Italia centrale, autunno 2016. “Questo non ci dovrebbe stare!”, non è Salvini che spara la sentenza ma un botanico che scorge un Ailanto tra la folta, svariata, vegetazione. In effetti quell’albero, importato dalla Cina circa tre secoli fa, talvolta infesta i nostrani areali, ma perlopiù è armonicamente integrato.
L’architettura di tale sentenza botanica mi sembra affondi su un terreno instabile, poggiando su due preconcetti ontologici:
il primo, riferendosi a una qualche ignota religione rivelata, sistematizza precettisticamente gli enti botanici nel territorio, separandoli in giusti se autoctoni e sbagliati se esotici;
il secondo divide l’intervento umano da quello naturale, arbitrio che interpreta “naturale” l’Ailanto se giunto qui trasportato dall’inconsapevole vento, ma “innaturale” se portato dagli uomini. Un separare artefatto e natura tutto da chiarire. Vale per le piante, vale per le persone.