Se leggessi sempre e solo La Gazzetta dello Sport avrei evitato che al risveglio mi tornasse a rodermi quell’annotazione - nota che nei libri letti di recente non sono riuscito a ritrovare - nella quale si affermava che la qualifica di profeta riferita a Gesù Cristo è da considerarsi erronea. La nota affermava che Gesù, specialmente nel rapporto dialettico con i rabbini del tempo, a differenza dei profeti pensava-diceva-agiva, tutto “in proprio”, ben poggiato su sé stesso.
La faccenda mi era parsa attraente perché possibile indicazione di quanto Gesù fosse, al pari di noi, proprio uomo e pure ragionevole, che evitando di andare in trance invasato dall’Assoluto -“Oracolo del Signore” - rispondeva razionalmente e in proprio. Ho chiesto delucidazioni ad Augusto Cavadi che mi ha spiegato trattasi di concezione teologica tipica dell’apologetica tradizionale, pertanto esattamente agli antipodi dal sentiero che intendevo imboccare e proseguire. Per tale esegesi il “Ma io vi dico”, espresso con autorità e in prima persona, sarebbe sì prova che Gesù non fosse profeta ma - in opposizione alla mia ipotesi - neppure uomo, viceversa diretta “epifania”, “incarnazione”, di Dio. Siamo nel noto ginepraio: tutto sta nell’interpretare quell’Io.