Chissà com’è che la stragrande maggioranza dei nefrologi e degli ingegneri meccanici, se ne tornano a casa la sera soddisfatti d’aver curato reni e progettato ingranaggi, mentre non pochi fisici teorici e biologi evolutivi scontenti di particelle e amminoacidi se ne appropriano interpretandoli in versione spiritualistica o atea materialistica[1] e da lì, rubando il mestiere ai filosofi, talvolta anche ai preti, stabiliscono cosa possiamo sapere, cosa dobbiamo fare e che cosa abbiamo diritto di sperare, anche se nessuno glielo ha mai chiesto.
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1 “Lo scienziato ha certamente il diritto incontestabile di dichiarare che il sapere scientifico è l’unico adatto agli oggetti della sua ricerca; ma non può estendere e assolutizzare il sapere scientifico a pretendere che sia considerato come l’unica forma di sapere possibile. Se lo fa, con ciò stesso cessa di far scienza, perché la proposizione ‘non c’è altra forma di sapere che il sapere scientifico’ non è una proposizione scientifica bensì una proposizione filosofica […] egli fa dunque filosofia ma lo fa senza saperlo, cioè fa della filosofia acritica e inconsapevole, insomma della cattiva filosofia”. (L. Pareyson, Verità e interpretazione, pag. 196)