Nel dire comune il sublime indica uno stato così elevato che non si va più di corpo, perché lassù ogni materia vira in sostanza aeriforme e celestiale, dall’estetica incantevole. Invece etimologicamente il sublime fotografa uno stato strano ed enigmatico: il trovarsi sulla soglia di un portale eccelso. Come siamo arrivati davanti a quella porta? Cosa ci affascina oltre? E perché mai ci piace stare là con un piede fuori e uno dentro?
La tradizione filosofica ha risolto l’enigma: oltre la soglia non c’è proprio niente di bello, ma solo terrore e dolore ed è proprio questo orrendo che ci attrae e piace. Dinamica inesplicabile eppure confermata dalle tragedie classiche dove l’attrazione è direttamente proporzionale alla truculenza; dal successo di pubblico dei film di guerra, horror e catastrofici; ne è prova anche l’assembramento di curiosi sul ciclista schiacciato dal tram; indizio il numero di visualizzazioni dei video di tsunami asiatici o di decapitazioni mediorientali su YouTube.
Uno star lì da turisti, protetti dalla circostanza che la faccenda durerà solo un po’ e poi si tornerà come sempre a casa, sani e salvi. Risulta piacevole simulare un incontro ravvicinato con la propria morte - espressa dalla morte dei nostri simili, dalla forza della natura, dall’infinito, dalle sterminate galassie - e uscirne indenni. C’è qualcosa di contiguo alla perversione che prova piacere della sofferenza altrui, ma non è sadismo è il sublime: autocompiacimento estetico d'esserci, inspiegabilmente, ancora.