Bruno Vergani
Radiografie appese a un filo. Condivisione di un percorso artistico, davanti al baratro con angoscia parzialmente controllata.
Serpe scongelata in salmì
Nel considerare tutta la conflittualità interpersonale procurata non da motivi attuali, reali e congrui, ma da lontane e remote esperienze negative che incistate nella testa agiscono cannando inquadratura e a scoppio ritardato contro chi non c’entra niente, alla domanda del Vangelo:
«Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pane, gli darà una pietra? O se gli chiede un pesce, gli darà al posto del pesce una serpe? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione?»
Risponderei: «Più di uno e non solo i padri.»
Avanspettacolo
Esiste un diffuso repertorio canzonatorio della Bibbia, gioco facile visto che se interpretata letteralmente appare evidentemente ridicola in numerosi passaggi. Avanspettacolo invece disinteressato alla mitologia pagana, anche se il materiale non mancherebbe se presa alla lettera, dai Titani a Medusa.
Tra i motivi che fanno considerare la Bibbia una sfilza di cazzate da riderci sopra e le storie pagane cosa serissima, forse l’inconsapevole reattività del lettore contro quelle dottrine dogmatiche che hanno proclamato l’ortodossia di una ermeneutica biblica pre-critica e letterale - anche questa una forma di avanspettacolo -, ma così facendo subiscono un danno doppio nel permanere inconsapevolmente influenzati da un certo clericalismo così da non cogliere la possibile ricchezza che il Libro potrebbe elargirgli. Fare gli spiritosi è cosa impegnativa e seria.
Apologia del debole
Faccende del passato gli enigmi, oggi grazie alla scienza esistono solo problemi, così dicono. Però davvero strana la Natura che pur muovendosi a capocchia è perlopiù regolare. Per risolvere il problema c’è chi propone precise cause teleologiche con tanto di Regista, chi invece proclama l’assoluta casualità dell’universo. Posizioni in apparenza opposte eppure accomunate dal fatto di essere dei postulati.
Forse meglio un bel “non lo so” o, in subordine, indagare la possibilità di entrambe le concezioni, a patto che siano deboli, debolissime meglio.
Coscienza
Coscienza nell’accezione comune è termine inerente al monitoraggio funzionale dei sensi, oppure parametro etico della morale personale. Filosoficamente è invece lemma più esteso, fondante e portante, dal quale non si può prescindere. A Oriente Coscienza è indagata con tale precisione che è stato redatto un glossario ad hoc illustrante differenti livelli e distinte tipologie di coscienza. Dalle nostre parti, pur senza implementare neologismi, l’indagine filosofica non è stata da meno.
Va considerato che per esaminare la costituzione dell’universo utilizziamo necessariamente noi stessi senza possibilità di oltrepassarci, una sorta di cerchio magico, monade invalicabile, Hume è stato forse tra i più precisi nell’osservare e sviluppare questa concezione. Ricordo che anni fa anch’io la vedevo un po’ così. Di tanto in tanto mi recavo in ospedale a farmi togliere dei calcoli che si formavano in un rene. Prima di operarmi mi addormentavano e l'anestesia comportava due vantaggi, non mi faceva sentire il dolore e mi faceva provare in anticipo com'era morire. La coscienza iniziava a ritirarsi il nome che portavo e il ruolo che svolgevo li avvertivo rarefatti e poi sparivano. Mi abbandonavano rapidi tutti gli affetti e ogni amore. Per ultimo, quando stavo per morire, ogni idea spariva anche quella di un possibile Dio. Un istante prima di essere morto mi veniva perfettamente chiaro che tutta la questione si riduceva a "sono" oppure "non sono". Quando il "sono" s’attivava tutto esisteva, quando si ritraeva nulla esisteva. Tutto qui. Per più volte osservavo la coscienza che andava e veniva in un istante, come quando si accende e spegne la lampadina del soggiorno. Quando si spegneva, vedevo che con me si dissolveva l'intero universo, quando si accendeva, prima tornavo io e immediatamente dopo di me tutto quanto. Era dunque l'universo che esisteva grazie alla mia coscienza e non il contrario.
Sant'Agostino invita a non uscire da noi stessi, dimodoché rientrando in noi possiamo incontrare nell'intimo la realtà, che è Dio, quindi, a differenza della concezione di Hume, interiorità e universalità trascendente coinciderebbero. Hegel vede la Coscienza come l’Autocoscienza intesa come Principio assoluto che nell’auto-crearsi fa letteralmente la realtà nella sua totalità. Fra Agostino, Hume ed Hegel incontriamo numerose concezione intermedie che tra Idealismo e Spiritualismo dettagliano distinti livelli di coscienza fluttuando dall’inter-coscienziale al trascendente, talora separandoli, talvolta mischiandoli. Invece Freud mette in guardia dall’ortodossia della coscienza personale perché determinata da forze inconsce. Marx, anche lui diffidente della soggettività antropologica, individua tali forze occulte e inconsce nella sovrastruttura economico-sociale.
Un dato è certo, nella modernità Coscienza è vista con crescente sospetto, fino al punto da considerarla «nemica segreta delle scienze dell’uomo» (Lévi-Strauss), a Oriente si continua invece a indagarla, persino ad adorarla, forse meglio dirigersi a Est, non possiamo escludere che se un qualche Dio c’è passeggia da quelle parti bisbigliando “Io sono”.
Problema di chimica organica
In due damigiane facciamo digerire in un solvente delle radici di Ginseng in medesima quantità e della stessa qualità ottenendo due estratti identici in principio attivo stimolante.
Con le stesse modalità facciamo digerire nei solventi organici viscerali di due persone radici di Ginseng ottenendo che uno spara minchionerie e l’altro pensieri arguti.
Trova la sostanza che produce la differenza.
Preferenze di sistema
Tra il catechismo del devoto osservante del laicismo ortodosso o di quello di chi professa voto di obbedienza al gruppo anarchico di appartenenza, forse preferibile quello del monaco gaudente.
Gli irriducibili
Più una teoria non è in sintonia con il vivere e più occorre tenace e fantasioso sforzo - dalle parate militari in pompa magna, al recitare dieci rosari al dì - per tenerla in piedi dagli sgambetti della realtà.
Anche se alla larga da parate militari e rosari ci son dentro anch’io; il mio gatto permane indenne.
Direttore della fotografia
Lecito che oltre al valoroso cinema d’autore ci sia pure il dozzinale video di compleanno che serva a ricordare, eppure meglio non dimenticare che ogni immagine riprodotta dice, di ogni autore, la specifica organizzazione conoscitiva della realtà.
Fotografo e film-maker metafore di tutti, che anche senza filmare o fotografare ci rapportiamo necessariamente con ciò che ci circonda.
E fu così che pur abitando lo stesso spazio ognuno si muove quel tanto che può e riesce a vedere.
L’equivoco
Sarebbe meglio la festa delle madri che quella della mamma perché un conto è l’idea dell’entità La Madre, fantasmatico archetipo soprannaturale sacro ed eterno, tutt’altro sono le madri, enti storici e reali che nate da altre donne partoriscono a loro volta dei figli che accudiscono come possono e riescono, ciascuna diversa, ognuna criticabile e apprezzabile, tutte mortali.
Equivocare le seconde con la prima può produrre disastri.
Non sarebbe male, per il bene di tutti, radiare la prima, ma visto che è impossibile perlomeno contenerla.
Detto o scritto?
Scrivere o parlare? Per quanto vedo sono indispensabili e non in contrapposizione i due modi, quello del dire-ascoltare-rispondere e dello scrivere-leggere. Chi scrive legge, basta sfogliare un saggio di Montaigne per rendersi conto che sta dialogando in forma scritta con amici di percorso e col lettore. Dunque le due modalità, mi sembra, poggino entrambe sull’Altro.
Grazie a Duccio Demetrio ho, tuttavia, appurato quanto lo scrivere si riveli, anzitutto, utile proprio a chi scrive, grazie ai tempi necessari e alla specifica fisicità dell’atto, tastiera inclusa, lì un pensiero nebuloso si chiarisce e ne stimola altri, non a caso solitamente si scrive in modo differente da come si parla. Anche il dialogo orale ha i suoi vantaggi (e svantaggi): basta e avanza che soli in una stanza entri un altro e il nostro corpo-pensiero muta. C’è poi un altro aspetto da valutare, talvolta un testo scritto può toccare nel vivo più della parola detta, basta partecipare a quei festival filosofici dove la star di turno pontifica dal palco, senza possibilità di interloquire, per rendersene conto.
Ma il vero problema è questo: oggi chi vive con l’urgenza di filosofare dialogando oralmente deve mettere in conto una sorta di eremitaggio, ad esempio la settimana scorsa mi sono incaponito di fronte ad un ulivo nel chiedermi: “Ma perché c’è invece di non esserci” e nel confrontarmi sul quesito l’interlocutore capitatomi a tiro mi aveva (comprensibilmente) guardato perplesso, così il quesito metafisico non mi è rimasto che affrontarlo pensandolo e scrivendolo in (apparente) solitudine.
Quanto ho “detto” in questo disordinato intervento è scrittura o dialogo, testo o parola, vergare o discorrere? Sicuramente il WEB stempera le suddivisioni con sviluppi presenti e futuri tutti da indagare.