Bruno Vergani
Radiografie appese a un filo. Condivisione di un percorso artistico, davanti al baratro con angoscia parzialmente controllata.
I maestri
Nell’accudire tanti gatti posso osservarli nascere, vivere e morire con frequenza e a distanza ravvicinata. Nascono suppergiù nello stesso periodo ma muoiono a intervalli irregolari e ogni volta ti insegnano come si fa.
Indifferenti a solennità e angosce si allontano dal gruppo e spirano con nonchalance sotto a qualche cespuglio. Mentre li sotterro gli osservo l’occhio e constato che dentro non c’è più qualcuno e inizio a chiedermi se quel qualcuno si sia spento assieme al corpo o se invece sia migrato da qualche parte, ma non trovo risposta.
La terra, le piante intorno e il cielo sopra, continuano come sempre. Tento di vedere l’occhio della terra, delle piante e del cielo, così da sorgerci dentro qualcuno, ma quell’occhio non lo vedo, però dal corpo immobile in fondo alla buca sento uscire come una voce: “Non preoccuparti, va tutto bene proprio così, esattamente così come sta accadendo.”
Operazione riuscita, ma il pensiero è morto
A differenza delle immacolate e irreprensibili intelligenze artificiali, a noi può anche capitare di accettare discorsi illogici da una persona che ci è simpatica e alla quale vogliamo bene, o all’opposto di rimanere perplessi su idee ragionevoli di estranei che ci sono antipatici e non stimiamo, anche arrendendoci a quelle idee riconoscendole razionali potrebbe roderci l'implacabile sensazione che in quelle architetture di pensiero qualcosa non torni.
Per risolvere la cosa bisognerebbe snodare del tutto i pensieri dalle impressioni -come indicano molti filosofi, anche se nelle loro biografie l'indicazione è spesso tradita- ma non è sempre detto che a operazione conclusa rimanga ancora qualcosa di quei pensieri e di quelle impressioni, forse indizio che per noi viventi impressioni e pensieri sono un tutt’uno.
Il tassello
Investigare il mondo è un po’ come incidere il tassello per testare l’anguria, non importa il punto dove si incide ciò che conta è andare giù.
Carburante per la fornace
«Questo ordine universale che è lo stesso per tutti, nessuno degli dei o degli uomini lo ha fatto ma sempre era, è, sarà fuoco sempre vivente che si accende e si spegne secondo giusta misura.» (Eraclito frammento 30).
Ordine mirabile, nondimeno funzionamento tiranno. Per certi versi la formulazione e l’affermazione di un Dio trascendente è la proiezione esterna della interiore ribellione personale a ottemperare i meccanismi ai quali ci costringe l’organizzazione del sommo e sempiterno funzionamento naturale. Dio: un ultimo tentativo di dire “la nostra” prima di essere macinati.
Opzioni tragiche e opzioni edulcorate
Quando un cattolico realizza di aver creduto a concezioni assurde, che può fare?
Potrebbe cambiare religione se non rischiasse di cadere dalla padella alla brace, molto più sicuro e risolutivo buttare Dio alle ortiche con tutto il pacchetto, ma l’ateismo è per lui opzione complicata, per certi versi impossibile perché per sbarazzarsi di Dio dovrebbe amputare concezioni introiettate al punto da costituirlo. Potrebbe sì optare per un ateismo spinto, ma rischierebbe una operazione di facciata come sono tutte le scelte reattive che nel respingere trattengono. Potrebbe comunque provarci a fare l’ateo e pure iscriversi al UAAR, così da passare i giorni che gli restano dicendo peste e corna della Chiesa cattolica per vendicarsi dei soprusi subiti (ne conosco non pochi di questi imbronciati), nel caso però realizzasse di avere di meglio da fare potrebbe semplicemente dirsi: “Che stupido sono stato” e chiuderla lì. A ogni buon conto se evitando reattività abbraccia un ateismo debole potrebbe anche farcela a diventare sinceramente ateo, ma se non gli sta bene auto precludersi l’ipotesi di Dio potrebbe discernere tutte le assurdità che ha introiettato, separandole dalla sincera ricerca che aveva, e ha, di Dio. Liberato Dio da dogmi e precetti confessionali astrusi potrebbe continuare a permanere nella Chiesa da dissidente (se non lo sbattono fuori), oppure prendere le distanze dall’Istituzione per incontrare Dio nella natura (panteismo). Nell’eventualità che questa immanenza di Dio nella Natura non lo soddisfi appieno, potrebbe ipotizzare che tale immanenza rimandi ad un logos trascendente (panenteismo). Qui arrivato (e io con lui) indagherà la realtà, per cercare segni di questa trascendenza. L’indagine lo porterà a frequentare tutti quelli che, credenti e no, hanno cercato e cercano un significato del mondo. Percorso che attinge da tutto e da tutti, compreso il recupero revisionato di tratti della tradizione cristiana. Se proprio disperato potrebbe anche compiere un rinnovato salto della fede e qualche incursione mistica, anche se è più probabile che invece di saltare rimarrà coi piedi per terra accettando che su Dio mai raggiungerà una verità in senso assoluto. Probabilmente permarrà in una posizione aperta e insieme scettica, in una attenta e continua osservazione che diffida sia delle proprie certezze che dei propri dubbi (questa è di Hume). Posizione un po’ tragica che molto rema e poco proclama.
Ma nostalgico degli entusiasmi religiosi di gioventù ed esausto di tanto drammatico remare potrebbe sorgere in lui la tentazione di regredire, cercando puerilmente in ciò che incontra aspetti che somiglino alle impressioni emozionanti dei bei tempi passati, così da ritrovare da cane sciolto l’amore illimitato di Dio che lo ama da sempre e per sempre: “Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo”, la beatitudine, la perfetta armonia, la sapiente e cosciente unità dell’universo, l’appartenenza consolante al cosmo e il più che certo happy end personale e universale che la Chiesa gli garantiva. Insomma un rivivere le dolci emozioni rassicuranti che la Chiesa gli permetteva placando così l'erranza, evitandosi però tutte le costrizioni insite nella istituzione confessionale. Per compiere l’operazione sceglierà nella natura, nella civiltà e nelle scienze, ciò che più si presta a cucirgli addosso un nesso di somiglianza con lo stato di infantile beatitudine, così da godersi la sua nuova messa cantata. La natura al netto di metastasi, cacca di gatto e virus, ben si presta positivamente aggettivata all’operazione di zuccherina deificazione, non male anche il mito del “buon selvaggio” che con un po’ di fantasia evoca per somiglianza l’Eden perduto. Adatta all’operazione anche la forza di gravità se immaginata come attrazione amorevole universale, eccellente il Big Bang riletto come prova provata dell’atto creativo del buon Dio. Versatilissima per lo scopo la fisica quantistica, quella strana disciplina che meno la si conosce e più ci si sente maestri nel proclamarla, che proverebbe newageizzandola una gaudente interconnessione armonica del tutto. L’elenco edulcorante prodotto dalle forzate somiglianze potrebbe proseguire a lungo e gli esempi riferiti di fuga naïf dalla tragicità non me li sono inventati. Sappiamo che la tradizione cattolica è stata sia proficua che deleteria per molti, osservando questi ultimi esempi che reagiscono al paradigma teistico che hanno abbandonato crogiolandosi ingenuamente nello stesso milieu emotivo, si potrebbe concludere che tra i peggiori danni procurati loro dal cattolicesimo l’infantilizzazione è probabilmente il più grave e irreversibile.
Vegliardi
I naturali accadimenti della vecchiaia e della morte individuale provano che per l’economia naturale gli individui valgono meno della specie.
Eppure la circostanza che non pochi corpi non più procreanti continuino spontaneamente a vivere ancora per un po’, talora per un bel po’, è segno che la natura nei suoi dettami non disdegna del tutto pure gli individui.
Non esiste però funziona
Ma quando affermano che l’Io non esiste e convinti spaccano il capello in quattro per dimostrarlo, chi lo afferma e lo dimostra? Cosa fa esperienza di questa assenza?
Con gli occhi di un cane
Nella esperienza comune di tutti i giorni gli oggetti e i fatti che percepiamo attraverso i sensi sono garanzia di realtà, le idee un po’ meno. Allo stesso modo il filone filosofico dell’empirismo afferma il primato dell’esperienza sulle idee. A questo punto si potrebbe prevedere che l’empirismo filosofico, nel suo affermare la realtà assoluta degli oggetti e dell’esperienza sensoriale, sfoci in una interpretazione materialistica del mondo. In effetti accade proprio così per l’empirismo di strada, quello del “vogliamo fatti non parole”, ma per la filosofia empirista che opera con rigore possiamo assistere a esiti del tutto diversi e davvero inaspettati.
Basta considerare il percorso di pensiero del filosofo scozzese David Hume (1711 –1776) -il più empirista degli empiristi- per trovarci spiazzati nel constatare che il suo rigorosissimo empirismo non porta al materialismo, ma a livelli di scetticismo tanto estremi da annichilire natura e mondo. Hume nell’indagare la realtà affermando il primato delle impressioni che le cose producono in noi attraverso i sensi e giudicando le idee nient’altro che forme illanguidite di tali impressioni, attraverso passaggi logici, estenuanti ma incontestabili, conclude che
non esiste spazio perché attraverso i sensi percepiamo nient’altro che distanze tra oggetti, non lo spazio. Non esiste tempo, perché attraverso i sensi osserviamo soltanto accadimenti che si susseguono, mica il tempo. Non esiste causa necessaria che produce effetti perché osserviamo un mero succedersi di eventi contigui che per abitudine crediamo regolarmente connessi come causa-effetto, non la pura potenza che produce l'effetto. Per Hume non esiste neppure il mondo esterno, perché percepiamo oggetti e moti ma non il substrato, la sostanza, che prova il suo statuto ontologico. Non esiste neanche un io personale, in quanto osservandoci sperimentiamo fasci di impressioni sprovvisti di un nucleo stabile che possa essere dimostrato. Ne consegue l'impossibilità di fare scienza, perché ci è preclusa ogni prevedibilità certa. Non esistono idee generali, perché i sensi percepiscono solo un fluttuare di provvisorietà cangianti. Ovviamente non esiste Dio perché Dio non si vede.
Verosimile che anche un cane veda il mondo proprio come Hume, con la differenza che al cane la cosa non fa problema, mentre a Hume, così guardandolo, il mondo gli si annichilisce davanti agli occhi. Non sfuggirà che dietro ad un empirismo tanto estremo occhieggi un idealismo vigoroso; sappiamo che gli “ismi” più sono estremi e più tendono ad incontrarsi. In effetti l’idealismo estremo e assoluto, pensiamo all’idealismo soggettivo, quello alla Berkeley, quello che nega una qualsiasi esistenza del mondo indipendente dal soggetto, quello che se chiudiamo gli occhi facciamo sparire l’universo e riaprendoli lo ricreiamo. Idealismo sopra le righe in apparenza opposto ma, di fatto, perfettamente speculare all’empirismo di Hume, apparentato come se generato da identica matrice.
Forse la soluzione sta in un pacato compromesso tra i due estremi, riconoscendo da una parte che il mondo può tranquillamente proseguire per forza propria infischiandosene di chi lo osserva, dall’altra concedendoci di fronte ai buchi neri che incontriamo per la via di rattopparli con qualche idea. L'idea di Dio di solito rattoppa bene, a giuste dosi però.
Facce vedé !
Hume nel suo “Trattato sulla natura umana” afferma il primato delle impressioni immediate che ci pervengono dai sensi, rispetto alle idee che produciamo, a tutte le idee, altissime incluse. Idee che, a suo dire, sarebbero nient’altro che immagini illanguidite delle impressioni avute dai sensi corporei. Se le cose stanno così andrebbero ridimensionate non poche tradizioni di pensiero che hanno fondato la nostra civiltà, dall’Essere parmenideo, alle idee platoniche, al paradigma del soprannaturale proclamato dal teismo.
Ad avvalorare la concezione di Hume sono tutti quegli artefatti che, nella storia della civiltà, hanno fatto migrare le idee pure dal campo dell’astrazione a quello sensoriale, prova provata che quelle idee faticavano a reggersi da sole. Consideriamo l’effetto anabolizzante che ha avuto l’arte sacra per la religione o per le società le bandiere di Stato e le innumerevoli allegorie connesse. Ad avvalorare la visione di Hume, che giudica più efficace il vedere rispetto al pensare immaginativo, sono anche le statistiche mondiali dei siti porno; nel 2019 solo Pornhub è stato visitato 42 miliardi di volte, con 115 milioni di visite quotidiane.
Non so se il dato sia sufficiente ad incenerire il pensiero di Parmenide e di Platone o del teismo che narra una dimensione soprannaturale ma, al netto da assiologie, a problematizzarli forse sì.
Ginocentrico VS androcentrico
All’acme della fervente disputa teologica se Iddio fosse padre o madre si udì una voce dal cielo:
“Ma finitela, mica sono un mammifero !”