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Bruno caro,
dopo la nostra telefonata, leggendo il terzo volume di una trilogia IMPERDIBILE (almeno per i cercatori come noi due), leggo un'interpretazione differente dei brani in cui Gesù non parla a nome del Dio dei profeti: non perché sia Dio (o superiore ai profeti) ma perché, nonostante l'insistenza della teologia contemporanea sulle radici ebraiche di Gesù, egli se ne volle distaccare esplicitamente e intenzionalmente.

"Fa una buona osservazione Heinrich Kahlefeld, quando, a proposito del biblico 'egli parla come uno che ha autorità', spiega che di regola i dotti d'Israele fanno i loro commenti in relazione a passi scritturali. I loro rapporti sono sempre strutturati come esegesi di testi biblici. Questo uso non è affatto rilevabile in Gesù. Piuttosto, 'Gesù agisce per conoscenza originale, in unione con la viva volontà di Dio, e parla in base a una perspicacia, a cui evidentemente non occorre la conferma della Scrittura. Gesù ha la sua parola personale'. Ma la 'parola personale', che in modo così calzante viene attribuita a Gesù, è allo stesso tempo un diretto mettere in questione la Torà che, quale dono di Dio ad Israele, garantisce la sua posizione particolare fra tutti gli altri popoli" (H. Wolff, Vino nuovo - otri vecchi, Queriniana, 1992, pp.135 - 136).

Augusto