Nell’immaginario collettivo lo stereotipo della persona religiosa è quello di un individuo scuola, casa e chiesa, metà Nonna Papera e metà Grillo Parlante, ma le cose non tornano. Dovrebbero essere più scavezzacollo quelli che hanno fede in Dio di quelli che la fede non ce l’hanno, visto che il credente, fiducioso nella divina provvidenza, è portato a tirare dritto senza freni, alla spera-in-Dio, certo di fare bene grazie alla onnipotente e onnisciente regia sovrannaturale che lo ispira. Viceversa lo scettico miscredente, consapevole che quando si butta in aria la moneta nessuno sa se cadrà testa o croce, è portato alla prudenza, al devoto controllo, alla pia prevenzione, ad attuare tutti quei comportamenti e misure che diminuiscano il rischio di andare a sbattere. Insomma chi non ha fede è portato a essere un bravo ragazzo, a differenza dell’entusiasta in missione per conto di Dio, che tira dritto indifferente alle regole socialmente condivise. Lo stereotipo del bravo ragazzo religioso è, probabilmente, un prodotto delle religioni di Stato caratterizzate da una visione del sacro molto addomesticata.
Quando moralisticamente e frettolosamente si giudicano incoscienti e irresponsabili gli incauti e gli avventati, dai guerrafondai ai toreri, dai mafiosi agli stuntmen, bisognerebbe prima indagare se, e quanto, questo loro agire sia innescato da uno spirito religioso. In fin dei conti non esiste un diavolo che sia ateo.