Francesco Belsito, Lega Nord. Luigi Lusi, Margherita. Franco Fiorito, Pdl. L'identikit dei tre coincide preciso: "Tesoriere indagato per appropriamento indebito dalle casse del proprio partito." Altra storia quella di Pierangelo Daccò condannato, in primo grado, a dieci anni di reclusione per il dissesto finanziario della Fondazione San Raffaele del Monte Tabor. Secondo l'accusa avrebbe occultato all'estero fondi neri derivanti da prestazioni sovrafatturate. Daccò, a differenza dei tre tesorieri, lo troviamo impegnato ad imprendere prima di prendere, eppure è a loro accomunato non tanto dall'ipotesi di avere sottratto a terzi denaro - evento di per sé prevedibile e dozzinale - ma, se le accuse saranno confermate, dalla spropositata misura dell'appropriamento, tanto abnorme da espandersi rapida dal codice penale a ben altre sfere di indagine: sociologiche, filosofiche e finanche psicoanalitiche.
Impossessarsi disinvoltamente di cento, di mille, di centomila e anche di un milione di euro è misura compatibile e congrua al "sano" ladro edonista, se superasse tale soglia non avrebbe tempo, né dimensioni, né strumenti, né possibilità reali, per onorare la sua concezione etica che identifica il bene col piacere: quando l'ammanco è di decine di milioni di euro e il ladro non ha da costruire un ponte sul Po sono guai. Quasi impossibile che riesca a goderne personalmente appieno.
Massimo Recalcati, psicoanalista, riferendosi alle patologie alimentari - e qui è proprio di bulimia che stiamo dicendo - diagnostica estrema solitudine: «La potenza simbolica del grande Altro si è irreversibilmente fragilizzata e il nostro tempo è il tempo, come scriveva già Adorno in Minima Moralia, del godimento monadico, ovvero di una esasperazione autistica dell'individuo che esclude la dimensione transindividuale del soggetto».
Il ladro che tutti i giorni ruba molti più polli di quanti gliene possono stare nello stomaco assomiglia, dunque, a un asceta-eremita perverso; a differenza dell'edonista che incontra soddisfazione godendo in presa diretta dei beni dei quali si è impossessato, lui obbedisce ossessivo a una forza intima irrazionale, misteriosa, immensa, insaziabile. Il raggiungimento della meta gli è impossibile, invece la fatica dell'incrementare ad oltranza il patrimonio occultandolo è per lui onnipresente e tiranna, così invece di sazietà soddisfatta è devastato da fame e angoscia. Sanzionato per direttissima a pene di solitudine e povertà con sentenza promulgata da sé stesso, già esecutiva al compimento del reato. E dopo tanta sofferenza infieriscono sbattendolo in prigione. E' ingiusto.
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Filosofia di strada