Come regalo di compleanno invece di una nuova pipa m’han regalato un trattato di cristologia di 750 pagine[1], forse ognuno ha quello che si merita. Per fortuna il saggio è di teologo cattolico in odore di eresia e quindi me lo son letto. Quasi sempre apprezzabili le tesi dell’autore nel suo faticoso intento d’attualizzare la dottrina cattolica tradizionale nel postmoderno. Il problema è che il teologo per attualizzarla doveva prima esporla, la dottrina. Punto cruciale la Trinità alla quale dedica centinaia di pagine. Si sa la Trinità è il centro del cristianesimo e il suo genio è l’incarnazione di Dio, ma proprio lì sta il ginepraio nel quale provo ad entrare sconsigliando il lettore seguirmi. Scrivo telegrafico per non pungermi troppo e per non rimanere impigliato.
Dunque, a quanto risulta dai sinottici sembra che Gesù di Nazareth se n’impipasse d’essere trino e tutto sommato anche d’essere Dio, mentre Gesù Cristo - entità mix di soggetto storico e metafisico elaborato in seguito dalla Chiesa delle origini - era davvero Iddio e qui iniziano i problemi. Il processo che porta da Gesù di Nazareth a Gesù Cristo è detto ipostatizzazione del Logos. Ipostatizzazione è, molto grezzamente, una sorta di personalizzazione, mentre il Logos è, più o meno, il verbo e il verbo è, a spanne, la parola metafisica come quando già nella tradizione ebraica si personificavano entità simboliche, ad esempio la sapienza di Dio diveniva Sophia, entità autonoma. Nell’interpretazione patristica tale concezione simboleggiante si rafforza, dunque da quelle parti il Logos non è entità nebulosa ma un essere assolutamente reale, principio autonomo e nel contempo strutturante il Dio eterno e increato. Insomma non proprio e sempre strutturante, in quanto Cirillo, ad esempio, sosteneva che Logos e Dio fossero piuttosto disgiunti. Va precisato che personalizzazione è una sorta di discorso figurato, mentre nel processo d’ipostatizzazione s’implementa una vera e propria entità reale, reificata, concretizzata, materializzata e qui il ginepraio s’infittisce di brutto perché una volta che il Logos è ipostatizzato viene fuori il problema del secondo Dio, concezione incompatibile col monoteismo.
La faccenda trinitaria aveva preso le mosse nel II secolo dall’interpretazione del prologo del vangelo di Giovanni, dove la comunità cristiana nascente operava sia in contesto monoteista (ebraismo) che politeista (mondo greco-romano), così una descrizione del divino tripartita avrebbe scontentato i primi, mentre poteva essere equivocata dai secondi che avrebbero interpretato Padre, Figlio e Spirito Santo deità separate e di differente grado proprio come le loro. La dottrina trinitaria si codifica autoritativamente e normativamente solo nei secoli successivi (IV-V) con i concili di Nicea e di Calcedonia, il primo in reazione alla dottrina di Ario che interpretava Gesù, in quanto figlio generato dal Padre, non esistente da sempre bensì avente un inizio, entità seppur divina subordinata - subordinazionismo dicono i teologi - al Padre, quindi ciò che si era incarnato in Gesù non era totalmente Iddio non originato ma una sorta di sottoprodotto. Nicea risolve la problematica proclamando che il Figlio è fatto della stessa sostanza di cui è fatto il Padre, così permane figlio e insieme padre di sé medesimo. In seguito la dottrina di Calcedonia, stimolata da Cirillo di Alessandria e Nestorio, definisce un punto cruciale rimasto in sospeso: quanto esterna e quanto interna al Padre l’entità cristica? Come divina e come umana l’ipostasi di Gesù Cristo? E specialmente quanto divina e quanto umana? Cirillo propendeva per quella divina - detto monofisismo, da non confondere col più estremo docetismo gnostico, dove Gesù avente corpo angelico mai poteva soffrire d’ipertrofia della prostata e neppure patire sulla croce -, mentre Nestorio concentrò l’attenzione sulla figura storica di Gesù, però se Iddio s’incarna - immanenza alla materia - difficile preservarne la trascendenza (soprannaturale) e dunque l’efficacia salvifica (soteriologica). Le dispute sull’identità metafisica di Gesù fu complessa e prolungata con condanne e riconciliazioni, risolvendosi con un compromesso riguardo l’interazione tra Gesù e Dio così formulato: Gesù Cristo una ipostasi divina con due nature una umana e una divina. Vero Dio e vero uomo, nell'unità della sua Persona divina, ora Iddio puoi anche dipingerlo per venerarne l’immagine, ma occhio a ben comprendere la differenza tra ipostasi e natura, equivocarle unificandole è eresia (modalismo).
Certo che il lettore abbia a questo punto ottemperato l’iniziale consiglio di abbandonarmi tralascio esausto il seguito, compresi Concilio di Efeso e quello di Costantinopoli, oltre alle intricate e un po’ comiche implicazioni mariologiche conseguenti all’intera faccenda, per chiedermi: ma com’è possibile che quanto su esposto sia dottrina seguita da più di un miliardo d’individui? La conoscono? Forse un paio d’ore obbligatorie e ben fatte di catechismo settimanale potrebbero risultare utili per un consenso un minimo informato.
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1 Roger Haight, Gesù simbolo di Dio, Fazi Editore.