine, o mai, quello che hanno di vigoroso e di bello.»