40 gradi, con la vecchia BCS taglio l’ettaro d’erba spinosa e rada ricresciuta dopo il taglio di primavera. Sarà per quel rituale andar su e giù pel campo, sarà per il suono-rumore recto tono stretto del motore, sarà che non mangio da ore, sarà per quel fissare il movimento psichedelico delle lame, sarà per il calore del sole amplificato dal tubo di scarico e per i monossidi che sputa fuori, sarà forse che indosso le vecchie scarpe da lavoro di papà morto da tempo, sarà per la nenia ipnotica delle cicale e per le rondini che per ingurgitare i moscerini che sollevo mi ruotano attorno come dervisci, fatto sta che l’attività elettrica dell'encefalo mi vira di botto su frequenze singolari, forse onde Theta.
Osservo sullo sfondo del campo la casa dove vivo, la vedo bianca e inedita con mio padre e mia madre viverci ancora dentro come se fossero ancora vivi, i panni stesi gocciolanti sembrano affissi da lei, scorgo nella contrada i tanti amici che non ci sono più, ma la natura c’è ancora, uguale e stabile. Impassibili ci sono anche i manufatti che i defunti avevano costruito e curato, una sorta di affronto nei loro confronti, come lo saranno presto per me.
Escogito uno stratagemma per non farmi fagocitare dal beffardo implacabile Funzionamento e mi posizione da subito, vivo e vegeto, in quel continuo-infinito-presente dove i morti tornano in vita e i vivi frequentano i luoghi abitati dai morti, nel farlo percepisco di omettermi, di rarefarmi un po’, eppure sono ancora. In fin dei conti eco-appartenere è un po' morire, ma non del tutto: che schiatta sono le prepotenti concezioni antropocentriche, tanto incistate da percepirle strutturanti e così forti che crediamo ci costituiscano.